sabato 19 settembre 2015

Irritazione quotidiana davanti ai talk show...

Non riassumo le conversazioni di un talk mattutino che mi sono dovuto sorbire senza poter replicare. Una facile domanda: perché mi sono auto-inflitto la pena di seguire, in parte, la trasmissione? Ho già risposto numerose volte a una domanda che nessuno mi ha posto, ma che solo io ho ipotizzato. Considero “nulli” i contenuti informativi che si possono trarre da simili trasmissioni. Ognuno di noi si procura informazioni studiando, leggendo, ascoltando altri che sanno, facendo esperienze ed esperimenti... Nel caso dei talk show, ma anche dei telegiornali, non vi sono informazioni da acquisire (o altrimenti guai a bere da simili fonti), ma vi è solo da capire dove si vuol condurre il terminale umano della catena comunicativa. Si parla tanto di “comunicazione”, ma in fondo non è una bella cosa. Heidegger – al quale ormai è stata decretata una cattiva stampa, dando inizio ad un processo diffamatorio – parlando di Verità, ne riconduce il significato alla parola greca, Aleteia, che significa “disvelamento” e lascia intendere un faticoso lavoro da parte di un singolo soggetto che va alla faticosa ricerca della Verità. I media invece non solo te la comunicano ogni giorno senza fatica alcuna da parte di chi la riceve, ma te la impongono anche per legge e sotto pesante sanzione penale. È stato divertente nella trasmissione mattutina vedere come i talkshowisti siano stati tutti pervasi da sacro e religioso terrore appena si è sfiorato il “fatto” dei migranti “accolti” con loro soddisfazione in... Buchenwald. Non sia mai che possano insinuarsi nella mente di qualcuno pensieri irriverenti e sacrileghi!....

Non ero presente fra cotanto senno, cosa inconcepibile, ma confido che la verità dei fatti emerga infine da sola, per forza propria, rendendo ancora più goffi e ridicoli quanti tentano di negare l’evidenza. Poiché tanto si parla di barchi, barconi, navi... è forse il caso di ricordare un nome: Exodus, che era una nave, ma dal cui nome mi pare sia stato anche fatto un premio annuale. Esiste un’abbondantissima narrativa letteraria e cinematografica che ci descrive il cammino degli “ebrei” d’Europa verso la Palestina, che non è e non è mai stata una terra disabitata, un “deserto” che aspettava appunto di essere popolata dai coloni ebrei. Nel 1861 la popolazione ebrea autoctona della Palestina era appena il 3,5 % della popolazione totale, a grandissima maggioranza musulmana. Fu solo con la “pulizia etnica della Palestina” nel 1948 (Ilan Pappe) che il “sionismo” raggiunse finalmente l’obiettivo di diventare maggioranza in Palestina. Per raggiungere questo obiettivo, a danno degli arabi palestinesi e di tutto il Vicino o Medio Oriente, l’Occidente diede unanimamente tutto il suo aiuto, tutte le coperture politiche, economiche, militari, mediatiche che erano possibili. E la cosa continua ancora oggi... Se l’ospitare “migranti” a Buchenwald fa scattare subito reazioni e condanne, non fa invece nessuno effetto lo spettacolo ricorrente e quotidiano dei bombardamenti in un altro Lager, quello di Gaza, dove sono rinchiusi oltre un milione e mezzo di persone, periodicamente bombardati per non far aumentare troppo la demografia dei prigionieri... Se tanta emozione ha suscitato la fotografia, pare manipolata, del bambino migrante morto su una spiaggia, non ne ha suscitata altrettanta la foto dei quattro bambini palestinesi impallinata sulla spiaggia di Gaza da soldati israeliani o di innumerevoli altri bambini la cui morta diretta o indiretta è riconducibile alla nostra superiore civiltà occidentale, le cui istituzioni, la cui (fasulla) democrazia viene esportata a suon di bombe, la cui ingerenza umanitaria negli affari altrui non poteva essere più pelosa.

