sabato 19 luglio 2008

Islamici: 40. Sherif El Sebaie ossia Salamelik

Come «Informazione Corretta» e altri media denigrano quanti criticano il sionismo, Israele, e gli Stati Uniti: Aloni - Arbour - Barghouti - Berti - Blondet - Burg - Caio - Cardini - De Giovannangeli - D’Orsi - Facci - Finkelstein - Giorgio - Morgantini - Odifreddi - Paci – Pappe - Romano - Sabahi - Sebaie - Salerno - Sand - Sebaie - Spinelli - Stabile - Storace - Tizio - Vanunu - Vattimo -
Cosa si intende qui per Israel Lobby?
«Una coalizione informale di individui e gruppi che cerca di influenzare la politica estera americana in modo che Israele ne tragga beneficio».
Ed in Italia come stanno le cose?
Stiamo cercando di scoprirlo!
«Esistono due distinti meccanismi che impediscono alla realtà del conflitto israelo-palestinese di essere giustamente divulgata, e sono i due bavagli con cui i leader israeliani, i loro rappresentanti diplomatici in tutto il mondo, i simpatizzanti d’Israele e la maggioranza dei politici, dei commentatori e degli intellettuali conservatori di norma zittiscono chiunque osi criticare pubblicamente le condotte dello Stato ebraico nei Territori Occupati, o altri aspetti controversi della storia e delle politiche di quel Paese. Il primo bavaglio è l’impiego a tutto campo dei gruppi di pressione ebraici, le cosiddette lobby, per dirottare e falsificare il dibattito politico sul Medioriente (negli USA in primo luogo); il secondo è l’accusa di antisemitismo che viene sempre lanciata, o meglio sbattuta in faccia ai critici d’Israele» (P. Barnard, Perché ci odiano, p. 206).
Come «Informazione Corretta» e altri media presentano Israele, il Medio Oriente e la Palestina: Allam - Battista - Bordin - Buffa - Colombo - Diaconale - Fait - Ferrara - Frattini - Israel - Livni - Loewenthal - Nirenstein - Ostellino - Ottolenghi - Pacifici - Pagliara - PanellaPezzana - Polito - Prister - Santus - Volli

Ricerche correlate:

1. Monitoraggio di «Informazione Corretta»: Indice-sommario. – 2. Osservatorio sulle reazioni a Mearsheimer e Walt. – 3. La pulizia etnica della Palestina. – 4. Boicottaggio prossimo venturo: la nuova conferenza di Durban prevista per il gennaio 2009. – 5. Teoria e prassi del diritto all’ingerenza. – 6. Per una critica italiana a Daniel Pipes. – 7. Letteratura sionista: Sez. I. Nirenstein; II. Panella; III. Ottolenghi; IV. Allam; V. Venezia; VI. Gol; VII. Colombo; – 8. La leggenda dell’«Olocausto»: riapertura di un dibattito. – 9. Lettere a “La Stampa” su «Olocausto» e «negazionismo» a seguito di un articolo diffamatorio. – 10. Jürgen Graf: Il gigante dai piedi di argilla. – 11. Carlo Mattogno: Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia. – 12. Analisi critica della manifestazione indetta dal «Riformista». – 13. Controappello per una pace vera in Medio Oriente. –

Riesco ora a inquadrare meglio quell’acuto analista di cose musulmane il cui blog leggo volentieri, trovandomi sempre o quasi concorde e in ogni caso ricavando lumi su argomenti che non conosco. Il suo pseudonimo è Salamelik, ma il suo vero nome, perfettamente individuabile è Sherif El Sebaie. Scrive in tanti luoghi, ma è anche un giornalista de “il Manifesto”, un organo di stampa certamente non amato dai «Corretti Informatori», che sembrano aver una qualche soggezione di fronte alle profonde conoscenze del mondo islamico in Salamelik. A mio modesto avviso, nulla a che fare con un Magdi Cristiano ah ah Allam, cui possono dare credito solo i «Corretti Informatori». Stranamente, IC pubblica una corrispondenza di Sherif el Sebaie a proposito di Magdi Allam. Sembrerebbe si volesse imputare a Salamelik di voler togliere credibilità a Magdi Allam, una credibilità che per quel che mi riguarda non ha mai avuto e che i «Corretti Informatori» non possono pretendere di imporre a nessuna. La credibilità ognuno se la conquista con tutta la sua vita, non la stabilisce per ognuno il Mossad. I «Corretti Informatori» hanno il precipuo compito da quando si sono costituiti di togliere credibilità a quanti non sono sionisti e non sono entusiasti del verbo e della propaganda sionista. Non hanno la minima esitazione a denigrare l’universo mondo anche per una semplice quanto innocente ed ignara aggettivazione. La loro faccia tosta arriva ad attribuire a Salamelik nei confronti di Magdi Cristiano ah ah Allam ciò che loro fanno tutti i giorni verso chiunque capiti a tiro, ritendendosi certi di una completa impunità.

Versione 1.4
Status: 21.7.08
Sommario: 1. Cosa è il Memri. – 2. Un’assurda quanto patetica corrispondenza. – 3. Una rassegna stampa penosa. – 4. Le nuove frontiere dell’antisemitismo. –

1. Cosa è il Memri. – Ho sempre ritenuto che un’attività propagandistica come quella di IC o di Reporting non possa essere un fatto spontaneo e scollegato di strutture similari. Ciò che leggo su questo organismo di nome Memri mi convince della fondatezza della mia congettura. Semplicemente penose le confutazioni degli “anonimi” «Corretti Informatori» goffi nella loro impotenza davanti a implacabili puntualizzazioni come quelle di Sherif El Sebaie. Sollazzevole l”autorità indicata dai «Corretti Informatori»: quel Bernd Lewis che ho potuto ascoltare di persona al convegno organizzato in Roma da Fiammetta Nirenstein, un convegno dove si teorizzava la destabilizzazione dei regimi mediorientali. Un lacché di Bush e del suo imperialismo che ha ridotto allo stremo gli USA e il mitico Occidente. Certamente, si può ben dire che un Lewis è la massima autorità in materia. Si tratta di sapere chi è disposto a dargli credito. Nel caso dei «Corretti Informatori» hanno già una loro Verità imposta a suon di cannonate e bombe ovvero ad accuse di antisemitismo e odio razziale a chi è piuttosto riluttante a riconoscerla. Non devono affaticare molto la loro mente per attingere una Verità che già possiedono. Il loro problema è solo quella di poterla imporre agli «infedeli». Ma apprendiamo direttamente dalle parole di Sherif el Sebaie nell’articolo incriminato:
…I servizi del comune di Londra scoprirono che le proteste erano state originate da informazioni provenienti da «un’organizzazione di nome Memri», un istituto diretto da un ex funzionario del Mossad, l’’intelligence israeliana. Fondato nel 1998 dal colonnello Yigal Carmon, ex membro dei servizi israeliani di intelligence, già consigliere per l’antiterrorismo di due primi ministri, Itzhak Shamir e Itzhak Rabin, il Memri dichiara di essere un semplice «centro di ricerca», «un’organizzazione indipendente, al di fuori delle parti, senza fini di lucro» creata per fungere da «ponte tra Occidente e Medio Oriente, attraverso le traduzioni».
La tendenza però è quella di presentare come maggioritarie alcune correnti di idee fortemente minoritarie nella stampa e nei media arabi. Lo studio commissionato dal Comune di Londra sulle «140 opere scritte dal dottor Al Qardawi» produceva infatti risultati scioccanti.
Gli analisti concludevano che si trattava «di una evidente manipolazione degli scritti» dello studioso musulmano, di «scoperte menzogne» e che «travisa sistematicamente i fatti, non soltanto quello che dice il dottor Al Qardawi, ma anche quello che dicono molti altri esperti musulmani. Nella maggior parte dei casi, si tratta di una deformazione totale».
La ricerca segnala anche alcuni «casi»: secondo gli «esperti» del Memri, Abdel Karim Abu Al-Nasr - un giornalista libanese ben noto - è saudita, per il semplice fatto che scrive su un giornale saudita.
Il prof. Halim Barakat, della Georgetown University, denunciò invece la sostituzione della parola «sionismo» nella traduzione dei suoi articoli apparsi su Al-Hayat con «ebraismo» per dare l’’impressione che fosse antisemita.
Una ricerca pubblicata su “Le Monde Diplomatique” afferma che «l’efficacia del Memri consiste nel coordinamento molto stretto delle sue attività con i responsabili
[chi sono costoro? Operano nell’ombra e sotto mentite spoglie o per caso non sono già nostre conoscenze?]
delle campagne di propaganda sul campo. Le liste dei giornalisti arabi che loda o denigra costituiscono un sistema di sanzioni e di ricompense».
[Si confronti in IC la dizione “informazione che informa” = lode e ricompensa e “critica” = denigrazione e sanzione. Lo schema corrisponde.]
Interessante notare come Allam abbia ritirato il 21 maggio scorso un premio di 250.000 dollari circa dalla Fondazione Dan David di Tel Aviv.
Ne viene fuori la conferma di appositi istituti creati, finanziati, destinato allo scopo di produrre falsa informazione e disinformazione. Potremmo aggiungere per fare pressioni lobbistiche sulla stampa indipendente. Ciò che maggiormente insospettisce è che in una testata come IC manca ogni minimo principio di dibattito e contradditorio. Se qualcuno dei numerosi terzi diffamati alla “Direzione” ottiene forse la pubblicazione delle “Lettera al direttore” ma poi immancabilmente segue una risposta dello stesso Direttore dove la dose è rincarata e la diffamazione raddoppiata e moltiplicata. Al che bisognerebbe scrivere – come da leggi sulla stampa – una lettera sulla Lettera del direttore, e così via. La logica è che l’Anonimo redattore ha sempre ragione, o almeno così si presenta ad una Lista di lapidatori il cui compito è quello di lanciare sassi sui bersagli loro indicati di volta in volta. Sono Lettori sui generis. Dopo un poco le persone offese girano o alzano le spalle, certe di trovarsi di fronte a qualcosa di atipico nel panorama dell'informazione su carta stampata o tramite internet. Non è mai successi che i «Corretti Informatori» abbiano mai chiesto scusa per qualcosa da loro fatto, fosse pure un numero di telefono o un indirizzo sbagliato. Neppure “rincrescimento” per effetti collaterali non voluti. La dice lunga su con chi abbiamo veramente a che fare.

