mercoledì 30 marzo 2011

'Il Bahrein come la Palestina'

Homepage Egeria - N° 15
Parla Egeria

La situazione del Bahrein è una storia di atrocità e violenze. E' così oggi ed è stato così fin dalla nascita del piccolo reame, da sempre uno stato semi-coloniale - prima dell'impero britannico, poi di US-rael. E questo nonostante la popolzione del Bahrein costituisca una delle società più progredite da ogni punto di vista: economico, culturale, accademico, scientifico.

In contrastante antitesi con la popolazione evoluta, i "monarchi del Bahrein conservano tuttavia la caratteristica di regnanti di stampo oscurantista wahabi, che considera il popolo alla stregua di sudditi al servizio della "casa reale". E' contro queste condizioni di sottomissione e sfruttamento che si ribella l'eroico popolo del bahrein. Ma niente vienedella rivolta trapela nei media occidentali, asserviti al potere neo-con sionista di USA-Israel_Gran Bretagna.

Infatti è grave questa notizia che ha dell’incredibile: Vvene confermato da parte delle agenzie americane per i diritti umani che negli Stati Uniti è stato chiesto alla stampa e alle emittenti televisive di  'Non trasmettere notizie sulla repressione del Bahrein per non imbarazzare il governo Obama' - così raccontava per telefono a PressTV il presidente del Centro dei Diritti Umani di Manama, Nabeel Rajab. Aggiungeva che Washington e le potenze occidentali hanno scelto il silenzio in merito alle atrocità del Bahrein in ragione del loro supporto per il regime autoritario.

Ora mi spiego perché non vedo niente sul Bahrein nei canali americani a diffusione internazionale. ... E di conseguenza neanche nei media europei.

E mentre nei paesi occidentali i media di massa sono totalmente latitanti in merito al Bahrein, è in atto il tentativo di oscurare il prezioso canale PressTV nella regione del Golfo Persico per non fare sapere cosa accade nel Bahrein: il canale è stato oscurato su un satellite egiziano che trasmette nell'intero Medio Oriente e nel Nord Africa. Tuttavia PressTV informa che attualmente l’emittente dovrebbe essere visibile puntando l’antenna sulle coordinate di un altro satellite che trasmette nella regione. Speriamo che i cittadini del Bahrein e del Golfo riescano a ricevere questa informazione. Sappiamo che le popolazioni nel Golfo sono tutte solidali con i cittadini del Bahrein: ogni giorno vediamo manifestazioni di protesta contro l’invasione e l’aggressione ai civili. Le vediamo in Iraq, in Arabia Saudita, nel Kuwait, in Giordania, in Yemen (pensate!) in Oman, in Libano, in Egitto.

In tanto il canale Al Jazeera è sotto accusa per i suoi reportages ingannevoli in merito al Bahrein (e altre situazioni nel Medio Oriente), e per le manovre in atto di attribuire all’Iran la responsabilità dell’insurrezione in Bahrein e Saudi Arabia, che secondo Al Jazeera l’Iran avrebbe fomentato. Che poi è stata la versione ufficiale dei media di massa in USA fino a quando hanno trasmesso notizie sul Bahrein, omettendo tuttavia di mostrare le violenze terribili che accadono nella piccola isola nel Golfo Persico da parte delle forze di occupazione. E' importante ricordare che Al Jazeera è un canale del Qatar, al momento coinvolto in Libia in appoggio alle forze dell’Impero occidentale.

E vorrei precisare questo. Chiunque segua, come me, molto attentamente le reazioni dell’Iran alle rivolte arabe, ha potuto constatare che sì, l’Iran ha ufficialmente condannato le repressioni, ma non ha mai lanciato messaggi né diretti né subliminali ai rivoltosi. Si guarda bene dal farlo: sarebbe immediatamente preso di mira dall’Impero e dal regime sionista.

Altrettanto è sicuro, che l’Iran non ha alcuna possibilità di intervenire nei paesi del Golfo direttamente - niente può passare dall’Iran verso il Golfo o verso i paesi del Golfo in rivolta passando attraverso l’unica frontiera con uno dei paesi coinvolti: il Kuwait. Il Kuwait è sotto stretta sorveglianza perché è contemporaneamente uno dei paesi in rivolta e fa inoltre parte del contingente di invasione del Bahrein.