Mi preme avviarmi a conclusione. Mi chiedo quando salterà fuori il legittimo quesito sulla responsabilità dello “Stato ebraico di Israele” in tutte le guerre che divampano in Medio Oriente, poniamo da quella in Iraq, la cui responsabilità promotrice di Israele è stata richiamata perfino da Obama, in polemica con la Israel lobby, che non vuole l’accordo sul nucleare iraniano ma da sempre spinge a una nuova guerra contro l’Iran... Il coinvolgimento di Israele in Siria, a sostegno dell’IS è cosa di cui si parla nella informazione alternativa, ma non nei talk show, che insistono sempre e soltanto sulla “bestialità” dei cittadini italiani che non si commuovono davanti allo spettacolo quotidiano dell’invasione dei loro paesi, delle loro città, delle loro case. Mai che si pongano domande sulle cause del fenomeno e sulle sue responsabilità. Non vi sarebbe del resto di che stupirsi se si considera che responsabili della causa della migrazione sono quegli stessi (politici e media loro asserviti) che ora ci rinfacciano la nostra “bestialità”.

E dunque non si può immaginare a una sorta di Nemesi storica per quanto riguarda l’«esodo biblico» che stiamo vivendo? Il linguaggio biblico nei media ricorre, stupidamente, pure con l’espressione «Terra Promessa»! Una «Terra Promessa» che non è più a Oriente, ma in Occidente. E quando si parla di America che accolse i “migranti” si tace del tutto che fu a spese degli indigeni, tutti sterminati: un vero e proprio genocidio di cui si è fatta una epopea, della quale siamo stati tutti nutritii fin da bambini, giocando agli indiani e agli “arrivano i nostri”. Davvero educativo! Un bell’esempio di «buona scuola». Trovo insulse e distraenti le distinzioni in “profugo”, “clandestino”, “migrante”, “rifiugiato”, “richiedente asilo”, per distinguere fra differenti tipologie di una chiara invasione in atto, la quale - altro termine tipico di provenienza neocon - sarebbe non una iattura, una tragedia, una calamità, ma una “opportunità” da cui saper e poter lucrare... Distinzioni di lana caprina nelle quali cadono tutti ma proprio tutti senza una sola eccezione... Distinzioni forse fatte ad arte per non risalire alla causa prima di tutti i problemi: le guerre e le devastazioni che i “nostri” governi (non i loro innocenti sudditi) hanno condotto e conducono nei paesi di provenienza dei “migranti”... Se si vanno a leggere i libri di Naomi Klein, si vede come le più terribili disgrazie dell’umanità diventano “opportunità” per chi ne deve trar profitto... Da noi è stata una lucrosità opportunità il terremoto de L’Aquila, e in Mafia Capitale è tuttora una lucrosissima opportunità di guadagno, più redditizia del traffico di droga, l’arrivo dei migranti... I proprietari di alberghi vuoti fanno affari a 35 euro al giorno per migrante... Mi precipiterei a fare il turista per l’Italia se trovassi pernottamenti a 30 euro al giorno... Invece pare che per 35 euro diano la pensione completa per ogni migrante... Grandi imprenditori!

La comunicazione televisiva assai lungi dal contribuire alla maturità di un popolo, dei suoi cittadini, si rivela uno strumento potente di istupidimento collettivo e di inquadramento totalitario, con una sua propria neolingua e con un suo proprio terrorismo ideologico. È sconcertante l’unanimità con cui tutti strillano e si indignano appena vengono pronunciate talune parole, o vengono fatti paragoni... Non credo che ai tempi del fascismo, del nazismo o dell’inquisizione esistesse un simile conformismo... E questi che si vedono nei talk show sarebbe gli «intellettuali»? Di quale “intelletto”? Con quale “intelletto”? Sto leggendo i Diari di un protagonista del Fascismo (1), negli anni dalla sua caduta fino ai primi anni di questa Repubblica: annoierei il lettore con citazioni ed estratti, e necessari commenti, ma la cosa sarebbe parecchio istruttiva: non parlo a vuoto e senza fondamento quando uso l’espressione «antifascismo fascista» per caratterizzare la classe politica succeduta al potere da 70 anni a questa parte. Trovo che sia stata cosa ingiusta e sbagliata la “caccia” al fascista (o al nazista) che è diventata un sport istituzionale di alcune organizzazione e perfino uno Stato. La responsabilità del singolo può essere chiamata a rispondere delle azioni solo sulla base di un codice penale vigente ed è sempre responsabilità personale. Quanto al fascismo così ne scriveva Bottai il 13 giugno 1944: «Io, se potrò tornare alla vita della mia famiglia, non farò più della politica. Seguirò da lontano la vita politica del mio Paese. Ma se pensieri e meditazioni politiche circoleranno ancora nelle mie solitarie meditazioni, questo non avverrà mai in senso “fascista” Il fascismo è finito, e assai prima del 24 luglio 1943. Il fascismo è jeri. E l’Italia ha da guardare al suo domani». E poco sopra queste righe, Bottai sistemava così tutti i neo veri o presunti, che pure verranno dopo: «ogni nostalgia fascista, ogni rimpianto, e più ancora, ogni tentativo di restaurazione fascista, devono ormai considerarsi, non solo praticamente sterili, ma ripugnanti alla nostra coscienza d’italiani del nostro tempo». La testimonianza qui citata non poteva essere può autorevole. Sperano la leggano quei miei detrattori che, nei Forum, nel progredire serrato della discussione, a corto di argomenti, mi tacciono di “neo”, incuranti della mia asserzione circa il definitivamente trascorso di esperienze politico-istituzionali del passato. La nostra epoca si avvale però di démoni per il mantenimento e l’esercizio del Potere.

