martedì 28 settembre 2010

SPQR tradotto come “Sono Porci Questi Romani”. - Per una critica interna al ceto politico


Correva l’estate 1969 e per il secondo anno di seguito mi guadagnavo un po’ di soldi da spendere durante l’anno scolastico, facendo nei mesi estivi il bagnino sulla spiaggia romana di Castelporziano. Prendevo anche il sole ed il mare, cosa che non mi faceva male. I soldi guadagnati durante quei due mesi mi servivano poi durante tutto l’anno, per le mie piccole spese senza dover gravare sui miei genitori, che di soldi non ne avevano molti. Fu un’esperienza di lavoro e di vita interessante, perché si poteva conoscere una varia umanità e farsi dei ricordi che ancora oggi mi riescono di ammaestramento. Per farci riconoscere dai bagnanti, cioè dai romani che venivano a farsi il bagno nella spiaggia gratuita di Castelporziano, donata dal presidente della repubblica al Comune di Roma, indossavamo una cannottiera di ordinanza con i colori capitolini e la sigla S.P.Q.R., che oggi è oggetto dell’attenzione dei media, per l’ennesima esternazione del padano Bossi.

L’uomo non dice quasi mai nulla di suo. Ma l’ultima sua sortita viene presentata come se si trattasse una sua libera interpretazione. La sigla SPQR viene svolta come “Sono Porci Questi Romani” in luogo del classico e pagano “Senatus Populusque Romanus”, che non ha proprio nulla a che fare con la realtà politica e amministrativa odierna della città di Roma. È in effetti solo una vanagloria del passato che meglio illustra e documenta l’infinita miseria politica del presente, dove Roma non solo è serva dei barbari che l’hanno vinta, umiliata e invasa, ma è afflitta da un ceto politico (il suo “Senatus” odierno?) che trae il massimo di godimento da quella “cupidigia di servilismo” che un “padre della patria”, cioè Vittorio Emanuele Orlando, aveva rimproverato ai politici che si precipitarono a firmare il trattato di pace in nome di quel popolo italiano che dal vincitore veniva loro dato in appalto. Ed in quanti si sono arricchiti con quell’appalto, gelosamente trasmesso da padre in figlio fino ai giorni nostri!

Bossi non si è inventato nulla, perché ricordo bene come un mio compagno di lavoro, già nel 1969, si divertiva a tradurre S.P.Q.R., impresso nella nostra cannottiera, con “Sono Porci Questi Romani”. Mentre scrivo, proprio adesso alcuni operai che ho in casa, pure loro romani e che non si sentono per nulla personalmente offesi, mi dicono che negli anni novanta è pure uscito un film addirittura con lo stesso titolo: S.P.Q.R., dove si parla pure di “porci” e non già di “pazzi” in versione edulcorata alla Asterix. Ma, già nel 1969, non si trattava di una personale invenzione del mio collega bagnino, perché era una voce di popolo che nessuno avrebbe potuto rivendicare come sua propria creazione: nessun copyright poteva essere rivendicato. Naturalmente, noi che portavamo la maglietta S.P.Q.R. non ci consideravamo per nulla “porci”. Anzi, dovevamo avere l’accortezza di toglierci la cannottiera ad intervalli regolari, per non trovarci poi con la tipica abbronzatura dei muratori, che lavoravano nei cantieri sotto il sole con la cannottiera. Il collega bagnino da cui avevo sentito per la prima volta la traduzione della sigla, dava anche una variante, che era la seguente: «Sindaco Petrucci Quanto Rubasti?» Ad essere ora onesti, io non so se l’allora sindaco Petrucci sia mai stato coinvolto in qualche scandalo e se il motto del mio compagno di allora, che mai più rividi e di cui neppure ricordo il nome, fosse semplicemente uno scherzo.

Questa seconda traduzione di S.P.Q.R. dimostra però che si trattava di un diceria, polemica, con cui i cittadini romani, che facevano il bagno a Castel Porziano, ed i Bagnini che li servivano, intendevano in questo modo esprimere una critica ed un biasimo ai politici, che già allora avevano in mano la gestione della cosa pubblica. Non avrei ricordato questo episodio del 1969 se la cronaca di questi giorni non me lo avesse fatto trarre fuori dall’archivio della mia memoria. Passarono gli anni e venne poi la stagione di “Mani Pulite”, strumentale e ipocrita quanto si vuole, ma non priva di fondamento. Ricordo sul tema ancora un altro episodio, assolutamente vero, ma qui richiamato solo per il suo valore esemplificativo.

Ricordo di aver letto, in non so quale anno, su un quotidiano cittadino il caso di un amministratore sorpreso con il denaro di una tangente nascosto nelle mutande. Il fatto rimarchevole non è però questo, cioè che il denaro venisse nascosto nelle mutande. Ricorreva la celebrazione dell’assassinio di Giacomo Matteotti, ad opera del fascismo e di cui Mussolini in parlamento si assunse la responsabilità, suscitando una grande reazione emotiva che avrebbe già allora nel 1925 potuto portare alla caduta del regime. Il mutandiere, di cui non ricordo il nome, or dunque ebbe a fare il solito discorso commemorativo, come usano sempre i politici, giusto in tempo per essere sorpreso, in quella stessa giornata, in flagranza di reato mentre intascava la mazzetta, che cercò malamente di nascondere proprio nelle mutande. Ecco, appunto, chi può certamente essere considerato un “porco”: chi ruba e abusa della pubblica fede, sfruttando la sua impunità politica. Da questa genia siamo in Roma tutti persuasi di essere ancora afflitti e di non poterceli scrollare di dosso: per uno che se ne scopre, cento restano ignoti e impuniti.