Le acque del Golfo invece sono pattugliate in modo serrato dalle flotte americane con navi da guerra e sottomarini nucleari. A volte vìolano le acque territoriali dell’Iran che prontamente denuncia queste manovre in quanto tecnicamente rappresenterebbero un’invasione, ma le proteste vengono sistematicamente ignorate dall’Onu. L’Iran e la sua rivoluzione di 3 decenni fa - con cui ha spodestato il tiranno, Shah Reza Palewi, alleato con le potenze occidentali - viene vista dalle popolazioni del Golfo come una fonte di ispirazione e speranza per tante genti oppresse nella regione. Sono tuttavia perfettamente consapevoli che l’Iran non può intervenire in loro favore.

Al Jazeera è anche molto occupata ad accanirsi sulle vicende della Siria. E perché mai? Per tentare manovre di disinformazione analoghe a quelle del Bahrein. Infatti sta emergendo negli ultimi giorni che le agitazioni e uccisioni in Siria sarebbero opera di agenti provocatori di diverse nazionalità, al soldo di Israele. Le autorità siriane hanno individuato gruppi di infiltrati agitatori e altri infiltrati nelle forze dell’ordine con incarico di uccidere i manifestanti. Tuttavia alcuni sono stati catturati e hanno confessato.


Oggi in Siria milioni di cittadini si sono riversati nelle strade di Damasco provenienti da diverse località della Siria per manifestare in favore del presidente Assad che aveva annunciato per oggi il suo discorso alla folla.

Questo non significa che i cittadini non abbiano protestato. Come in tutti i paesi arabi, anche in Siria esistono motivi ben validi per protestare. I cittadini siriani lo hanno detto forte e chiaro: vogliamo riforme. Senza manifestazioni in merito è difficile che un monarca arabo si mostri disponibile a introdurre politiche democratiche. Infatti il discorso di re Assad non mi è piaciuto per niente. E' vero, ha annunciato riforme, ma da implementare ‘con calma’, così si è espresso ‘perché la fretta potrebbe farci prendere decisioni non ottimali’. Tuttavia ha liberato 250 prigionieri politici e sono in atto cambiamenti nel Consiglio dei Ministri.

Tuttavia in Siria la situazione è ben diversa rispetto ad altri paesi arabi attualmente in rivolta. Intanto la Siria fa parte di quel piccolo gruppo di governi, insieme a Iran e Libano, - e di recente anche la Turchia -, uniti tra loro per resistere a Israele - stavo per scrivere ‘per combattere Israele’, ma sarebbe impossibile per i singoli paesi arabi rivoltarsi militarmente contro il regime sionista: ne uscirebbero annientati visto l’arsenale miltare che Israele ha ricevuto da Washington e perché comunque gli Usa verrebbero in soccorso immediato dello stato sionista.

Anche se i siriani chiedono riforme, rimangono comunque in supporto del loro sovrano. E il motivo è semplice. Il presidente Assad ha interrotto l’alleanza con Washington quando l’Impero ha invaso l’Iraq. Washington ha tentato di frequente negli anni di ricucire il rapporto, ma senza successo. E quindi la Siria rappresenta una spina nel fianco sionista sia in Usa che Israele, mentre il re siriano si è guadagnato il rispetto del popolo nonostante la Siria sia in realtà un regime dittatoriale in tanti aspetti.


In questi giorni nei canali americani sento molti discorsi di condanna della Siria: ‘quel dittatore rappresenta una minaccia per i siriani come Gaddafi per il popolo libico’: è questo il linguaggio che viene usato. E' chiaro il tentativo di preparare il terreno mediatico per giustificare un’operazione ‘Libia’ anche in Siria (un paragone spesso usato nei media alternativi), ma non si fanno i conti con il popolo siriano.


Come ha spesso fatto notare l’autore Alan Hart, uno dei maggiori esperti in questioni mediorientali, basterebbe che i leader arabi si accordassero (ma tra loro non concordano mai) per minacciare la chiusura dei rubinetti del petrolio, e l’Impero si vedrebbe costretto a negoziare e rinunciare a proteggere il regime sionista. Ma questo non succederà mai, perché i dittatori arabi intascano personalmente i proventi del petrolio.