 A quanti nascevano in quegli anni, dopo il 1945, del fascismo è rimasta solo la demonizzazione, ma cosa essa sia stato è del tutto o quasi ignoto. Eppure una comune riflessione - sincera, non opportunistica, non trasformistica, non camaleontica –  dei “vinti” e dei “vincitori” sul “domani” del Paese, avrebbe io penso certamente contribuito a costruire una ben diversa cultura politica e istituzionale, non ripetendo errori del passato. Invece, per come sono andate le cose, il fascismo nel suo aspetto più deteriore - totalitarismo, intolleranza - non è mai finito, ed è poi sfociato in quella corruzione che è elemento costitutivo dello Stato e della società attuali. La politica, comunemente intesa, non è altro che l‘arte di arricchirsi, di fugare le proprie responsabilità, di farle cadere sulle spalle altrui, di ricerca dei favori dei potenti per poter assurgere sempre più in alto, salvo tirare il calcio dell’asino, pronta disponibilità a vendere il proprio paese a potenze e poteri esterni...

Del prima si può dire e lascio dire tutto il male che si vuole, ma almeno vi è una condizione di sovranità. Non sono nè un nostalgico di tempi che non ho vissuto né un apologeta di un passato che mi è largamente ignoto. Oggi, dopo aver studiato quanto ho potuto, penso di poter dire del dopo che vi è tutto il male antico senza però nessuna sovranità e dignità di Stato, di popolo, di nazione, di identità religiosa e culturale, senza nessuna solidarietà fra i cittadini che vengono sempre più trasformati in atomi, in consumatori, in topi dentro le loro gabbie, in “bestie” così chiamate addirittura da chi dovrebbe governarli... Mussolini, pur con tutte le pecche denunciate da Bottai, non mi pare che fosse arrivato a tanto nel trattare il popolo italiano... Ci si conduce verso un’Europa che sarebbe il “sogno” dove però i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più povere, dove la Grecia - patria della democrazia e dell’Occidente - viene ridotta alla fame e umiliata oltre l’immaginabile, mentre ai siriani bombardati noi complici vengono offerti posti di metalmeccanico! Questa la solidarietà europea, l’unificazione dei popoli europei, fortunati per essere stati tutti debellati e non poter così più cadere nella tentazione di farsi reciprocamente la guerra... o meglio se la fanno ancora, ma non con arei che sganciano bombe, ma a colpi di “quote” di migranti da doversi accollare... Non credo però che i cittadini siano così stupidi come si vorrebbe fossero e che siano disposti a lasciarsi massacrare, cancellare, annichilire senza la minima reazione. Mi viene da pensare ad una immagine tratta da un film di Pasolini. È però troppo forte e non voglio darla. Mi limito a enunciarne invece il concetto. Una persona più essere criticamente sprovveduta quanto si vuole, afflitta da ignoranza e superstizione, ma se è appena sana di mente, non sarà mai così autolesionista da accettare un male evidente alla sua persona, alla sua famiglia, al suo paese, alla sua condizione. Trovo segni di speranza nella spontanea reazione che in ogni parte d’Italia e d’Europa si va sollevando fra la gente comune, che i media tentano di diffamare in ogni modo, a cominciare da un presidente che tratta da “bestie” i suoi cittadini, riluttanti davanti alle sue mirabolanti promesse.