Anziché offenderci, noi comuni cittadini romani, dobbiamo ringraziare Bossi, per aver detto lui ciò che noi singolarmente e personalmente non possiamo dire, ottenendo eguale visibilità e risonanza e soprattutto passandola franca. Voglio vedere adesso un Alemanno chiedere a Berlusconi di “cacciare” Bossi dal governo. Può chiedere (e ottenere) che venga “cacciato” qualche insegnante, come nel caso di un docente di liceo, sospeso dietro espressa richiesta capitolina e colpevole solo di dire quel che pensava oltre che di fare onestamente il suo lavoro. Dubito che Alemanno ottenga da Berlusconi la “cacciata” di Bossi dal governo o la sua sospensione dal parlamento per non meno di sei mesi. Quanto al Croppi, che ieri sera reggeva il sacco e tentava difese d’ufficio e di circostanza, davanti alla voce meccanica, monotona e saltellante di un mezzobusto televisivo, per la quale siamo costretti a pagare il canone, sono certo che si inventi di sana pianta il fatto che i cittadini romani stiano tutti dietro a lui ed al suo sindaco. Come fa a saperlo? Lo dice lui, sapendo di non poter essere smentito, non essendoci strumenti di verifica. Può anche dire che i marziani la pensano come lui.

Come elettore di Alemanno, mio malgrado, sarò ben lieto di “cacciare” io questo sindaco alle prossime elezioni, se penserà di presentarsi per un nuovo mandato, non confermandogli il mio voto. Mi auguro anche di poterlo contestare, se sfasciatosi il PdL, come sembra e come è augurabile, in dibattiti interni di partito mi sarà possibile, democraticamente, quella critica contemplata dall’art. 49 della costituzione ma alla quale i politici si sono sempre sottratti. Un filosofo calabrese del Settecento, che dieci anni prima della rivoluzione francese scrisse una critica di Rousseau in tre volumi sull’irriducibile ineguaglianza fra gli uomini, ci insegnava a difenderci dalle menzogne dei politici in questo modo:
«…Quindi quando sentite dire, che i Magistrati son servi pubblici, e soggetti a mille cose, di cui gli altri sono esenti, rispondete, che chi serve per comandare, è sempre più libero di colui, che ubbidisce per non poter servire»
F. Grimaldi, Riflessioni sopra l’ineguaglianza fra gli uomini,
Napoli 1780, vol. III, p. 65-66,

ma anche in De Cive, 1996, n° 2, p. 56.
Oggi, nel 2010, siamo afflitti dalla retorica e dalla menzogna istituzionalizzata. Per l’abbondanza di mezzi di stampa e di carta stampata di ogni genere, sembrerebbe che i nostri siano tempi felici per la libertà del pensiero e la sua espressione. In realtà, viviamo nei tempi più bui, dove impera la manipolazione e l’inganno sistematico, ad opera dei media, un “regno” hobbesiano delle tenebre, che i nostri padri forse neppure si immaginavano. Se nella civilissima Germania sono ben 200.000 le persone perseguite penalmente per meri reati di opinione, dal 1994 ad oggi, e casi come quello di Vincent Reynouard, in Francia, non sono per nulla isolati, non possiamo non deprecare – come esempio di sprechi di Roma “ladrona” – da una parte il sacrificio di importanti istituzioni musicali che hanno visto il sindaco pesantemente contestato e dall’altra il “regalo” di 23 milioni di euro che l’amministrazione comunale ha elargito a noti gruppi di pressione, che chiedono e sempre ottengono, ma con il solo risultato di aver prodotto un ulteriore giro di vite sulla libertà di pensiero e di espressione, anche dei cittadini romani e con aggravio dei contribuenti, anche padani, se l’Italia – come chiesto dalla Lobby che non esiste, otterrà anche per l’Italia l’estensione della normativa tedesca o francese. Ci voleva un Bossi padano per esprimere il disagio e l’insofferenza dei cittadini romani.

Nel frattempo gli sviluppi del caso non sembrano placarsi e Bossi rincara la dose dando del “sepolcri imbiancati” ai critici della sua “battuta”. L’immagine appare quanto mai appropriata ed i cittadini romani, che non si sentono per nulla toccati dai “porci”, non hanno eccessiva difficoltà a decifrare il riferimento. Sembra anche un fin troppo trasparente tentativo di trarre vantaggio, cavalcando una protesta tutta montata dai media, quello di Rutelli, già sindaco di Roma, che annuncia “querela” contro il Senatur, che davanti a qualsiasi giudice potrà opporre il suo diritto alla “critica politica”. Di Rutelli i Romani ancora aspettano la Linea D, che doveva essere inaugurata in tempo per il giubileo del 2000 in onore di Dini, ma ancora nel 2010 non vedono neppure la linea C. Quelli dell’UDC minacciano poi come ritorsione la “sfiducia” per questa sera di mercoledì 29 settembre, alle ore 19, che vedranno l’ennesimo braccio di ferro di Berlusconi con il rischio di una caduta del governo, ai cui numeri restano in sospeso il voto dei finiani. Chi ha un poco di memoria, per l’UDC, che si candida alla rappresentanza di una presunta indignazione dei romani, non può non ricordare l’incredibile episodio di un parlamentare sorpreso con allegre donnette in un albergo romano. Anziché disporne l’espulsione dal partito, per flagrante violazione di ogni elementare principio di etica pubblica, il suo segretario ebbe l’ardire di proporre una specifica, nuova, indennità per i parlamentari, i quali poverini, lontani per alcuni giorni alla settimana dalle legittime mogli, si trovavano esposti alle “tentazioni” e quindi costretti a soddisfare i loro bisogni con allegre donnette, raccolte per strada o in più lussuosi bordelli. Bossi, se la sigla lo avesse consentito, avrebbe ben potuto dire, più fondatamente, “Sono Porci Questi Politici” e pare dubbio che tutta la consorteria dei politici, detta la Casta, potesse avere l’appiglio legale per una querela: “piove, governo ladro!”

giovedì 23 settembre 2010

Freschi di stampa: 48. Joe Sacco, «Gaza 1956. Nota ai margini della storia» (Mondadori, 1956). - Quando la storia diventa fumetto

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Questa, come le altre, non è una recensione in senso tecnico. Sono annotazioni in corso di lettura, o a inizio lettura, di libri da me effettivamente acquistati nella libreria sotto casa e giudicati meritevoli del prezzo pagato. Qualche volta resto deluso. Altre volte compro libri spregevoli al solo scopo di criticarli. Che diamine! Non si deve leggere solo ciò che si condivide, ma direi in primo luogo libri per apprendere, ma anche libri che devono essere criticati per il danno che possono arrecare ad una pubblica opinione poco accorta. Naturalmente, ognuno di noi resta poi giudice ultimo e supremo intorno a ciò che è da ritenersi vero o falso, giusto o ingiusto, buono o cattivo.