La Cina non vede l’ora di potere accedere al petrolio arabo in veste di cliente principale, ma si scatenerebbe la guerra con gli Usa, che si sa, dispongono di un arsenale militare che è maggiore della somma di tutte le altre risorse militari del mondo.

Dovrei parlare di cosa succede in molti paesi dell’Africa, dove il tentativo di favorire i cinesi, molto rispettosi degli accordi e della popolazione locale, è stato contrastato con manovre subdole e violente da parte dei sionisti e dell’Impero che hanno provocato conflitti senza fine e condizioni di impoverimento che hanno causato carestie con milioni di vittime per fame (es. in Somalia).

Ma esiste al momento la necessità di narrare le vicende arabe, che potrebbero modificare totalmente l’assetto politico mondiale qualora i popoli avessero successo con le rivolte: e finora non è avvenuto ancora in nessuno dei paesi, neanche in Egitto. Le apparenze potrebbero ingannare l’occhio meno allenato, ma gli egiziani sono vigili. Erano tutti in piazza, oggi con una mega-manifestazione di protesta contro il governo militare. Ne relazionerò in un post successivo, anche perché le notizie sull’Egitto sono molto importanti in questo momento. Per venerdì prossimo è programmata la “Marcia dei Milioni”. Lo scopo è di mandare un messaggio forte e chiaro alla giunta militare attualmente in controllo di tutto: intendiamo ottenere ciò che chiediamo, non state agendo correttamente, andate via, vogliamo un governo civile: non militare.

Anche questa volta, quindi, mi vedo costretta a parlare della situazione atroce in Bahrein che il corrispondente di PressTV definisce «una nuova Palestina».  


Visto che l’Occidente tace, diventa una questione di principio informare su ciò che accade nella piccola isola, ormai un luogo di devastazione. Alla fine della cronaca degli eventi, il commento di alcuni esperti autorevoli. Successivamente alcuni accenni sulla storia recente del Bahrein, che permetterà di capire meglio le ragioni della situazione attuale.

E a proposito di Palestina, il cui nome è inciso nell’anima con lettere di fuoco, tutto sembra suggerire un prossimo attacco massiccio contro la Striscia di Gaza, al limite della sopravvivenza.


Niente di ciò che avviene nella cronaca delle rivolte arabe è paragonabile all’attacco subìto 2 anni fa da parte della popolazione di Gaza durante la Guerra dei 22 Giorni in cui abbiamo visto bambini morire bruciati vivi, arrostiti dal fosforo bianco, che continua a bruciare fino all’osso anche se le ferite vengono curate in superficie.


Anche ieri un bombardamento in 3 zone diverse di Gaza: tre morti e un numero non specificato di feriti. Ma gli attacchi sono quotidiani e si sono intensificati dall’inizio delle rivolte arabe. Ma questo non sembra disturbare le coscienze né dell’Onu, né degli Usa, né della Nato, né dell’Unione Europea. Niente No Fly Zone su Gaza per contrastare i missili israeliani. Niente No Fly Zone sulle teste degli eserciti - 6 in tutto - che si accaniscono sulla popolazione totalmente inerme della minuscola isola del Bahrein.


“Il Bahrein come la Palestina”


Ecco cosa succede in questi giorni in quell’isola ormai completamente sotto attacco da parte delle forze di invasione con la complicità del sovrano, re al-Khalifa, che il prof. Rodney Shakespeare si rifiuta di chiamare ‘re’, come ha spiegato in diretta su PressTV, dicendo: «Non si può definire re un killer feroce che invita 5 eserciti a reprimere brutalmente una popolazione di soli 700.000 abitanti, e assolda migliaia di disperati pakistani, yemeniti, e altri immigrati in cerca di lavoro per assaltare i manifestanti con spranghe, mazze, coltelli e arnesi di ogni tipo».

Come è noto, nel mese di marzo il "re" del Bahrein, Hamad bin-Issa al-Khalifa, ha permesso agli eserciti dei paesi del Golfo Persico di invadere la piccola isola che governa (in realtà un arcipelago di 33 isole) allo scopo di reprimere l’insurrezione popolare che la monarchia sta affrontando.