Le riforme? Il nuovo a cui dobbiamo abituarci? L’inevitabile che non possiamo fermare? Io credo che abbiano una fottura paura che la gente abbia capito che si deve organizzare al di fuori e contro i partiti e il sistema della rappresentanza politica, che è la forma odierna della più bieca e totalitaria oppressione. Altro che Senato e compagnia bella! L’obiettivo delle riforme – sul modello americano – è quello di spingere la gran massa della popolazione in una sfera non politica, ad un mero ammassamento di carne umana, incapace di opporre resistenza a qualunque cosa di essa si voglia fare. Il sistema rappresentativo può ben funzionare, anzi funziona meglio, con un solo 10-20-30 % di elettorato mediatizzato, corruttibile, manipolabile, trasformabile... se però si riduce all’inazione politica la restante popolazione, alla quale si toglie ogni identità comunitaria, ogni principio solidaristico, ogni possibilità di interazione, perfino il linguaggio e la possibilità di comunicazione interpersonale, se la si riesce a governare con l’uso vario di droghe.

Questi sono i tempi, a mio modo di vedere. L’appello che rivolgo a chiunque per avventura legge queste righe è lo stesso che ho rivolto in una piazza del Sud. Una singola persona può solo cadere in depressione, ma se trova altre dieci persone con le quali tutti insieme lavorare in positivo ad un progetto sociale, comunitario, economico, politico, allora si possono sfidare tutti i Renzi del mondo con tutte le sue feste dell’Unità, le sue banche, i suoi giornali, i suoi talk show....

Ai miei critici malevoli: ho scritto di getto, correggerò dopo refusi e strutture grammaticali... basta che i miei Cinque Lettori capiscano. Li avverto anche che ogni rilettura del testo comporta una rielaborazione, e cioè un testo nuovo con inevitabili refusi, che hanno bisogno di essere riletti, con conseguente ispirazione a una rielaborazione del testo... È un tipo di scrittura del tutto diversa da quella tipografica... Non sono un musicista, ma credo sia una scrittura simile al jazz... La si improvvisa sul momento.

NOTE

(1) Di tutte le innumerevoli e disparate definizioni del fascismo, se ne vogliono qui isolare due, capitate proprio a caso, in corso di un nuovo ciclo ordinate di letture da parte di chi scrive. Renzo De Felice, storico principe del Fascismo, scrive in una pagina della sua monumentale opera (1. La Conquista del potere, p. 4) che «Storicamente non vi è dubbio – oggi – che il fascismo fu soprattutto reazione borghese-capitalistica contro la classe lavoratrice... etc». E sia! Mi capita però per caso un volumetto del celeberrimo Prof. Ernesto Bignami, autore di sunti scolastici sui quali hanno studiato intere generazioni di studenti. Nel 1933 egli era autore di un volumetto, premiato nel decennale della Rivoluzione: Cos’è il fascismo. Saggio premiato nel decennale della rivoluzione. Si legge subito alla prima nella ben nota chiarezza dei volumetti Bignami: «Due i periodi che conviene distinguere nel Fascismo, per meglio intendere questo movimento nella sua storia e nelle sue idealità: un periodo negativo, polemico, di reazione contro il vecchio mondo politico-parlamentare, che aveva reso possibile il famigerato quadriennio del ’18-’22 con l’anarchia all’interno e la liquidazione della Vittoria all’estero; un periodo positivo, ricostruttivo, architettonico, di rinnovazione della coscienza nazionale in specie ed umana in genere». Indubbiamente, vi è concordanza di vedute sulla “reazione” fra lo storico ufficiale del secondo dopoguerra, De Felice, e il divulgatore Bignami nel decennale della rivoluzione. Cambia chiaramente il giudizio di valore... Ma non ci soffermiamo qui oltre. Per il periodo positivo, dal 1925 al 1939 (14 anni) è interessante un volumetto di Alberto B. Mariantoni, di cui diremo in altra occasione. Nel Bignami, retorica a parte, vengono ascritte al Fascismo fino al 1933 le seguenti tre realizzazioni caratterizzanti: 1) la creazione della Corporazione (3 aprile 1926); 2) L’emanazione della Carta del Lavoro (21 aprile 1927); 3) La stipulazione dei Patti del Laterano (11 febbraio 1929). Vi è nel Bignami una peculiare interpretazione della storia precedente il Fascismo e che al Fascismo conduce.

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