Il libro-fumetto di Sacco esce in lingua italiana in questo mese di settembre 2010. Ne ho avuto la prima notizia dal tentativo di stroncatura fatto da una testata di propaganda sionista, specializzata nella promozione di quell’«odio» che ai propri nemici e avversari al pravo scopo di farli cadere nelle maglie di una legge, la Mancino, appositamente prodotta dalla Lobby che non esiste per spegnere sul nascere ogni voce diversa e ogni dissenso. Ne parlavano male ed ho subito capito che doveva essere un buon libro, quello di Sacco. Se ne avessero parlato bene, ciò avrebbe significato che si trattava della millesima opera di propaganda sionista.

Giungiamo qui ad una riflessione che mi sembra degna di essere proposta all’attenzione del miei Cinque fedeli lettori, escludendo detrattori e osservatori maligni che so avere gli occhi puntati su ogni parola che scrivo. Non vedono l’ora di potermi inchiodare su qualche frase estrapolata. Ebbene, la riflessione è la seguente. Se prendiamo tutto l’arco storico dell’insediamento sionista in Palestina dal 1882 ad oggi esistono una quantità innumerevole di episodi di cui è assai difficile conservare memoria, anche se eventi remoti riescono ad illuminare meglio il presente di tanta pubblicistica odierna. Non è difficile cogliere il disegno di una “pulizia etnica” della Palestina ancora prima del breve arco storico di fascismo e comunismo, che ha poi fornito il pretesto ideologico nell’impennata del processo di pulizia etnica della Palestina, dal 1948 ad oggi, un processo che negli ultimi anni è stato ribattezzato come “processo di pace”.

Voglio dilungarmi sul concetto con qualche esempio concreto. Se ci spostiamo all’anno 1921 troviamo alcuni dati che ci fanno riflettere. A fronte, già allora, di una capillarità della stampa sionista “ufficiale” (in lingua inglese, francese, tedesca, italiana...) troviamo solo pochi organi di stampa in lingua araba, in Palestina. Troviamo, cioè, già allora una propaganda martellante in favore della dichiarazione Balfour, sulla cui nascita e retroscena andrebbe appronfito il discorso. Non è che i palestinesi del tempo non si fossero accorti della fossa che si stava loro scavando. Avevano perfino pensato di organizzare loro prorie delegazioni che andassero all’estero per spiegare alla cosiddetta opinione “pubblica” (ma in realtà: “pubblicata”) inglese ed europea il loro punto di vista. Si legge però che questa delegazione palestinese, faticasomente messa in piedi, non aveva poi i soldi per affrontare le spese del viaggio e del soggiorno. Se adesso ci mettiamo a parlare di “denaro” e della sua importanza, ci becchiamo le consute diffamazioni strumentali. Chi vuole capire ha certamente capito. Per altri numerosi esempi, piccoli, ma significativi, rinvio nel mio blog “Geopolitica” alla ricostruzione degli eventi su base documentaria, partendo dal 1921 e risalendo a ritroso prima di quella data e proseguendo fin dove possibile fino ai tempi nostri. Un progetto assai oneroso e impegnativo per il quale mi auguro di trovare una squadra di ricercatori che si lasci da me guidare.

Tornando a bomba, sto dicendo che per quanto riguarda la questione la questione palestinese noi ci troviamo bombardati massicciamente da una propaganda sionista, con risorse finanziarie, tecnologiche e politiche illimitate, che tenta di cancellare (e spesso ci riesce) o travisare l’effettiva portata dei suoi crimini. In ultimo, l’attacco criminale e violento ai pacifisti (dileggiati come “pacifinti” e “terroristi”) della Mavi Marmara, dove persone disarmate vengono presentate da detta propaganda come “aggressore” di soldati scelti armati fino ai denti, i quali poverini essendo stati aggrediti si sono trovati costretti a sparare crivellando di colpi 9 persone disarmate e ferendone altre, oltre ad averle derubato di ogni avere (soldi e macchine fotografice) che portavano con se. La propaganda per sua natura crede che qualsiasi menzogna possa passare, se appena si riesce a far tacere l’altra campana o la si supera in clamore.

Per non parlare poi di una “Memoria” artificiosamente prodotta (con leggi, targhe, cerimonie ufficiali, programmi didattici imposti a docenti che diventano “ripetitori” e potrebbe essere sostituiti da macchine parlanti...), e di un’altra Memoria con eguale disegno cancellatto. Per fare un esempio: la richiesta fatta al sindaco Alemanno di togliere nel quartiere di San Lorenzo una targa commemorativa di Arafat, allo stesso sindaco cioè che su richiesta ha data una strana ed incomprensibile cittadinanza onoraria ad un soldato israeliano catturato, mentre ignorando un altro israeliano che avrebbe certamente avuto maggior titolo ad una cittadinanza onoraria: Mordechai Vanunu, rapito in Roma dal Mossa in assoluto disprezzo della città di Roma e della leggi italiane. La colpa del tecnico Vanunu è stata quella di aver rivelato al mondo l’esistenza dell’atomica israeliana, il cui legittimo pare si basi su un diritto divino. Sono certo che se chiedo ad Alemanno, da me disgraziatamente votato come sindaco, chi fosse Mordechai Vanunu non saprebbe rispondermi. Passiamo oltre.