Saudi Arabia, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Oman e Qatar, alleati del Bahrein e degli Stati Uniti, si sono affrettati a dare man forte al monarca al-Khalifa, preoccupati per l’intensità e persistenza della rivolta, in cui vedevano il pericolo del contagio nei loro stessi paesi. Sappiamo infatti, che da almeno un mese in vari paesi del Golfo, tutti regimi semi-coloniali asserviti all’Occidente, sono in atto tentativi di rivolta contro i governi e la loro alleanza con Usa e Israele.

In particolare l’Arabia Saudita, la Potenza Ammiraglia del Golfo, teme che eventuali concessioni da parte della monarchia del Bahrein possa incoraggiare i propri cittadini all’insurrezione organizzata per mettere fine alla monarchia saudita e di conseguenza al dominio saudita/americano nella regione del Golfo.

L’intervento militare da parte degli eserciti del Golfo ha segnato per gli abitanti del Bahrein l’inizio di un incubo senza fine: una repressione brutale, che non risparmia nessuno, si è abbattuta sulla popolazione pacifica e prende di mira soprattutto chi tenta di soccorrere i manifestanti feriti negli scontri con le forze del Bahrein e quelle di invasione.

Come già illustrato nel mio post precedente, almeno 25 persone sono morte in questa fase iniziale degli scontri, e i feriti sono migliaia. Ma mancano all’appello centinaia di persone - non si sa se morti o arrestati.

Negli ultimi giorni vengono rinvenuti in diversi luoghi, nascosti alla vista immediata, i corpi di persone picchiate a morte o abbattute con armi da fuoco. Tra i morti anche alcuni leader dell’opposizione, arrestati e torturati a morte.

Gli ospedali sono sotto assedio e in alcuni casi sono stati fatti sgombrare. Come riportato dall’organizzazione umanitaria Human Rights Watch: ‘ai feriti viene negato l’accesso alle strutture mediche anche quando in pericolo di vita; non solo, i feriti vengono arrestati e portati in questura per interrogazione sotto tortura; al personale medico viene impedito di entrare negli ospedali; e chi abbia provato a uscire, medici o infermieri, è stato arrestato e perfino brutalmente picchiato a morte o abbattuto con armi da fuoco …



In alcuni casi, gli ospedali sono stati assaltati e i feriti presi in consegna dalle forze militari. «Non può esserci giustificazione alcuna per arrestare una persona semplicemente perché si è ferita in scontri dovuti a proteste», – dichiarava mercoledì Joe Stork, vice direttore della HRW per il Medio Oriente – «è contrario ad ogni principio umanitario privare i feriti delle cure mediche necessarie a salvare la vita o evitare danni irreparabili».

La HRW ha inoltre documentato casi in cui i feriti sono stati picchiati durante l’assalto al Salmaniya Hospital nella capitale Manama. Dichiarava alla Reuters Faraz Saneif, un ricercatore della HRW nel Bahrein: «E’ incredibile: queste persone che hanno bisogno di cure devono scegliere tra il rischio di essere arrestati se arrivano in ospedale, o il rischio di infezioni o conseguenze anche peggiori se tornano a casa».

Il presidente del Centro per i Diritti Umani di Manama, Nabeel Rajab, ha ricevuto notizia di molti casi di personale medico femminile che viene fisicamente e sessualmente molestato da parte di guardie mascherate che invadono gli ospedali.

Il più noto chirurgo di Manama è stato trascinato fuori dalla sala operatoria mentre stava operando un paziente ed è stato abbattuto davanti ai colleghi e pazienti. In seguito anche la casa è stata distrutta. Ma la stessa sorte è toccata a tanti altri.

Raccontava un corrispondente di PressTV dal Bahrain di cui non viene fatto il nome per motivi di sicurezza: 

«Proprio come fanno gli israeliani quando arrestano un palestinese, le forze dell’esercito saudita e i mercenari del Bahrein dopo l’arresto dei manifestanti o del personale medico 'colpevole' di soccorso ai feriti, mette poi a soqquadro oppure distrugge l’abitazione della persona arrestata e malmena i componenti della famiglia.’ 