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2. Una assurda quanto patetica corrispondenza. – Normalmente i «Corretti Informatori» scrivono per i loro Lettori Lapidatori, il cui compito è di raccogliere le imbeccate degli Anonimi Commenti per poi scrivere agli indirizzi forniti insieme con il commento travisante e l'istigazione a mandare missive. Chiaramente il Commentatore/Istigatore non è direttamente responsabile di ciò che l’Ascaro scrive all’indirizzo fornito: il testo della lettera resta una privata corrispondenza fra mittente e destinatario. Non scattano le leggi sulla stampa. Si può immaginare il tenore delle lettere. In qualche caso abbiamo potuto documentarlo: un Corretto Lapidatore scriveva imperiosamente al presidente dell’Ordine dei giornalisti esprimendo censura verso Maurizio Blondet: vedi. Le persone esposte alla ordinaria denigrazione dei «Corretti Informatori» sono spesso normali cittadini non forniti di particolare tutela, che assorbiscono gli insulti senza reagire. I personaggi più famosi e coperti non ritengono neppure degni di attenzione dei faziosi propagandisti che mirano chiaramente al sensazionalismo ed al clamore. Forse è questa la vera ragione sociale del loro essersi costuiti. Capitano pochi casi come quello di Sherif el Sebaie che manda una lettera di protesta con tutti i crismi e che pateticamente i «Corretti Informatori» “ricevono e volentieri pubblicano”. Ma ecco il perfetto testo di Sebaie:
Gentile Redazione di "Informazionecorretta.com",

Ho letto ora sul vostro portale la seguente introduzione ai miei ultimi due articoli pubblicati su Il Manifesto: "Il quotidiano comunista IL MANIFESTO ospita generosamente una campagna, condotta da Sherif el Sebaie per screditare e isolare Magdi Allam, giornalista già raggiunto da una condanna a morte islamica e colpito dall'accusa di apostasia e e di ipocrisia religiosa". (V. http://www.informazionecorretta.com/showPage.php?template=rassegna&id=6730). Niente di più falso: dubito che chi ha scritto quell'introduzione mi conosca o sappia come vivo personalmente la fede islamica. Perché in effetti, ed è forse proprio questo il concetto che a molti sfugge, io non ho nessun interesse nello screditare o isolare Magdi Allam, che è un ex-allievo salesiano come il sottoscritto e l'esempio dell'immigrato che ha avuto successo in un paese che non era il suo. Negli articoli "incriminati", mi sono limitato ad intervistare delle persone - i famosi "musulmani moderati" - in merito ad un appello lanciato da Allam sulle pagine del Corriere. L'articolo di Allam iniziava così : "In Italia sembra essere esplosa la moschea-mania. Da Genova a Firenze, da Verona a Reggio Emilia, da Napoli a Colle Val d'Elsa, tutti la vogliono. Ebbene, da cittadino italiano, musulmano, laico, lancio un appello a tutte le istituzioni dello Stato affinché sospendano la costruzione di nuove moschee". Ho fatto delle domande sull'argomento, e ho trascritto fedelmente le risposte che mi sono state date. Tutto qua. In poche parole ho fatto ciò che farebbe qualsiasi altro intervistatore. Se poi i musulmani moderati hanno deciso di prendere le distanze e criticare le posizioni di Magdi Allam, queste sono le loro opinioni e i loro pensieri, non quelli del sottoscritto o del quotidiano che le ha ospitate. Se fosse stato qualche altro onesto intervistatore a fare quelle domande, avrebbero risposto allo stesso modo e ciò non avrebbe cambiato di una virgola la nuova presa di posizione dell'Islam moderato nei confronti di Magdi Allam, un giornalista che può avere delle idee condivisibili e altre meno. Gli articoli pubblicati da Il Manifesto rientrano quindi nei limiti della dialettica e del confronto civile, della libertà di espressione e soprattutto di informazione. Nessuno può censurare o denigrare il lavoro del sottoscritto solo perché gli intervistati hanno deciso di criticare - tra l'altro civilmente - un pensiero, seppur espresso da Magdi Allam. E nessuno può accusare il sottoscritto - o il quotidiano - di condurre "campagne di discredito e isolamento" nei suoi confronti perché si è limitato a riportare quelle critiche. Invito chiunque abbia intenzione di commentare questi servizi a calibrare meglio le proprie espressioni, perché non mi fa di certo piacere che fatti documentatissimi vengano strumentalizzati. Proprio per questo vi chiedo gentilmente di modificare l'introduzione o quantomeno di pubblicare il testo della presente in calce alla vostra rassegna.