Libri come quello di Sacco mi paiono utili per contrastare le tecniche dominanti di cancellazione e obnubilamento di una memoria altra e diversa rispetto a quella comprensione della nostra quotidianità, di cui abbiamo assoluto bisogno se vogliamo essere liberi e non manipolati come marionette. Che i governi si servono abitualmente della Menzogna è cosa che sappiamo fin da Platone, che ne aveva data una teorizzazione, sia pure in un determinato contesto. Se poi consideriamo come il nostro paese sia popolato di oltre 100 basi americani, che paghiamo noi per giunta, si comprende anche come certe verità non possano essere dette e come i nostri governanti rispondano in primo luogo a chi ha dato loro o consente il mandato per governarci e tenerci a bada. Ad un giornalista iraniano che sputa a più non posso su quello che dovrebbe essere il suo paese e che ha il dente avvelenato per suoi motivi, ho chiesto quanti basi americane vuole in Iran, se malauguratamente verrà mossa contro il governo di Ahmadinejad quella stessa guerra criminale che ancora arde in Iraq e in Afghanistan...

Non abbiamo ancora iniziata la lettura del libro-fumetto di Sacco che ha per titolo “Gaza 1956” e narra di episodi di quell’anno oggi dimenticati: trovi a fianco la prima pagina. Qui mi fermo per il momento, ma ritornerò – se ne avrò il tempo – in corso di lettura del libro fumetto, annotando eventuali riflessioni che nascono dal testo e dalle immagini. Per la qualità della mia scrittura, rispondo a taluni nemici e detrattori, dicendo che non mi sto preparando per concorrere all’assegnazione del premio Nobel per la letteratura. Ritengo che ognuno di noi, anche un analfabeta, faccia in ogni momento riflessioni sulla sua esperienza di vita, sul suo vissuto. Nella maggior parte dei casi la gente comune non mette per iscritto ciò che pensa: si tratta di un lavoro a se stante, di cui nella società divisa in classi e caste, si sono appropriati alcuni strati (ad esempio, i giornalisti) che ritengono di essere la mente pensante dell’umanità, l’opinione pubblica per antonomasia. Avendo spesso poco tempo ed essendo ognuno libero di leggere o non leggere ciò che scrivo, ritengo che sia preferibile annotare per iscritto i pensieri che mi passano per la mente, riservandomi di lavorare poi per la migliore forma letteraria della mia scrittura. Internet, una scrittura sull’acqua, consente ciò e ci liberà dalla fissita e rigidità della scrittura su carta stampata, una rigidità che fa pensare alla rigidità cadaverica.

(segue)

Nota a margine:
- Ho quasi finito di leggere il testo e ne riparlerò con maggiore accuratezza, cancellando e riscrivendo quanto sopra. Intanto, per quel che serve, vorrei subito respingere la solita denigrazione ad opera di una centrale di propaganda sionista, meritoria per avermi dato la prima notizia di Sacco, ma totalmente falsa per quello che riguarda il contenuto: non si tratta di un “fumetto” come Topolino o Asterix. È una rigorosa ricerca storica, trasmessa nei contenuti attraverso i disegni per poter raggiungere un pubblico diverso da quello abituato a leggere farraginosi saggi storici. Per chi non ha letto il libro o vuole qualche input per leggerlo, provi a pensare quello che sappiamo tutti sulle “Fosse ardeatine”, dove le fiction e la memorialistica si sprecano, e vada a leggersi tutto quello che trova su ciò che avvenne nel novembre del 1953 in una località dell’odierna Striscia di Gaza. Constaterà facilmente che Gaza subissa in orrore e in nefandezze tutto quello che ci hanno fatto sentire sulle Fosse Ardeatine. Certo, per dei propagandisti che quelli del link, suona strano che proprio sul “Giornale” sia potuto passare una “notizia” del libro fumetto di Sacco, senza che si sia subito scagliata ogni sorta di contumelia. Ma sul “Giornale” era anche apparsa una recensione dell’ultimo libro italiano di Robert Fisk, Il martirio di una nazione, dove si parla in oltre 800 pagine di cose terribili che normalmente il grande pubblico non conosce. Certo, il Giornale è il Giornale, ma non sempre i filtri della censura e della disinformazione funzionano. Del resto, la notizia sul libro di Sacco dà solo una pallida idea del suo contenuto.

venerdì 10 settembre 2010

Messaggio da Vincent Reynouard sulla libertà d’espressione


Non ho dedicato al caso di Vincent Reynouard il tempo e l’attenzione che sarebbe stata necessaria, da quando ho avuto la prima notizia di una nuova inaudita repressione della libertà di pensiero, in terra di Francia. Sono usciti nel frattempo, fortunatamente, in lingua italiana su internet pregevoli articoli che informano su un “caso” come questo, che è vano aspettarsi di trovare quale tema di dibattito in una serata di Bruno Vespa o sulla grande carta stampata. Nella sua prigione Reynouard non è solo, ma sono con lui idealmente prigionieri quanti lottano per la rivendicazione della libertà di pensiero come fondamentale diritto umano e politico. Ricevo nella mia posta da un mittente anonimo il messaggio che segue, per sua natura pubblico. Non esito a dare ad esso ulteriore pubblicità e diffusione e mi riservo uno studio approfondito, appena mi sarà possibile farlo. Nel frattempo, mi giunge notizia di una nuova presa di posizione di Noam Chomsky contro la legge Gayssot. Rinvio qui al blog degli amici di Blanrue per leggere il testo di Chomsky. Di seguito anche il link per firmare una petizione volta a ottenere l’abolizione della legge Gayssot e la liberazione di Vincent Reynouard.

A. C.
* * *

MESSAGGIO DA VINCENT REYNOUARD
SULLA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE

La coraggiosa petizione lanciata in mio favore da Paul-Eric Blanrue pone di nuovo il problema dei limiti alla libertà di espressione. In nome di cosa li si può imporre? Per rispondere a tale fondamentale domanda, chiediamoci: Perché, in generale, si limita la libertà? [1] L’immagine di una barriera con l'avvertenza “Vietato! pericolo!” mi sembra essere la risposta migliore: la libertà viene limitata per proteggere.

In primo luogo viene la protezione della persona, l’integrità del suo corpo, della sua vita, la sua reputazione e, in alcune società ove la religione ha grande importanza, la sua anima. Ne risulta che tutte le leggi reprimono, nel campo dell'espressione, l'invito alla violenza, l'istigazione all'omicidio, l’ingiuria, la diffamazione, la violazione della vita privata (vilipendio) ed anche, in certe società religiose, la bestemmia e l'eresia.