Che poi è quello che succedeva anche mesi fa in previsione delle elezioni (farsa) nel Bahrein, quando sono stati arrestati praticamente tutti insieme gli esponenti dell’opposizione del Bahrein. 

Circa 300. Tutti in carcere, sotto tortura. 

Case saccheggiate e famiglie aggredite.




Dallo scorso mercoledì sono in atto condizioni di vera e propria occupazione militare. Nelle località vicine alla capitale Manama vige il coprifuoco totale, anche di giorno. E’ stato imposto il black-out mediatico, ma PressTV ha trasmesso alcuni video amatoriali, da cui ho catturato immagini dalla diretta streaming. Nei filmati si vedono strade deserte e posti di blocco. Chi si azzarda a circolare in macchina nonostante il divieto, viene fermato, trascinato fuori dall’auto e picchiato.

«Proprio come in Palestina – continua il corrispondente – ogni singolo villaggio è sotto assedio totale e completamente isolato dal contatto con i villaggi confinanti. Per spostarsi da una località all’altra bisogna passare attraverso un’infinità di posti di blocco. Si viene sottoposti a lunghe perquisizioni. Molti non riescono a passare: vengono picchiati e la macchina viene distrutta».

Nelle strade di Manama, quasi deserte, si assiste a cortei di mezzi da demolizione che abbattono edifici di persone dell’opposizione arrestate. Demoliscono anche edifici e monumenti simbolo della fede islamica e mausolei di martiri e religiosi. Dagli edifici vengono tolte le bandiere del Bahrein e issate quelle dell’Arabia Saudita. Conosciamo queste scene: le abbiamo viste in Iraq quando le forze di occupazione americane sono entrate in Baghdad.

Oggi tuttavia la gente era di nuovo in piazza a manifestare. Davanti alle telecamere hanno dichiarato: non desistiamo, siamo determinati. Prima chiedevamo solo le dimissioni del re al-Khalifa, ora vogliamo giustizia per i morti: il re deve essere condannato a morte. O si vince o si muore. Si sono uditi spari e si è visto molto fumo nelle strade della capitale Manama, oggi.




«Ci sono stati oltre 50 arresti tra gli attivisti solo durante questa notte» – dichiarava Saeed Shahabi del Bahrain Freedom Movement oggi a PressTV in diretta da Londra. «Il mondo non sta facendo niente per fermare le atrocità che vengono commesse da parte del monarca al-Khalifa e dei suoi complici invasori. Non sento condanne per i massacri. Non sento condanne per l’invasione e l’occupazione. Non sento condanne per gli arresti di massa dei manifestanti».

Con certezza sono noti 420 casi di arresti, finora, tra cui anche donne incinte. Ma molte persone mancano all’appello.

Ieri un video amatoriale mostrava i funerali di un ragazzo di 15 anni ucciso dalle forze di sicurezza. Sayed Ahmed, di Sa'ar, aveva osato uscire per giocare e aveva tentato invano di scappare quando si è accorto delle guardie che si avvicinavano. Lo hanno brutalmente abbattuto con colpi di arma da fuoco. Il caso è stato riportato nella pagina Facebook del partito Al Wefaq.



Personalmente mi chiedo come la ‘casa reale’ del Bahrein pensi di continuare a regnare su una popolazione ormai irreparabilmente ostile e probabilmente decimata alla fine delle ostilità – che dovranno pur finire prima o poi. Ma non tutti sono ottimisti in questo senso. Alcuni ipotizzano un esito che vedrà il Bahrein incatenato all’Arabia Saudita e la popolazione ridotta a stato di semi-schiavitù della potenza maggiore saudita.

Bisogna anche ricordare, che il Bahrein, come tutti i regimi del Golfo (eccetto lo Yemen), non è una nazione povera. Al contrario. È noto per il commercio di perle (da cui il simbolo del monumento di Pearl Square, recentemente abbattuto per ordine del monarca). È un paese produttore di petrolio. Gode di un turismo florido. Manama ospita l’enorme struttura del World Trade Center del Bahrein e il distretto finanaziario del Bahrain Financial Harbour. È anche una delle tappe del Gran Prix di Formula 1.