Cordiali saluti
Sherif El Sebaie

Come al loro solito, i «Corretti Informatori» dimostrano di avere ragione perché parlano per ultimi. E quindi alla lettera che li mette in mutande rispondo penosamente con uno sciocco commento a beneficio del loro manipolo di Ascari Lapidatori:
Riceviamo e volentieri
[Ne dubitiamo. Se “Informazione Corretta” è una testata registrata dovrebbero valere le normali leggi sulla stampa. Ma è inutile ricorrervi perché a pubblicazione avvenuta della rettifica, segue come in questo caso une Risposta del Direttore dove vengono riconferamte le “lesioni” che avevano indotto l’interessato a scrivere. Resterebbero le vie giudiziare. Ma ne vale la pena con quel che significa il sistema giudiziario italiano? I “Corretti Informatori” possono quinid contare sull’impunità e di certo hanno copertura finanziaria per eventuali “costi collaterali”. Li si può però ripagare con la stessa moneta, restituendo lo stesso filo ritorto]
pubblichiamo una lettera di Sherif el Sebaie circa la critica "Contro il fondamentalismo islamico: forza Magdi Allam !", pubblicata da Informazione Corretta il 21-10-05.
El Sebaie smentisce
[il termine ‘smentisce” si può applicare a chi dice in un secondo momnte il contrario di ciò che aveva detto prima. Sebaie non smentische nulla di nulla perché non ha mai inteso ciò che falsamente gli viene attribuito dai «Corretti Informatori».]
di aver mai avuto l'intenzione di “screditare e isolare” Magdi Allam.
[Non ve ne è bisogno sia perché Sebaie non ha inteso né fatto ciò con il suo articolo sia perché Magdi Allam è di per se autonomamente screditato... Ma a parte ciò per chi legge, conoscendo abbastanza l’italiano, è del tutto chiaro che Sebaie non tratta la questione attribuitagli. Parla di altro e si occupa di altro. Magdi è soltanto un riflesso di ciò che altri ne pensano. Probabilmente, se Sebaie si venisse ad occupare espressamente di Magdi Cristiano ah ah Allam, analizzandone e criticandone i testi, dell’ex-musulmano ora convertito al cattolicesimo non rimarrebbe un brandello. Ma che io sappia Sebaie non ha fatto questo lavoro critico e non intende dedicare il suo tempo a Magdi Cristiano Allam].
Ne prendiamo atto e non mettiamo in dubbio le su parole.

[È un prendere atto che è un ammettere la propria “scorrettezza” in quanto a Sebaie sono state attribuite cose inesistenti. Se i «Corretti Informatori» fossero loro stessi appena un poco corretti dovrebbero loro chiedere scusa per aver fatto nascere chicchessia a Milano anziché in Roma: vi è poco da prender atto che l'interessato dichiara di non esser nato a Milano bensì in Roma. Vi sarebbe soltanto da scusarsi per avelo fatto nascere in Milano. Ma i «Corretti Informatori» son questi e vi è poco da stupirsi. Anzi si è autorizzati a tutte le congetture che su di loro si voglion fare. Agli occhi immacolati dei Lettori/Lapidatori di IC vien dato ad intendere che Sebaie abbia presentato scuse non dovute, mentre ben si guardano gli stessi IC dal fare loro stessi le dovute scuse all’interessato ed agli occasionali Lettori (non Lapidatori) come chi ora qui scrive queste risultanze critic-analitiche dei testi.]
Resta un giudizio negativo
[di chi? dei “Corretti Disinformatori”? Il loro “giudizio negativo” vale quel che vale, cioè nulla o meglio può valere per organizzazione come quella evidenziata o per gli appositi uffici di propaganda nelle loro sedi più o meno scoperte. ]
su articoli, che, anziché entrare, anche criticamente, nel merito delle tesi di Allam
[abbastanza note dal pubblico interessato ovvero offeso e calunniato da siffatte tesi nè del resto simili tesi meritano partecolare attenzione e valutazione. Che esse siano o non siano degne di particolare esame critico è valutazione di chi un simile lavoro critico per tutta la produzione del Magdi ora Cristiano Allam intendesse o non intendesse fare. Le opinioni qui riferite di terzi sono la legittima reazione di chi si è visto denegato il proprio diritto di religione e di culto. È una minima reazione quanto mai legittima. Che i “Corretti Informatori” non siano in grado di valutare la situazione per quella che effettivamente è, ma tentino di infinocchiare e menare il can per l’aia può significare che l’intelligenza dei loro lettori/lapidatori è vicina allo zero, o che tutti insieme vivano in una sorta di autoinganno inconsapevole, o più verosimilmente che si tratti di una mera e volgarissima tecnica propagandistica con ripetizione meccanica a disco fisso delle stesse identiche veline trasmesse di non si sa chi.]
si limitavano a raccogliere opinioni su di esse (risultate tutte negative).
[Viva Iddio ognuno è ancora libero delle sue opinioni, se poi queste autonamente rese risultano tutte negative, allora diventano un verita oggettiva: vox populi, vox Dei. Le opinioni “positive” i Lettori Lapidatori di IC possono trovarle nella stessa IC e solo qui.]
Osserviamo anche che i redattori del MANIFESTO che hanno intitolato uno degli articoli di El Sebaie da noi criticati "Il più moderato degli imam «scomunica» Magdi Allam" non hanno, a nostro giudizio,
[sappiamo quel che vale e lo abbiamo attentamente soppesato: possono risparmiarselo e tenerselo in casa o destinarlo al loro selezionatissimo pubblico ovvero ai loro commitenti]
reso un buon servizio all'autore,
[lasci giudicare ad altri ciò che è buono o non buono: i Corretti Informatori si limitino a non attribuire falsamente ad altri ciò che non dicono, pensano, fanno]
che non vuole l'isolamento di Allam.
[Anche qui si mistifica. A leggere bene il testo in Sebaie non si può ricavare nessuna intenzione al riguardo né positiva né negativa perché egli non tratta la questione che gli viene attribuita, almeno nel testo esaminato. Se poi Sebaie si voglia pronunciare in altra sede o in altro momento sulla questione, è altra faccenda]
Quale può essere infatti il senso di una scomunica se non quello di isolare chi la subisce?
[Colmo dell'impudenza! Il Magdi esordisce scomunicando lui gli altri con il precludere loro il diritto di esercitare il loro proprio culto: non si devono più costruire moschee e se se ne costruiscono lo stesso Magdi mancato Papa Musulmano dovrebbe stabilire lui cosa possono o non possono predicare. Gli interessati sconfessano in tutto e per tutti un Magdi Musulmano che di lì a poco diventa un Magdi Cristiano e i «Corretti Informatori» guaiscono facendo del vittimismo per conto del Magdi Scomunicato. Se tutto ciò non fosse ascrivibile ai metodi della più ottusa propaganda ripetiva, si dovrebbe pensare ad un malfunzionamento delle normali connessioni neurali]
Da parte nostra, ribadiamo che, per noi, il miglior esempio dell' islam che si suole definire "moderato", e che è poi semplicemente l'islam non fondamentalista e che rispetta la vita umana,
[Quale sia il rispetto della vita umana della parte in cui si trovano i «Corretti Informatori» lo si apprende dalla pulizia etnica del 1948 fino all’odierna Gaza/Auschwitz ed alla pratica israeliana della rappresaglia basata sul rapporto 1:100. Sempre più ricorrenti sono le inchieste da dove risulta il regime di Apartheid in Israele. Di vita e dignità umana i Corretti Informatori non sono legittimati a parlarne, considerati i precedenti citati e documentati]
è dato proprio da coraggiosi giornalisti come Magdi Allam,
[È coraggioso quanto può esserlo chi nega pubblicamente ad altri diritti costituzionali riconosciuti. È certamente “coraggioso” ogni criminale che attenta alla vita, ai beni e ai diritti altrui. Ad ognuno che sia aggredito lo stesso sistema giuridico riconosce la legittima difesa, pure punendone gli eccessi o l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni.]
o da organizzazioni dedite a una ricerca puramente spirituale come il Coreis,
[ne odo per la prima volta, ma so che la storia del sionismo è costellata di organizzazioni fantoccio e di persone alla Quisling. Del resto, giudice di simili organizzazioni e persone saranno con il tempo le loro stesse azioni: dimmi il frutto e ti dirò qual è l’albero.]
che a quanto ci consta condivide le posizioni di Magdi Allam e che ancora non è stata interpellata da El Sebaie nella sua inchiesta.
[E perché non chiedere a Sebaie che faccia la sua inchiesta interpellando direttamente le organizzioni, coperte o scoperte, facenti capo al Mossad o agli uffici israeliani di propaganda per l’estero?]
Ecco il testo della lettera: etc [vedi oltre]
Ci piange il cuore per il tempo che stiamo dedicando a svelare e documentare una chiara attività propagandistica volta a condizionare la libera formazione dell’opinione pubblica. Ma lo facciamo nella consapevolezza di adempiere in questo modo ad un compito di difesa delle nostre libertà costituzionali e democratica. Alla nostra analisi manca ancora una valutazione statistica e qualitativa dell’impatto e dei guasti che una così chiara attività propagandistica e lobbistica ha finora potuto produrre nonché della rete e dei referenti di cui si avvale.