A un livello più generale segue la protezione della società in quanto garante del bene comune, pertanto della pace civile e della vita dei cittadini. Così si giustificano le leggi contro la sovversione, sia diretta (appelli a ribellarsi...) sia indiretta (promozione di idee contrarie all'ideologia regnante).

Naturalmente queste leggi limitative che riflettono la cultura di un popolo possono variare secondo il tempo e il luogo. Si pone, d'altra parte, il problema dell'eccesso di potere. Tuttavia, l'abuso non mette mai in causa il principio. Ecco perché non condanno, in se stessa, l'esistenza di leggi che restringono la libertà, compresa quella di esprimersi. Ma si devono, imperativamente, evitare gli eccessi, cominciando a denunciarli quando avvengono.

Le leggi cosiddette antirevisionistiche sono abusive? Questo è il problema. Alcuni argomenti sono avanzati per rispondere negativamente.

Controbatterò rapidamente il primo, che consiste nel richiamarsi alla “sofferenza” delle vittime, le quali devono essere protette contro oltraggi intollerabili. L’argomento potrebbe avere qualche valore se i revisionisti negassero l’esistenza delle persecuzioni “antisemite” sotto Hitler e paragonassero i campi di concentramento a campi di vacanze. Ma non è affatto così. Contrariamente al messaggio trasmesso dai media, i revisionisti non sono “negatori”; se denunciano le menzogne della tesi ufficiale, tentano, al contempo, di scoprire e spiegare ciò che è realmente accaduto. E in questa storia più vera, le sofferenze delle vittime restano drammaticamente presenti.

Un secondo argomento avanzato per giustificare le leggi antirevisionistiche consiste nel pretendere che l’«impresa negazionista […] rientra nel campo dell’antisemitismo, il quale non è un’opinione ma un reato». [2]

In primo luogo, risponderò che se il legame tra il revisionismo e l’«antisemitismo» fosse così evidente, così ovvio, non ci sarebbe stato bisogno, ad esempio in Francia, di una legge antirevisionistica; il dispositivo giuridico del 1972, reprimendo il razzismo (e quindi l’«antisemitismo»), sarebbe bastato.

Infatti, il legame è tanto poco evidente che ci vuole un abile ragionamento per volerlo stabilire. Il ragionamento l’ho sentito più volte, dalla bocca degli avvocati che nei processi patrocinano contro di noi (penso in particolare ai signori Lorach e Korman). Eccolo, riassunto:
«Da secoli, gli antisemiti veicolano l’immagine degli ebrei come di individui che mentono e trafficano in manovre disoneste per rubare soldi e diventare, in tal modo, il popolo più potente della terra (vedi i Protocolli dei Savi Anziani di Sion). Questo è il messaggio dei negazionisti, dato che dicono che si mente con le storie della Shoah, che si è abbastanza potenti da imporre questa menzogna al mondo intero e che se ne approfitta per rubare denaro alla Germania, alla Svizzera, all’Austria, etc. Conclusione: il negazionismo è una forma attualizzata dell’antisemitismo tradizionale. Oggi non si dice più: Morte agli ebrei!, ma: Gli ebrei non sono morti! L'obiettivo finale è, tuttavia, il medesimo».
In questo ragionamento, una frase è di fondamentale importanza: «Dicono che si mente con le storie della Shoah». Certo. Ma se, in effetti, la Shoah fosse un mito? Che dire di quelli che da trent’anni fuggono ogni dibattito per continuare a raccontare le loro storie? Non sono forse bugiardi di conoscenza? Cosa dire sulle leggi votate un po’ dovunque per proteggere questa menzogna storica, e solo essa? Non è forse la prova del potere di certe lobby ebraiche? E cosa dire sui miliardi pagati dalla Germania a Israele a titolo di «risarcimento» per il (presunto) genocidio? Non è un enorme imbroglio?

Si vede: la tesi sviluppata dagli avvocati ebrei poggia interamente sulla realtà del (presunto) Olocausto. Se tale realtà è controversa, la tesi crolla come un castello di carte. Prima, quindi, di usarla, si dovrà consentire la libera ricerca e il libero confronto dei punti di vista. Si dovrà consentire il dibattito aperto e leale sul (presunto) Olocausto.

Ora, questo è proprio l’argomento – decisivo – utilizzato per vietare non solo ogni dibattito, ma anche ogni espressione pubblica delle tesi revisioniste. Di conseguenza, la situazione è questa. Ci dicono: l’Olocausto è una verità storica, dunque negarlo rientra nel campo dell’antisemitismo. Ma l’antisemitismo è un reato, dunque la contestazione della realtà dell’Olocausto va vietata.

Spogliato dei passaggi intermedi, il ragionamento diventa «L'Olocausto è una realtà, non occorre discuterlo, quindi quelli che vogliono discuterne devono essere condannati». Nuotiamo nel più orrido arbitrio.

Un terzo argomento a favore delle leggi antirevisionistiche consiste nel dire che la contestazione dell’Olocausto mira a ripristinare il nazionalsocialismo.

Probabilmente. Ma se, in effetti, la Shoah è solo calunnia, allora le persone che ne vengono accusate e più in generale il regime che ne è accusato devono essere riabilitati su questo punto. Si tratta solo di giustizia.

Mi si risponderà che l’impresa revisionistica cerca infine una riabilitazione globale del nazionalsocialismo per riaprire la strada a questa ideologia.

– Devo dedurne che, sgombrato dall’accusa n.1 portatagli contro, l’hitlerismo eserciterebbe un’attrattiva irresistibile sulle masse, tanto che si tratterebbe di un’ideologia positiva?

– Mio Dio, no!, mi verrebbe ribattuto. Con o senza Shoah, il nazismo rimane un’ideologia odiosa a causa del suo imperialismo, del suo disprezzo degli altri e della sua negazione assoluta della libertà individuale.

– Allora, cosa temete? Dal momento che questa ideologia è un orrore, perché avete paura di vederla ripristinata? E, soprattutto, dal momento che, con o senza Shoah, il nazionalsocialismo resta indifendibile, perché questa legge che vieta di contestare l’esistenza di crimini contro l’umanità?