«Tutto questo è ora compromesso e ci vorranno anni per ristabilire lo status economico antecedente l’occupazione militare» - dichiara il prof. Shakespeare durante una diretta PressTV, commentando i gravi fatti del Bahrein. «Nessuno si sentirà più al sicuro nel Bahrein. Gli investitori stranieri - essenziali per un’economia moderna - spariranno. Non capisco come un monarca che sia tale possa decidere di sacrificare il patrimonio della nazione pur di rimanere al potere. Potere su cosa?»


giovedì 24 marzo 2011

BAHREIN: "La situazione è disperata" - YEMEN: Cronaca di una Rivolta - Parlano gli Esperti

Parla Egeria 
Mentre la martoriata Libia è sotto attacco da parte dell’Impero occidentale, il Bahrein e lo Yemen vengono ignorati dai media di massa, nonostante la grave situazione in entrambi i paesi. E anche quando troviamo qualche accenno nelle news in merito alle manifestazioni di protesta, allo spettatore non viene fornito alcun elemento utile per comprendere le cause e i retroscena politici internazionali che hanno portato alla situazione attuale.

La minuscola isola del Bahrein è sotto assedio da parte di 5 eserciti stranieri oltre a quello locale. Ma le terribili violenze, torture e uccisioni che subiscono i cittadini del Bahrein per avere reclamato i diritti civili, vengono sistematicamente taciute nei media, che sacrificano l'informazione sull'altare della convenienza politica.


Certo: sarebbe imbarazzante dovere ammettere la complicità dei governi occidentali con i regimi dittatoriali nella repressione dei manifestanti. Infatti ci sono 5.000 soldati americani stanziati nel Bahrein, che fanno parte della 5a Flotta della Marina Militare americana con quartier generale in Manama. Ma non fanno niente per impedire lo spargimento di sangue.

I miei ultimi due post sono stati interamente dedicati al Bahrein e diventa quindi imperativo testimoniare i fatti che accadono al momento in Yemen, dove la repressione nei confronti dei cittadini in rivolta ha provocato decine di morti e centinaia di feriti. Ma un breve resoconto della grave situazione del Bahrein sarà riportato prima del capitolo sul Yemen.

In Sana'a, Yemen, il presidente Saleh è sotto forte pressione da parte dell’esercito a dimettersi, ma resiste in quanto appoggiato politicamente dagli USA e militarmente dall’Arabia Saudita e dalle forze della Guardia Presidenziale yemenita.

Secondo quanto riportato dal Washington Post il dittatore Saleh minaccia con la guerra civile qualora l'opposizione insistesse a chiedere le dimissioni del presidente e l'esercito dovesse tentare 'un colpo di stato' in seguito alla defezione da parte degli alti ufficiali dell'esercito.

Gaza - In effetti avrei voluto oggi parlare di ciò che succede attualmente in Gaza, dove da giorni l'esercito israeliano sta attaccando i civili via aria e via terra. 10 morti e decine di feriti il bilancio degli ultimi 3 giorni, tra cui anche alcuni bambini che giocavano a calcio. Ma devo affrontare un argomento alla volta, per non proporre ai lettori papiri chilometrici.

Libia - Per chi cullasse illusioni circa la natura "umanitaria" dell'intervento militare in Libia, citerò di seguito un commento dell'esperto americano in Diritto Internazionale, Dr. Franklin Lamb, che in un'intervista all'emittente PressTV rilasciata il giorno in cui iniziavano i bombardamenti, ha fornito la propria analisi in proposito dicendo, tra l'altro:

'Oggi, anniversario dell'Invasione dell'Iraq, il governo americano ha iniziato un nuovo conflitto militare, che si aggiunge ai due già in atto nella regione.
Ieri, nell'annunciare l'intervento in Libia, Obama diceva che: - l''America fa ora parte di una coalizione allargata che risponde alla chiamata di un popolo sotto minaccia, agendo così nell'interesse degli Stati Uniti e del Mondo.'
'Questo stesso giorno otto anni fa (19 marzo 2003) George W. Bush dichiarava che: 'Le forze americane fanno ora parte di una larga coalizione per un'operazione militare mirata a disarmare Saddam Hussain, a liberare il popolo iracheno e a difendere il mondo da un grave pericolo' -- quasi le parole identiche sentite da Obama mentre entriamo in questa terza guerra nella regione: conferma di uno schema sistematico che rappresenta per tutti una grave tragedia.
'Prevedo un nuovo pantano che potrebbe facilmente trasformarsi in catastrofe. Avremmo dovuto impiegare ogni sforzo diplomatico prima di bombardare la Libia.'