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3. Una rassegna stampa penosa. – Se «Informazione Corretta» è un servizio pensato e diretto da Israele, mi chiedo quale può essere la sua efficacia ed a chi destinato. Di certo non agli stessi «Correttori» o a eventuali committenti del servizio. Supponendo dei destinatari terzi, deve trattarsi o di persone totalmente sprovvedute che possono essere orientate con tecniche puramente propagandistiche in favore di Israele oppure se appena sono persone criticamente attrezzate si può ipotizzare un “ritorno di fiamma”. Orbene non vi è chi non comprenda la differenza fra una figura religiosa come Maometto, che stando all'ortodossia musulmana non può neppure essere raffigurata per immagini, figuriamoci a farne una satira blasfema ed una figura come la stessa Fiamma Nirenstein, di cui Vauro ha disegnato una vignetta satirica. Tutti ricordano la reazione che vi è stata per la vignetta satirica su Fiamma Nirenstein, che non è Maometto, ma la reazione della Lobby è stata tale che la nostra Fiammetta pareva una figura più sacra dello stesso Maometto, il quale secondo l’estensiva interpretazione dei nostri Soloni avrebbe potuto e dovuto essere vilipesa, senza nessun beneficio per la libertà di espressione come garantita ad esempio dal nostro art. 21 e con grave e gratuita offesa al sentimento religioso altrui. Ma questa è la “corretta” logica dei nostri «Eletti Informatori».
(segue)

4. Le nuove frontiere dell’antisemitismo. – A causa di problemi tecnici di visualizzazione del sito originario ripubblico qui di seguito, sperando di far cosa gradito all’Autore, che non mi riesce di contattare, questo suo testo che ho trovato in rete e che mi riservo di leggere attentamente, facendolo seguire da mie eventuali osservazioni e riflessioni. Il testo era originariamente diviso in quattro puntato. Viene da me riunificato in questo paragrafo:
Le nuove frontiere dell’Antisemitismo
di
Salamelik

1.

In questi ultimi anni, è apparsa una nuova forma di razzismo, alimentata dal fenomeno di migrazione dai paesi in via di sviluppo verso l’Occidente. Pur avendo le stesse caratteristiche del razzismo nazista o fascista, non ne ha l’ apparenza esteriore: è un razzismo che vuole sembrare difensivo, che mira ad allontanare non tanto il rischio di contaminazione biologica quanto sociologica e culturale. Più che di un razzismo che delinea gerarchie razziali (anche se tende sempre più a farlo) è un razzismo che proclama le differenze – etniche, sociali, culturali – e che sostiene la loro ineluttabilità, anzi la loro necessità. I sociologi Laura Balbo e Luigi Manconi hanno studiato questo razzismo “differenzialista” e ne hanno individuato alcune caratteristiche.

Hanno cosi descritto una forma di razzismo “addizionale o di allarme” che sottolinea il pericolo del dilagare di criminalità e di violenza (di questi tempi il terrorismo) da parte di individui sradicati dalle loro società di provenienza: una sorta di razzismo falsamente raziocinante che cela i tradizionali pregiudizi e diffidenze dietro un’apparente manifestazione di buon senso che insiste sulla rappresentazione miserabilista delle condizioni di vita degli immigrati e sulla cancellazione della loro dimensione quotidiana. C’è poi un razzismo “concorrenziale” che teme gli immigrati come potenziali competitori nel possesso e nello sfruttamento delle risorse nazionali, considerate “proprietà privata” degli abitanti originari. Potrebbe sembrare strano, se riferito all’ “emancipata” società occidentale, ma le donne vengono ritenute parte integrante di quelle “proprietà”. Generalmente però, è una concorrenza che rischia di esplodere soprattutto per quanto riguarda la risorsa del lavoro in una situazione economica destinata a fare della disoccupazione un fatto strutturale della sua organizzazione. Infine, c’è un razzismo “culturale”, che nasce dalla “difesa” del proprio sistema di valori, della propria cultura e del proprio stile di vita e dal rifiuto o svalutazione di valori, cultura e stile di vita altrui.

Sottovalutare e minimizzare queste tipologie di razzismo, o addirittura tollerarle come succede adesso, è alquanto pericoloso: il passaggio dalle differenze “culturali” a quelle puramente “biologiche” o “razziali” è infatti abbastanza breve. Le sue basi “scientifiche” sono in testi come “Sociobiologia. La nuova sintesi” di Edward Wilson (1975), dove l’autore sostiene che i fondamentali comportamenti sociali dell’uomo – quelli legati alla sfera dell’etica, della politica, finanche della religione – sono deterministicamente riconducibili al patrimonio genetico. Ma anche Levi Strauss afferma che “Il ritmo e l’orientamento dell’evoluzione biologica dell’uomo sono determinati in amplissima misura dalle forme di cultura adottate nei vari luoghi, e dai costumi adottati in passato o tuttora prevalenti. Anziché domandarci se la cultura è o non è funzione della razza, scopriamo che la razza – o quanto generalmente si intende con questo termine – è una tra le funzioni della cultura. È la cultura di un gruppo che determina i limiti geografici che esso si assegna o subisce, i rapporti di amicizia o ostilità che mantiene con i popoli vicini”. Nel modesto parere del sottoscritto, il tentativo di stabilire elementi di intersezione tra biologia e cultura (o il contrario) con ferrei rapporti di causa-effetto, è particolarmente pericoloso e premonitore. D’altronde, l’inesistenza di tale legame è semplicemente dimostrata dal fatto che un bambino indiano, africano o cinese, cresciuto in occidente assorbe tutti i valori e gli ideali occidentali, indipendentemente dalla sua origine.

Ciò che conta comunque, è che il razzismo – in tutti questi casi – viene ritenuto un mezzo “difensivo”: non siamo noi a voler sterminare loro, ma loro a voler sterminare noi, togliendoci risorse o imponendoci la loro cultura, nella migliore delle ipotesi. Da qui la decisione di sterminarli preventivamente. L’elemento strano, ma al contempo pericoloso, è che si tratta di “razzismo senza razzisti”, in cui – in mezzo alle tanti farneticanti affermazioni razziste – appare sempre una formale negazione delle stesse, del tipo: “Premetto che non sono razzista, ma gli arabi dovrebbero civilizzarsi”. Una formula simile è riscontrabile nei libri della Fallaci che afferma di essere “abituata a stare con tutte le razze e tutti i credi, cittadina abituata a combattere tutti i fascismi e tutte le intolleranze, laica senza tabù” salvo poi parafrasare il Mein Kampf di Hitler in chiave anti-islamica. Questo paragone, già espresso in un mio articolo sulla signora in questione, è stato giudicato “eccessivo” da parte di alcuni lettori. Ma un lettore del mio blog ha gentilmente dimostrato, in un suo commento, il parallelo Fallaci-Hitler riportando questi due brani:

«Oramai la nostra, caro Romano Prodi, non è più Europa, ma Eurabia. Anche per colpa tua, e poi di Fini, Berlusconi e dei preti. Ci hanno invasi, lo hanno stabilito a tavolino i loro capi terroristi, e li abbiamo aiutati nel loro progetto: gli islamici così sono i nostri padroni. Il ventre molle di questa Europa, destra e sinistra, cattolici e laici, si è lasciato attraversare dalla spada di Allah e quasi ringrazia, mostra il volto festoso. E non capisce che siamo perduti. Resta qualcosa da fare? Provare a resistere. Toglierci dalla faccia il sorrisino beota. Usare la ragione e la forza, confutare l’Islam e le motivazioni irrazionali e suicide di chi lo ha voluto e lo vuole ospite riverito. Altro che baciare il Corano. Quelli ci sottometteranno, e prima ci intimidiscono con il terrore»
brano tratto da “Oriana Fallaci, La Forza della Ragione (sic)” e il seguente, tratto invece dal Mein Kampf di Hitler:
«L’importanza del valore del sangue di un popolo può diventare totalmente efficace quando questo valore è doverosamente valutato ed apprezzato. I popoli che non capiscono questo valore o che non lo sentono più per mancanza di un istinto naturale, incominciano a perderlo immediatamente. La mescolanza del sangue e il danno alla razza sono perciò le conseguenze che, senza dubbio, all’inizio non di rado vengono introdotte per mezzo di una cosiddetta predilezione per le cose straniere, che in realtà è invece una sottovalutazione dei propri valori culturali nei confronti dei popoli stranieri. Quando un popolo non apprezza più l’espressione culturale della propria vita spirituale condizionata attraverso il suo sangue, o incomincia addirittura a vergognarsene allo scopo di rivolgere la sua attenzione a espressioni diverse della vita, rinuncia alla forza che sta nell’armonia del suo sangue e nella vita culturale che ne è nata. Allora gli Ebrei possono farsi avanti sotto ogni forma, e questi maestri dell’avvelenamento internazionale e della corruzione razziale non avranno riposo finché non avranno completamente sradicato e corrotto questo popolo. La fine perciò è la perdita di un definito valore unitario razziale, e in seguito il declino ultimo».
Di fatti, l’antisemitismo nazista era motivato dalla fantasia che esistesse una sorta di grande al-Qaida degli ebrei, guidata dagli anziani Savi di Sion, che aveva creato gli orrori della rivoluzione russa e che stava cercando di impossessarsi del mondo intero, come ordinava loro il Talmud.

Perché insisto cosi tanto sulla Fallaci? Perché i suoi testi e il successo che hanno riscontrato mi ricordano il successo di “La France Juive” di Edouard Drumont, uno dei più importanti protagonisti dell’antisemitismo europeo. L’opera in questione usci nel 1886 e raggiunse in pochi anni le duecento ristampe, con centinaia di migliaia di copie vendute. Nei suoi volumi, scritti con chiaro stile giornalistico diffusivo, Drumont sostenne le principali tesi dell’antisemitismo moderno. Quali furono le conseguenze, in era moderna, di una simile ideologia è ben noto a tutti: basterebbe ricapitolare la storia della Shoah o dare un’occhiata ai campi di concentramento nazisti per capirlo. I libri della Fallaci quindi - e lo stesso vale per le dichiarazioni dei vari politici, giornalisti e uomini religiosi o sedicenti tali improntate sullo stesso tono - sono chiari preamboli da non sottovalutare di quella che non esito a chiamare “L’era del ritorno dei forni”. La Fallaci stessa, sottoposta a processo, si è appellata alla libertà d'espressione e ha affermato che è "ormai venuta l'ora di fare dell'anti-islamismo elementare" che presumo voglia essere paragonabile all’antisemitismo elementare del Mein Kampf che ha dato il via alla “soluzione finale”. Considerato il clima attuale quindi, c’è un sostanziale pericolo di vedere risorgere i lager nazisti in chiave antislamica. Ma forse sarebbe più corretto definirli, di nuovo, in chiave antisemita. Solo che stavolta i semiti in questione non sono gli ebrei, bensì gli arabi. D’altronde, il termine “antisemitismo” - come afferma Gadi Luzzatto Voghera, studioso di storia degli ebrei in età contemporanea – non è chiaro e di conseguenza risulta anche difficile una definizione non equivoca della parola stessa. In effetti, il “semitismo” - dice Voghera - non indica alcun tipo di movimento, di ideologia politica, di corrente culturale. Quando, nella seconda metà dell’ottocento, questo termine entrò nel vocabolario, ci si riferiva a un’ipotetica quanto infondata caratterizzazione di razza che avrebbe dovuto identificare il gruppo di popolazioni che derivavano dal ceppo linguistico cosiddetto semitico, di cui – guarda caso – anche gli arabi fanno parte. Da qui, la mia proposta di estendere le frontiere della persecuzione legale di crimini o offese antisemite, nell’immaginario comune e soprattutto nelle aule dei tribunali, alla fiorente industria letteraria o alla sua trasmissione orale che qualifica gli arabi con i peggiori epiteti e luoghi comuni. Considerati i precedenti storici e i chiari paragoni attuali, mi sembra in effetti il minimo per scongiurare - o quanto meno ritardare - “l’epoca del ritorno dei forni” che potrebbero benissimo estendersi di nuovo anche agli ebrei stessi, cosa che la Lega internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo ha probabilmente capito prima di tutti, con la decisione di scendere in campo contro la Fallaci in Francia. Domani vi illustrerò il perché di una simile affermazione.

2.

Quando si insiste sulle cosiddette “radici giudeo-cristiane” dell’Europa, dell’Occidente e della civiltà occidentale più in generale, lo si fa in realtà con l’intento di dare l’impressione che Ebraismo e Cristianesimo siano sempre convissuti felicemente l’uno accanto all’altro, integrandosi e ispirandosi a vicenda, dando cosi alla luce una civiltà occidentale da sempre aperta e tollerante e chiaramente contrapposta alla civiltà islamica che - manco a dirlo - è intollerante nonché “da sempre antisemita”. Ma non c’è nulla di più falso: l’antisemitismo è una manifestazione tipicamente occidentale che ha una storia che attraversa le vicende dell’Occidente negli ultimi 2000 anni e più, a partire dal momento in cui la polemica tra cristianesimo ed ebraismo sul tema del Messia salvatore è fuoriuscita dai binari teologici per sconfinare nella diffamazione (accuse di omicidi rituali in cui gli ebrei avrebbero mescolato il sangue di bambini cristiani con il pane azzimo, avvelenamento di pozzi, causa di peste ecc ecc) e nella persecuzione fisica, quest’ultima inaugurata con la trasformazione del cristianesimo in religione di stato. Gli episodi più emblematici della persecuzione antisemita si consumarono spesso e volentieri su diretta istigazione delle autorità ecclesiastiche (basterebbe pensare al Vescovo di Callinio che ha bruciato, guidando i fedeli, una sinagoga oppure al Vescovo di Milano che si rammaricò di non aver fatto altrettanto con quella della propria città). A partire dal secolo XVI, e in particolar modo dopo l’emanazione della bolla Cum nimis absurdum voluta da Papa Paolo IV, gli ebrei furono costretti a risiedere in ghetti, in zone spesso degradate delle città, separati dal resto delle popolazioni. Già in precedenza, il IV Concilio Laterano (1215) aveva preso un provvedimento per distinguere gli ebrei dalla popolazione cristiana, imponendo di applicare ben visibile sopra gli indumenti un segno (un cerchio di stoffa colorata, un cappello o altro a seconda dei luoghi) che rappresentava una prima forma di differenziazione fisica che non aveva nessuna ragione di esserci. A questo quadro di limitazioni, si aggiunse progressivamente una serie di restrizioni giuridiche che impedirono agli ebrei forme di attività che non fossero il commercio e il prestito di denaro. Pogrom, roghi, conversioni forzate, espulsioni e confisca dei beni erano all’ordine del giorno: gli episodi più significativi si verificarono in Inghilterra (1290), Francia (1306), Spagna (1492) e Portogallo (1497) con la benedizione dei cristianissimi principi occidentali e sommo piacere delle popolazioni locali. I secoli XVII e XVIII sono noti nella storia ebraica come “i secoli dei ghetti”. Nell’ottocento poi, l’antisemitismo religioso venne revisionato in chiave politica: nel 1881 sommosse popolari antiebraiche in Russia, nel 1894 il caso Dreyfus in Francia, nel 1905 i falsi “Protocolli degli anziani Savi di Sion” fino ad arrivare al Mein Kampf di Hitler, ad Auschwitz e allo sterminio a cui parteciparono attivamente e volontariamente tutte le popolazioni europee coinvolte. Ancora oggi, succede che alla moglie ebrea di un marito cristiano venga chiesto di firmare, in Curia, un documento in cui si impegna a non cercare di convertire i suoi figli all’ebraismo, Questa è, molto in breve, la storia degli ebrei in Occidente, per cui non raccontiamoci fandonie sulle origini “giudaico-cristiane” della civiltà occidentale.