Lo si vede, lungi dal giustificare l’esistenza della legge Gayssot, il terzo argomento si rivolge contro coloro che lo usano. Perché mostra, infine, che per gli antirevisionisti non si tratta di difendere una verità storica, ma una «verità» politica che serve loro come arma nella lotta ideologica. Il preteso Olocausto è l’assicurazione che mai sarà possibile un dibattito sereno e leale che permetterebbe di paragonare oggettivamente la pertinenza degli ideali liberali e quella degli ideali fascisti. Rinchiudendo la storia, si rinchiude la discussione politica. Lampante esempio di abuso di potere!

Resta un quarto argomento, di natura sionista: «Negando la Shoah», ci viene detto, «volete minare la legittimità di Israele e, così, permettere un nuovo Olocausto».

In primo luogo, sottolineerò che queste considerazioni geopolitiche non devono intervenire in una controversia che, per natura, dovrebbe restare sull’esclusivo terreno della storia. I tedeschi hanno o non hanno sterminato gli ebrei tra il 1941 e il 1945? Certo, entrambe le opzioni sono possibili, e la risposta giusta non dipende dagli attuali eventi in Medio Oriente. In questo dibattito, è lo storico che deve rispondere, non il geopolitico, ancora meno il sionista.

Vorrei aggiungere che la verità sul preteso “Olocausto” avrà necessariamente delle ripercussioni nel Medio Oriente. Dal 1945 (in effetti, anche dal 1942) i sionisti hanno utilizzato le menzogne di guerra “alleate” per appoggiare i propri progetti. Non è un caso che Israele sia nato meno di due anni dopo la fine del grande processo di Norimberga, che ufficializzò il mito. Senza la Shoah, Israele non avrebbe visto la luce. Pertanto, col crollo del mito lo Stato ebraico dovrebbe necessariamente crollare.

Ci sarà per questo un nuovo «Olocausto»? Non credo, per quanto certo si verificheranno inevitabili eccessi. Ma cosa volete? Non si può mantenere impunemente una situazione d’ingiustizia per oltre sessant'anni... Un giorno o l’altro, si dovrà pagare. Personalmente, penso che gli ebrei guadagneranno molto dall’evacuare Israele pacificamente, piuttosto che accanirsi per rimanervi fino al giorno, inevitabile, nel quale ne avverrà l’espulsione.

Anche se può sembrare cinico, dichiaro che, tutto sommato, la vittoria del revisionismo sarebbe un male minore per i sionisti.

La conclusione? È che niente, assolutamente niente, giustifica le leggi antirevisionistiche. Esse non sono che abusi di potere perpetrati da individui che temono le discussioni politiche e geopolitiche, individui che sperano di mantenere il più a lungo possibile uno stato di cose voluto da loro stessi.

Per il momento, i popoli del mondo occidentale approvano, consapevolmente o meno, questo mito. Lo accettano perché vedono o sentono vagamente che il Nuovo Ordine Mondiale, garante delle loro impulsi edonistici, trova nell'«Olocausto» un’arma che impedisce radicalmente una discussione imbarazzante, dunque una straziante rimessa in questione.

Importa loro ben poco che sia una calunnia lanciata contro milioni di uomini (da Hitler a Pio XII, passando per enti morali come la Croce Rossa); importa poco che questa calunnia sia anche all’origine della tragedia di un intero popolo: il popolo palestinese. «Ho Internet, il mio computer portatile, il mio schermo piatto, etc., ecco dove metto il mio ideale di vita. Per il resto, mi auguro solo che, col tempo, tutto si sistemerà e che tutto il mondo potrà un giorno beneficiare del mio tenore di vita...».

Questa indifferenza pressoché generale non ci deve abbattere. Perché il nostro dovere è di opporci alla menzogna, all’ingiustizia e alla calunnia. Dobbiamo agire senza preoccuparci né del successo né della sconfitta. Dobbiamo ripetere senza pausa: le pretese camere a gas omicide dei campi tedeschi non sono esistite, l’Olocausto è un mito, i Sei Milioni sono una stima delirante e le leggi antirevisionistiche abusi di potere indegni di società illuminate.

Mi si rimprovera di essere un “desperado”, di rivendicare il cattolicesimo tradizionalista e il nazionalsocialismo. La maggior parte di coloro che lo fanno non mi hanno letto. Ignorano ciò che sono il mio cattolicesimo e il mio nazionalsocialismo. Che comincino a leggermi! Poi, si potrà discutere su cose concrete.

Le forze che combattiamo sono certo potenti, ma fondate sulla menzogna. I loro piedi sono d’argilla. Prendiamo l’esempio della repressione: grazie ad una legislazione fatta su misura, i potenti possono darci la caccia, giudicarci, condannarci, rubarci i soldi, strapparci alle famiglie e gettarci fra quattro mura sinistre. In un momento in cui il popolo si fa complice per la sua approvazione o il suo pauroso silenzio, questo modo di agire può sembrare di un’efficienza temibile.

Ma il giorno in cui, a seguito di eventi esterni, le coscienze cambieranno e i tabù vacilleranno, il trattamento che ci sarà stato inflitto testimonierà con forza in nostro favore contro di loro. «Come! Non avevano che le loro penne; chiedevano un dibattito leale per confrontare le loro tesi e voi, voi che avevate milioni, le televisioni, le radio, i giornali, li avete perseguitati, condannati, rovinati, gettati in prigione, strappati alle famiglie! Dite, voi, che erano antisemiti, fascisti, nazisti? Ci siamo! Ma il valore di un argomento non dipende da chi l’avanza; questo valore è intrinseco. Minacciavano la sicurezza? Ci siamo! Nel frastuono dei vostri televisori, le loro voci non erano un grido, neppure un sussurro, ma un mormorio. Ma per voi, questo mormorio, questo era troppo. Dovevate davvero temere la forza del loro messaggio per reagire così. Ora, soltanto la verità è forte. E ciò mi basta per capire chi, in questo affare, diceva il vero».

Ecco perché oggi dobbiamo soffrire. Contrariamente a quanto alcuni credono, le nostre sofferenze non sono vane. Sono semi che seminiamo. Domani, il raccolto sarà abbondante.

Vincent Reynouard

Prigione di Valenciennes (Francia), 21 agosto 2010

[1] Parlo della libertà in senso moderno, vale a dire la libertà individuale, basata sui diritti dell’uomo secondo cui non esiste una natura umana, l’individuo costruendosi giorno per giorno secondo la propria volontà, una volontà che per attuarsi dev’essere assicurata dalle libertà essenziali.

[2] Argomento sviluppato ancora recentemente da un avvocato dell'Associazione dei Figli e delle Figlie di Ebrei Deportati dalla Francia, il signor Didier Bouthors, davanti alla Corte di Cassazione a Parigi (vedi La Croix, quotidiano cattolico francese, 10 maggio 2010).

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Per scrivere al prigioniero:

M. Vincent Reynouard
N° 33034
Maison d’arrêt de Valenciennes
BP 80 455
F - 59322 Valenciennes Cedex
FRANCIA

giovedì 9 settembre 2010

La “pulizia etnica” che non si vuol vedere ossia la centralità del problema dei profughi nella questione palestinese.


Anni addietro, ebbi una conversazione, a cena, con un caro amico, ora scomparso. Se ben ricordo, non avevamo un tema di dialogo prefissato, e si parlava tranquillamente di tutto quel che in quel momento ci passava per la mente. Ricordo una sua uscita a proposito di profughi e questione palestinese. Diceva l’amico (cito a memoria): “Come noi abbiamo avuto il problema dell’Istria con i nostri profughi che abbiamo dovuto assorbire, gli Arabi devono farsi carico dei Palestinesi”, ossia degli espulsi dai Sionisti, Israeliani, Ebrei o come altro li si vuol chiamare. La terminologia da usare o ‘consentita’ è un già di per sé un problema nel problema”.

Non risposi nulla all’amico, di cui avevo, e continuo a nutrire, ancora oggi, la mia più grande stima. Ed allora, inoltre, ero soltanto un tirocinante in materia di problematiche del Vicino Oriente. Ma i cosiddetti colloqui di pace di questi giorni – una farsa che si ripete con maggiore spudoratezza che nel passato – mi hanno riportato alla mente a quella serata e, di conseguenza, la mia mancata replica di allora.

Quale poteva essere? “Ma caro Giano, proprio perché abbiamo avuto noi questa esperienza, non dobbiamo volere che abbia a ripetersi in nessuna parte del mondo”. Le situazioni storiche non sono mai identiche l’una all’altra, ma nel caso della questione vicinorientale, l’ingiustizia è ancora più grande. Essa offende maggiormente la nostra coscienza morale, in quanto si svolge sotto i nostri occhi e con la mediazione di una stampa asservita che tenta indirettamente di estorcere la nostra complicità morale. Se nulla ormai possiamo contro il riuscito e compiuto genocidio dei Pellerossa o lo schiavismo su cui è sorta quella splendida “terra di democrazia”, che sono gli USA, grandi esportatori di “civiltà”, possiamo ancora concederci la libertà di un giudizio morale.

Non mi soffermo – senza se e senza ma – sugli articoli della propaganda sionista che dilagano a ritmo industriale sui maggiori quotidiani e, peggio ancora, sui fogli deputati alla divulgazione del suo “verbo” assoluto ed indiscutibile. La confutazione delle loro bugie, falsificazioni, inganni, ipocrisie, richiederebbe troppo tempo ed energia, ma sarebbe anche inutile constatata la natura e la funzione della propaganda: non la ricerca della verità in una disputa, ma il perseguimento di un fine pratico, che è il compimento di un processo genocidario in atto, la cui fase iniziale può avere diverse periodizzazioni.

Si può partire dai primi sparuti insediamenti sionisti in Palestina nel 1882 o dalla dichiarazione Balfour che come scrive Gilad Atzmon fu il mezzo con cui l’Inghilterra ottenne due mesi dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti; oppure, dalla grande pulizia etnica del 1948, ricostruita su base documentaria inconfutabile da un Ilan Pappe. Ma, guarda caso, proprio a questo riguardo, in Israele hanno deciso la proroga della secretazione degli archivi per altri venti anni! Per non parlare, poi, dell’assurdità logica e morale, per cui, sulla base di un pregiudizio “biblico”, si dovrebbe riconoscere un “diritto al ritorno” ad un “ebreo” che mai mise piede in Palestina, e lo si dovrebbe negare a chi ancora conserva le chiavi della casa da cui fu cacciato nel 1948.

È il caso di riferire la cronaca di una rissa avvenuta alla Knesset dopo l’aggressione al convoglio umanitario della Mavi Marmara, dove era presente una parlamentare araba israeliana. Questa parlamentare, a quanto si legge, appartiene ad una famiglia palestinese autoctona che risale addirittura ai tempi storici in cui sarebbe vissuto il Cristo. L’altra, invece, immigrò da Leningrado all’età di 24 anni, convertendosi all’ebraismo. Ebbene, l’immigrata pretende di cacciare dal parlamento l’autoctona, privandola dei modestissimi diritti di tribuna della popolazione autoctona. Non è il solo episodio di violenza dell’immigrato sull’autoctono.

Insomma, per non perdersi in una casistica e aneddotica infinita, facile da raccogliere e documentare, è preferibile ricordare ciò che il Sionismo è stato ed è: conquista ed immigrazione coloniale violenta, coperta dalla complicità delle grandi potenze di ieri e di oggi, con assoluto disprezzo di ogni diritto della popolazione indigena, il cui torto è di non essere ancora scomparsa e di voler continuare a resistere al tentativo di genocidio che le è stato riservato come “destino”. Lo scorrere del tempo, non è neutro. Mentre la trattativa si protrae, il carnefice continua la sua opera e conta sul fatto che la vittima si vada sfiancando sempre di più ed alla fine soccomba.