La storia, infatti, dimostra ben altro. Bernard Lewis, professore emerito presso la Princeton University, nonché autorevole studioso ebreo della storia dell’Islam la illustra molto bene quando dice:
“Per gran parte del Medioevo gli ebrei dell’Islam costituirono la parte più consistente e più attiva del popolo ebraico. Gli ebrei che vivevano nei paesi cristiani, cioè in Europa, erano una minoranza relativamente poco importante. Con poche eccezioni, tutto quanto di creativo e di significativo vi era nella vita ebraica accadeva nei paesi islamici. Le comunità ebraiche dell’Europa costituivano una sorta di appendice culturale degli ebrei che vivevano nel mondo islamico, di gran lunga più progredito e sofisticato, che si estendeva dalla Spagna musulmana a occidente fino all’Irak, all’Iran e all’Asia centrale a oriente”.
Sarebbe quindi giusto e legittimo parlare di una tradizione giudeo-islamica con contributi ebraici alla civiltà islamica e contributi islamici a quella ebraica. Gadi Luzzatto Voghera nel suo saggio sull’antisemitismo invece afferma
“Storicamente infatti nei paesi dominati dall’Islam la convivenza fra ebrei, cristiani e musulmani era stata generalmente ispirata a reciproco rispetto. È noto il debito di riconoscenza che sul piano culturale il mondo ebraico nutre nei confronti dell’Islam per il grado di tolleranza mantenuto nel medioevo”
tant’è vero che i grandi pensatori e filosofi ebrei, come Mosè Maimonide, scrivevano le loro opere direttamente in arabo. Elena Lowenthal, giornalista della Stampa, citando il libro di Giuliano Tamani “La letteratura ebraica medioevale, secoli X-XVIII), scrive
“Fu infatti nella seconda metà di questo secolo (X) che cominciarono in Andalusia la rinascita della lingua ebraica e un modo di intendere la letteratura completamente diverso dal passato”.
La religione ebraica e quella islamica hanno infatti molti tratti in comune: La legge islamica stabilisce per esempio che il digiuno ha inizio all’alba quando “è possibile distinguere un filo bianco da un filo nero”. Una definizione che assomiglia molto alla massima del Talmud che definisce l’alba, per scopi rituali, come il tempo in cui “si può distinguere tra il blu e il bianco”, o, secondo un’altra opinione, fra il blu e il verde. La legge islamica prevede divieti alimentari e norme di macellazione comuni all’ebraismo ma estranee al Cristianesimo. Né l’ebraismo né l’Islam hanno sacramenti, ordinazione o mediazione sacerdotale. La posizione degli ulema nella vita islamica e quella del rabbinato nelle comunità ebraiche ortodosse si assomigliano moltissimo. Né l’ulema, né il rabbino è un sacerdote ordinato, e nessuno dei due ha una funzione sacerdotale. Non vi è ufficio religioso che un ulema o un rabbino possano compiere che non possa essere svolto da un qualsiasi credente maschio adulto, in possesso della necessaria cultura. Entrambi acquisiscono il loro status attraverso lo studio e il riconoscimento che diventa una forma di certificazione – dove la semikha del rabbino assomiglia molto da vicino alla ijaza che un nuovo ulema riceve dal suo maestro.

A differenza del Cristianesimo, la somiglianza può essere riscontrata anche nelle leggi stesse, nella loro concezione, nel loro scopo, nel ventaglio di argomenti che prendono in considerazione e il ruolo ad esse accordato nella vita personale, pubblica e privata, quotidiana. Ambedue concordano sostanzialmente sull’origine divina e sulla natura duale della Legge, scritta e orale, nella rivelazione e nella tradizione. Il concetto ebraico di Halakha e quello islamico di Sharia (ambedue i termini significano sentiero o via) sono certamente in stretta relazione tra loro. Perfino la pratica dei responsi giuridici, le teshuvot rabbiniche e le fatwa islamiche mostrano un chiaro parallelo. E cosi come il fiqh islamico (la giurisprudenza musulmana) deve molto ai precedenti rabbinici, nella letteratura della filosofia e della teologia, l’influenza procedette dall’Islam all’ebraismo. Bernard Lewis afferma “L’emergere della teologia ebraica si manifestò quasi interamente in terra islamica. Essa fu opera di teologi che utilizzarono sia i concetti che il vocabolario del kalam (parola) musulmana”. Molti temi biblici e rabbinici – come la storia di Elia, la storia di Korah, la maledizione di Cam – hanno significative varianti islamiche.

In epoca medievale perfino la discussione ebraica di alcuni di questi temi fu influenzata dalle versioni islamiche che erano divenute note agli ebrei. Le influenze musulmane sull’ebraismo, afferma Lewis, interessarono anche il rituale e il culto della sinagoga. Nella letteratura e nelle arti, l’influenza musulmana sull’ebraismo fu enorme. C’è stata perfino, oltre alla naturale somiglianza della lingua araba e di quella ebraica, un’influenza araba sulla filologia ebraica. Inutile dire che tutto questo era frutto di un tipo di simbiosi fra gli ebrei e i loro vicini che non ha paralleli nel mondo occidentale fra l’epoca ellenistica e quella moderna, come dice – ancora una volta - Lewis. Va aggiunto, in conclusione, che per i musulmani, l’ebraismo non fa parte delle doglie del parto della loro religione, come accade per i cristiani. Non esiste quindi quella dimensione teologica di scontro, che conferisce all’antisemitismo cristiano il suo singolare e particolare carattere.

3.

Con il percorso storico presentato ieri, non voglio negare che ci siano stati - prima del sorgere della questione palestinese - episodi di ostilità tra ebrei e musulmani, più per ragioni politiche che per ragioni teologiche, come sopra chiarito. Il primo dei quali avvenuto - in base alla tradizione islamica - quando il profeta dell’Islam, Maometto, si scontrò con le tribù ebraiche dei dintorni di Medina che non erano intervenute a sostegno dei musulmani contro i politeisti meccani che assediavano la città nonostante avessero sottoscritto la costituzione medinese che affermava, negli articoli 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34: “Gli ebrei ed i credenti formano un unico popolo: gli ebrei conservano la propria religione e lo stesso i credenti. Ciò vale anche per i loro clienti. Rappresentano, però un'eccezione quelli che hanno commesso il misfatto o un tradimento: costoro portano alla perdizione se stessi e la loro causa” e nell’art. 35: “Gli ebrei devono pensare alle loro spese particolari ed i credenti alle proprie. Hanno, però, l'obbligo di soccorrersi a vicenda se qualcuno muove guerra a quelli menzionati in questo foglio. Fra loro devono esistere rettitudine ed onestà; la buona fede vale più dell'inganno e nessuno deve ingannare più il proprio confederato. Si deve venire in soccorso di chi è ingiustamente trattato”. Nella successiva storia del mondo islamico, come dice Lewis, “E’ necessario fare subito una precisazione: vi sono ben poche tracce di una qualche ostilità emotivamente radicata diretta contro gli ebrei – o, in questo senso, contro ogni altro gruppo – simile all’antisemitismo del mondo cristiano. Vi erano tuttavia atteggiamenti negativi. Questi erano, in parte, i “normali” sentimenti di un gruppo dominante nei riguardi dei gruppi sottomessi, con paralleli in pressoché qualsiasi società che si voglia prendere in esame”, in un’epoca in cui era considerato funzionale al potere, nonché normale, non deviare da certi modelli sociali fortemente radicati nelle mentalità di tutte le comunità assoggettate. È vero quindi che non vi era da parte del dominatore musulmano la tendenza a concedere la parità, ma va tenuto in conto che il concetto stesso di parità non esisteva in un epoca in cui le idee di uguaglianza fra l’umanità erano considerate assurde e insensate un po’ da tutti. Un’ eventuale azione politica votata alla parità, in quell’ epoca, sarebbe stata interpretata come un segno di debolezza da parte dei governanti, con conseguenze strategiche e militari incalcolabili. Ciò nondimeno, vi era un atteggiamento favorevole al vivere e lasciare vivere, e anche un certo rispetto nei confronti di coloro che detenevano e tramandavano antiche culture e rivelazioni. Non va dimenticato in effetti che gli ebrei, al pari dei cristiani, erano considerati – dai musulmani - “popoli del libro” a cui andava garantita la libertà di culto e una sostanziale autonomia nella gestione degli affari e persino della giustizia (con i tribunali rabbinici pienamente funzionanti) all’interno della propria comunità il che non vietava però agli ebrei di rivolgersi al giudice musulmano per risolvere eventuali controversie interne. Gli ebrei dell’Islam non erano soggetti, come in Europa, a restrizioni nel campo delle professioni: essi potevano perfino raggiungere posizioni di rilievo in molti campi, dalla medicina alla diplomazia e gli esempi non mancano. Salvo rarissime eccezioni, non erano soggetti a restrizioni abitative: il fenomeno della “Hara-t-al-Yahud” (Quartiere degli ebrei) era dovuto ai meccanismi sociali che fanno si che determinati gruppi etnici o religiosi si aggreghino entro determinati confini.

Nelle città arabe, e nella stessa Gerusalemme, esistono quartieri noti come dei cristiani, armeni o musulmani, con buona pace della signora Deborah Fait, la quale - sfoggiando un’ pessima conoscenza linguistica - ha confuso il termine arabo quartiere (Hara) con merda (khara) in una sua affermazione pubblicata su un portale propagandistico: “anche in Tunisia vengono creati i ghetti, qui si chiamano Hara" aggiungendo "Chi conosce l'arabo sa che significa merda" dando quindi l’impressione che gli ebrei vivessero in quartieri chiamati dagli arabi “merda”. Le restrizioni in termini di abbigliamento o di copricapo indossati dai vari sottogruppi all’interno della società islamica, spesso menzionati come prova della discriminazione a danno degli ebrei in terra musulmana, servivano come elemento di riconoscimento tanto interno quanto esterno e, in molte situazioni, non comunicavano intenzioni ostili, aggiunge Lewis: “Da tempi molto antichi fino ai giorni nostri infatti, in certe regioni vari gruppi settari, regionali, etnici e tribali hanno conservato e perfino tenuta in grande considerazione il taglio, il colore e lo stile dei loro abiti e copricapo, che li contrassegnava come diversi da altri popoli e perciò, presumibilmente, superiori ad essi. Un abbigliamento particolare serviva anche all’utile scopo di facilitare il reciproco riconoscimento e la richiesta di solidarietà e sostegno, soprattutto da parte dei dominatori musulmani che all’inizio si trovarono in condizioni di minoranza rispetto alle popolazioni assoggettate”. Problema che invece non si presentava in Occidente, dove gli ebrei erano l’unica esigua minoranza del territorio. Già nel settimo secolo a.C. il profeta Sofonia (I,8) afferma che “nel giorno del sacrificio al Signore”, Dio punirà “tutti quelli che sono vestiti con abbigliamento straniero”. Analogamente, lo stesso Talmud esorta gli ebrei a non vestirsi come i persiani, vale a dire i padroni dell’impero in cui vivevano. Le minoranze ebraiche in terra islamica quindi, diversamente da quelle dei paesi cristiani, non erano che una fra le molte minoranze presenti in una società diversificata e pluralista in cui ebrei e musulmani avevano continui e stretti contatti che si traducevano in una comunanza sociale e intellettuale, collaborazione, mescolanza e perfino amicizia personale. D’altronde, come dice Lewis in merito alla somiglianza fra un capitolo di una delle opere teologiche del grande teologo musulmano Al Ghazali (1059-1111) e l’opera di un filosofo ebreo di nome Bahya, poi rivelatesi entrambi ispirati ad una precedente opera cristiana: “una società in cui è possibile il plagio fra teologi di tre religioni diverse ha senza dubbio raggiunto un alto livello di tolleranza e simbiosi”.

Quand’è che ha fine la tradizione giudeo-islamica? Con il sorgere del fanatismo nazionalista occidentale che voleva “purificare” i territori dell’Europa dalla presenza ebraica e la conseguente nascita di un movimento nazionalista ebraico (il Sionismo), altrettanto fanatico e ad esso contrapposto. In realtà, una prima manifestazione “nazionalista” del genere si ebbe con la reconquista spagnola a cui seguì la cacciata dei mori e degli ebrei dalla penisola iberica. Quest’ultimi hanno trovato rifugio proprio nei territori dell’Islam, portandosi dietro tutto il loro bagaglio di conoscenze sull’Occidente. Non a caso un visitatore spagnolo, riferisce che “Qui a Costantinopoli ci sono molti ebrei, discendenti da quelli che il Re Cattolico Don Ferdinando ordinò fossero cacciati via dalla Spagna, e fosse piaciuto a Dio che venendo qui essi fossero affogati nel mare! Poiché hanno insegnato ai nostri nemici gran parte di ciò che sapevano sulle malvagità della guerra, come l’uso di artiglieria di ottone e dei fucili con l’acciarino”. Un autore ebreo scrive ai suoi correligionari perseguitati in Germania, nella prima metà del quindicesimo secolo “Dichiaro a tutti voi che la Turchia è una terra dove non manca nulla, e dove, se lo vorrete, tutto vi andrà bene. La via per la terra promessa si apre a voi attraverso la Turchia. Non è forse meglio per voi vivere sotto i musulmani che sotto i cristiani? Qui ogni uomo può vivere in pace sotto la sua vigna e sotto il suo fico”. Come afferma Lewis “Il coinvolgimento delle potenze occidentali nelle questioni degli ebrei nei paesi islamici non tornò sempre a loro vantaggio; talvolta, anzi, fu vero il contrario”. D’altronde tutta la letteratura antisemita che si è diffusa nel mondo arabo non è altro che la traduzione delle principali opere antisemite europee, spesso e volentieri stampate e divulgate dalle comunità cristiane di stanza nel mondo arabo. E, come fa notare Lewis, le principali accuse di omicidio che hanno dato il via a manifestazioni di antisemitismo nelle capitali arabe nascevano quasi invariabilmente in mezzo alla popolazione cristiana e furono spesso diffuse dai cristiani, in particolare dalla stampa greca; queste accuse furono talvolta appoggiate e saltuariamente addirittura istigate da rappresentanti diplomatici stranieri, in particolare greci e francesi. Ma gli ebrei potevano contare sulla buona volontà delle autorità ottomane e sul loro aiuto - quando esse erano in grado di darlo - o appellarsi all’Inghilterra. Non è un mistero però che questo stesso “protettore”, che svolgeva tale ruolo per meri interessi politici (strumentalizzando le minoranze religiose per minacciare gli stati interessati, esattamente come fanno oggi gli Stati Uniti) si sia ben guardato dal condannare l’antisemitismo nascente del partito nazista tedesco (anzi, proprio in quel periodo Inghilterra e Russia hanno sottoscritto un patto con Hitler) e - come hanno dimostrato numerosi storici in anni recenti - dal bombardare, nel corso della guerra, le linee ferroviarie che portavano ai campi di concentramento, pur essendo perfettamente a conoscenza dell’esistenza di simili strutture. Non parliamo poi dell’aiuto dato dal Vaticano ai criminali di guerra nazisti per fuggire in Sud America. A guerra finita poi, nel 1946, gli ebrei superstiti di Kielce, in Polonia, furono linciati dalla folla in seguito ad un’accusa di omicidio rituale. Questo significa che l’antisemitismo europeo non accennava a calmarsi, nemmeno a guerra finita. Di fatto, l’antisemitismo europeo si calmò solo con la creazione dello stato di Israele, inteso come un immenso ghetto (e con la costruzione del cosiddetto muro di sicurezza tende sempre di più a diventarlo) in cui “scaricare” gli ebrei sopravissuti all’olocausto contrapponendoli agli arabi locali per poi strumentalizzare il tutto. Ma questo sarà l'argomento dell'ultima puntata.
di Sherif El Sebaie | 21/10/2004

4.