Le tecniche abitualmente impiegate richiederebbero un approfondimento a parte. Il fantoccio di turno, si chiama Abu Mazen. Gli si farà firmare quel che si vuole ed in questo modo si gabberà il diritto e gli scrupoli morali degli odierni sepolcri imbiancati. Gli accordi di Oslo docent! Se si osservano sul campo i concreti rapporti di forza, vi sono poche speranze per chi si augura un mondo governato dai principi di giustizia e di solidarietà umana. Resta, però, la potenza disarmata del nostro giudizio morale che può il testimone, da lasciare alla generazione che verrà, se ve ne sarà ancora una.

Ogni cittadino del mondo che volga gli occhi verso quel lembo di terra che si chiama Palestina, può dire semplicemente: no! Che i profughi ed i figli dei profughi ritornino nelle loro case e si impegnino, se possono, a vivere in pace con i loro attuali oppressori, con eguali diritti, e senza distinzione di credo religioso, di appartenenza politica o discriminazioni di sorta. Tecnicamente si chiama Stato unico binazionale, il solo realisticamente possibile anche se estremamente difficile da costruire. Occorrerebbe disarmare non l’Iran o Hamas, ma soprattutto Israele, smantellando il suo arsenale nucleare che è la vera minaccia che incombe sul mondo. Alla soluzione “due stati due popoli” non crede nessuno, neppure chi siede al tavolo dei negoziati. È, in realtà, solo una diversa forma del genocidio in atto, non diversa da quelle che sono state le “riserve indiane”.

Esiste, infine, un problema di cui mi sembra scarsa la consapevolezza anche nei movimenti che pure si schierano a favore della causa palestinese. Il problema ci riguarda in prima persona, poiché è la strutturazione del nostro sistema di poteri che ha reso e rende possibile atrocità e ingiustizie che ormai stanno iniziando a superare in orrore tutte le narrazioni tramandate riguardo il periodo 1914-1945, la moderna guerra dei Trent’Anni che ha tolto l’Europa dalla scena politica globale, riducendola a territorio di confine dell’impero americano, al cui vertice – guarda caso… - si trova, non il potere democratico del popolo americano, ma l’arbitrio di oscure ed ufficialmente inesistenti lobbies che neppure accettano di essere indicate o citate.

lunedì 6 settembre 2010

Il sionismo visto dal giudaismo

Vers. 1.0 del 6.9.10

Assistiamo quotidianamente al tentativo di ridurre tutto l’ebraismo al sionismo ed in particolare all’esistenza dello “stato ebraico” di Israele. È indubbio, del resto, che in paesi come l’Italia molti ebrei si riconoscono pienamente nello stato di Israele e alcuni di essi siedono nel parlamento italiano dove non sembra si curino di altro che degli interessi israeliani. Ricordo personalmente, oltre 20 anni fa, una pubblica conferenza dove un noto intellettuale tedesco poteva dire con veemenza di se stesso che si sentiva un ebreo e per nulla un tedesco. La furia con cui si esprimeva nella sede di un’istituzione culturale tedesca, che gli aveva per giunta dedicato un “Serata in onore”, mi lasciò alquanto perplesso e si è impressa indelebilmente nella mia memoria. Avevo allora una scarsa informazione su problemi che ho meglio approfondito in questi ultimi anni. Devo anche alla recente lettura di Jacob Rabkin la comprensione della distinzione fra giudaismo e sionismo. È importante comprendere questa fondamentale differenza in un momento in cui con autorevoli avalli si tenta di equipare antisionismo e antisemitismo. L’intercambiabilità dei due termini avrà evidenti conseguenze penali, per cui rischierà di venir penalmente perseguita qualsiasi critica che si faccia alla politica israeliana e allo stato “ebraico” di Israele, o di converso qualsiasi manifestazione di solidarietà verso i palestinesi. Ho letto un paio di volte il libro di Rabkin, recensito in questo blog, ma la lettura del libro ha anche prodotto in me l’esigenza di ogni possibile ulteriore approfondimento sul tema. A questo scopo trovo utile la traduzione dal francese dei testi che seguono. Sono tratti dal sito del “Partito Antisionista”. Ho appena inoltrato richiesta per l’autorizzazione di rito, ma penso di fare cosa gradita incominciando subito a volgere il testo in lingua italiana. Sarà per me anche un’occasione di esercizio linguistico. Eseguirò la traduzione a piccole tappe, quando ne avrò il tempo e in attesa della formale autorizzazione da parte degli aventi diritto. I lettori che conoscono la lingua francese possono accedere agevolmente al testo integrale, di cui è qui dato il link. Le riflessioni che possono sorgere in corso di traduzione saranno oggetto di post autonomi, segnalati da appositi links. Sarò grato a quanti faranno osservazioni migliorative sulla mia traduzione italiana del testo francese, o vorranno arricchire la traduzione italiana con segnalazioni biblio e webgrafiche non presenti nell’originale francese.

Antonio Caracciolo

IL SIONISMO VISTO DAL GIUDAISMO

Sommario: 1. Discorso di M. Shmiel Borreman, membro dell’Associazione “Yechourun - Judaïsme contre Sionisme”. –


Discorso di M. Shmiel Borreman,
membro dell’Associazione “Yechourun - Judaïsme contre Sionisme”.


Questo messaggio si rivolge tanto a ebrei, spesso non sionisti ma condizionati dai sionisti quanto a musulmani e altri credenti.

Le nostre due fedi, le nostre due religioni hanno ciascuna le loro proprie specificità e particolarità. Non vi è nessun interesse a farne un amalgama. Ma il giudaismo e l’islam hanno anche parecchie cose in comune e in parallelo, e nella situazione attuale ciò merita di essere sottolineato. E pluribus unum! Nella diversità siamo uno… Tutte e due, il giudaismo autentico e l’islam, avanzano e cercano la prossimità del dio Uno, del Santo Creatore.

Storicamente, nei paesi a dominazione islamica, e ciò durante secoli, le comunità ebraiche hanno beneficiato generalmente della protezione dell’autorità, e regnava una buona intesa fra ebrei e musulmani. È il sionismo, nemico della Torah, che è venuto a turbare gravemente queste relazioni armoniose alleandosi alle grandi potenze al fine di conquistare la Palestina e di trasformarla in etità sionista, detta «avamposto del mondo libero».

(segue)