I pilastri del progetto di strumentalizzazione occidentale della questione arabo-palestinese, ben si delineano in alcune lettere di Lord Balfour (lo stesso che ha promesso agli ebrei, nel 1917, un “focolare nazionale nella Palestina occupata dagli inglesi) tipo quella datata 31 ottobre 1917: “La grande maggioranza degli ebrei in Russia e in America sembra favorevole al Sionismo…Se potessimo emettere un comunicato di appoggio a quell’ideale, avremo l’occasione organizzare una campagna propagandistica”oppure quella datata 17 novembre 1919: “Il sionismo, giusto o sbagliato che sia, buono o cattivo, affonda le radici in tradizioni millenarie, in necessità attuali, e in future speranze la cui importanza è ben più profonda dei desideri e dei pregiudizi dei 700.000 arabi che vivono in quell’antico paese”. Una politica che è ben riuscita nel suo intento: da cinquant’anni a questa parte, sia gli arabi che gli ebrei non fanno altro che sprecare risorse nella lotta che li contrappone. Una lotta che, all’inizio, non ha mai avuto i contorni della guerra dei religione o della persecuzione antisemita bensì quelli della lotta fra occupanti e occupati: nella storia del mondo arabo non c’è nulla di simile ad Auschiwtz nonostante ci fossero migliaia di ebrei residenti nei paesi arabi in guerra contro Israele. Anzi, fu loro permesso di raggiungere il nascente stato ebraico, rinforzando di conseguenza le fila dell’esercito israeliano stesso. Il leader dell’Olp, Arafat, non ha mai avuto pregiudizi antisemiti. Un suo amico d’infanzia al Cairo era un ebreo e nel 1955 emigrò in Israele. In un’intervista ad uno dei più importanti quotidiani israeliani, Yediot Aharonot, il 3 gennaio 2004 disse: “Yasser veniva da noi, a volte si fermava a pranzo o cena. Eravamo molto amici. Giocavamo spesso a pallone, con una palla fatta di vecchie calze. Per il Ramadan davamo fuoco al pallone e ci giocavamo. Non c’erano differenze tra ebrei ed arabi: stavamo tutti assieme, ma in caso di litigi mi difendeva sempre dagli altri bambini arabi”. L’Olp stesso era un’organizzazione laica e il suo vertice politico fu il primo a mostrarsi preoccupato che la battaglia di rivendicazione palestinese potesse essere danneggiata dalla presenza di tendenze antisemite nel movimento. In un libro sul Talmud pubblicato dall’Olp nel 1970, l’autore As’ad Razzuq ha lamentato che gli scrittori arabi si fossero affidati in genere a fonti cosi screditate come i Protocolli o il Talmudjude di Rohling, fonti che “oggi sono rifiutate e disprezzate da tutte le persone civili” innestando forzatamente in un mondo non europeo tutto il bagaglio europeo di stereotipi antisemiti. Peccato che Israele abbia deciso di chiudere un occhio, inizialmente, su una formazione religiosa fondamentalista, Hamas, da contrapporre ad Arafat. Organizzazione che, a lungo andare, trasformò la lotta palestinese in una guerra di religione dove ogni ebreo è considerato un soldato. Lo stesso Hajj Amin Al Husseini, mufti di Gerusalemme “inchiodato” dal suo sostegno al Fuhrer del Terzo Reich, chiarì la sua posizione prima della morte, avvenuta nel 1974: più che antisemitismo, la seconda guerra mondiale imponeva una scelta di campo. Gli inglesi erano padroni della Palestina e avevano aiutato gli ebrei a installarvisi per fondare uno stato. In quanto ai tedeschi, non avevano imposto alcun giogo coloniale al mondo arabo, e inoltre erano nemici di inglesi ed ebrei “Il nemico del tuo nemico è tuo amico” aveva concluso. Alla stessa conclusione è arrivato anche Stefano Fabei, autore di “Il Fascio, la Svastica e la Mezzaluna” in un’intervista a Radio Radicale: “Non si può valutare la decisione dei nazionalisti arabi alla luce dell’esperienza moderna e di ciò che conosciamo oggi. Per loro, il fine giustificava i mezzi e comunque il Gran Mufti era all’oscuro della Soluzione finale”. Per quanto appaia incredibile, questa tendenza di rivolgersi a chi veniva percepito come il vincitore indiscusso del conflitto, si verifica anche all’interno della comunità ebraica della Palestina, quando è ancora in corso la “soluzione finale”. Un gruppo ebreo di estrema destra, l’organizzazione terroristica Stern, propone ai nazisti un’alleanza: in cambio della partecipazione degli ebrei allo sforzo bellico antibritannico, i nazisti li aiuteranno a creare il loro stato sul suolo palestinese dopo la vittoria del Terzo Reich. Questa, proposta figura nel messaggio inviato dall’organizzazione all’ambasciatore nazista ad Ankara Franz Von Papen nel gennaio del 1941: “C’è una comunanza di interessi tra il nuovo ordine in Europa, voluto dai tedeschi, e le profonde aspirazioni del popolo ebraico. La creazione dello Stato storico degli ebrei su base nazionale e totalitaria alleato con il Reich tedesco, coincide con il bisogno tedesco di rinforzare e salvaguardare le sue future posizioni in Medio Oriente”. Nel novembre del 1947, alle Nazioni Unite il blocco occidentale e la Russia votarono favorevolmente la decisione di creare uno stato israeliano interpretando la sua nascita come risarcimento per un popolo che aveva rischiato l’annientamento. Non mancò però, in questa decisione, e più in generale nell’aperta presa di distanza di ogni forma di antisemitismo da parte di diversi paesi occidentali e del blocco comunista, una profonda serie di contraddizioni quando si pensi che gli stessi governi solo in parte potevano dirsi completamente innocenti in rapporto al massacro compiuto dai nazisti. Churchill stesso mostrava un particolare pregiudizio nei confronti degli ebrei, al pari di Henry Ford (1863-1947), il famoso capitalista statunitense che scrisse il libro “l’ebreo internazionale” in cui ribadiva le tesi dell’antisemitismo moderno. Lo sbaglio di Israele sta nell’aver privilegiato, nelle sue alleanze, il blocco occidentale ovvero chi era colpevole di aver inflitto al popolo ebraico le peggiori sofferenze. Gli arabi sono stati accantonati, perseguitati, deportati, privati della speranza in nome di un iniziale sionismo revisionista, affermatosi con i primi disordini antiebraici negli anni trenta in Palestina (che erano di natura economica, non religiosa) che si è appropriato delle tendenze ideologiche nazionaliste proprie della tradizione della destra europea, proponendo il disegno espansionistico della “Grande Israele” (originariamente pensata come l’estensione spropositata che va dal Nilo all’Eufrate) e la guerra e la deportazione come strumenti efficaci per ritagliare un territorio dalle dimensioni adeguate per il nuovo paese. Questo sionismo, pur avendo rinunciato al disegno del Grande Israele, è tornato in voga con il governo Sharon: indisponibilità al dialogo, demonizzazione degli interlocutori, proposte unilaterali e inconcludenti. Il futuro di Israele non è nel diventare membro dell'Unione Europea, lontana migliaia di chilometri - come chiede a gran voce qualche responsabile politico - ma nell’aprirsi ai suoi naturali e più vicini interlocutori: gli arabi.
di Sherif El Sebaie | 22/10/2004
Avrei da fare qualche osservazione su alcuni dati e fonti, ma nel complesso è una lucida ed utile sintesi.

(Segue)

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