A proposito di Gaza e Libia,
ecco un breve episodio al quale ho appena assistito.

Mentre scrivo, giovedì sera ore 23, è in onda in diretta la conferenza stampa di Ban Ki-Moon presso le Nazioni Unite a New York in merito alla Libia e altre zone calde del medio oriente. Dopo il briefing di rito arrivano le domande dei giornalisti. Una domanda riguarda Gaza: 'cosa sta facendo l'Onu per fermare gli attacchi ai civili da parte di Israele? Il recente massacro di bambini Le è noto, visto che lo ha commentato mentre era in Egitto' - questa la domanda di un giornalista con chiaro accento mediorientale.

Risponde il segretario generale Ban Ki-Moon: 'La sorte della popolazione di Gaza è in alto nella lista delle priorità delle Nazioni Unite. Ho personalmente esortato il premier israeliano Netanyahu ...' Ma mentre parlava è scoppiato nella sala un piccolo coro di risate fragorose. Il Segretario, per niente scomposto ha continuato nel solito tono compassato ' ... ho esortato il premier israeliano ad agire con contenimento ...' - sicuramente ci sarà il video su YouTube prossimamente.

Libia - Nato - Mentre scrivo, mezzanotte di giovedì, ecco in diretta il segretario di stato (ministro degli esteri americano) Hillary Clinton per un aggiornamento ufficiale in merito alla guerra in Libia. Parla dei 'progressi' negli attacchi aerei e dei 'gravi danni' inflitti alle forze di Gaddafi che tuttavia continua a rappresentare 'una grave minaccia per centinaia di migliaia di cittadini libici - per questo i nostri sforzi si devono moltiplicare'. Continua Hillary: 'Ma gli aiuti umanitari e l'assistenza medica stanno raggiungendo la popolazione. Abbiamo saputo che 18 medici e infermieri hanno raggiunto la popolazione di ... (credo fosse Misratha).'

Insomma una missione umanitaria in piena regola: 18 medici per 'centinaia di migliaia di cittadini' in pericolo in una zona di conflitto bellico, rispetto alle tonnellate di missili che piovono dal cielo.

Hillary ha poi aggiunto che ‘gli aerei americani stanno diminuendo nei cieli sopra la Libia, mentre aumentano quelli europei’. Perché la puntualizzazione? Perché è in atto da giorni il gioco dello ‘scarica barile’ tra USA e NATO. Obama è sotto accusa da parte di un gruppo nutrito di parlamentari americani, che ha chiesto l’impeachment del presidente, perché ha deciso l'intervento militare in Libia bypassando la consultazione parlamentare - cosa del tutto incostituzionale - criticandolo tra l'altro per il suo 'viaggio startegico' alquanto prolungato in Sud- America subito dopo l'annuncio dell'intervento militare in Libia.

Gli Usa vogliono che sia la Nato ad assumersi la paternità di questo nuovo disastro molto contestato in America con recenti manifestazioni pubbliche alquanto chiassose ed efficaci. Ma la Nato non ne vuole sapere: 3 sessioni plenarie consecutive a Bruxelles negli ultimi giorni non hanno messo d’accordo i paesi membri dell’Alleanza Nord-Atlantica, e comunque la Germania e la Turchia si sono chiamati fuori definitivamente dalle operazioni.
Tuttavia nelle ultime ore è arrivata la dichiarazione del segretario generale alla Nato, Rasmussen, che annunciava che la Nato accettava ufficialmente il comando per l'esecuzione della No Fly Zone. Che tradotto significa: ci assumiamo la responsabilità per la chiusura dello spazio aereo sopra la Libia, ma non per i bombardamenti.

A proposito: gli esperti comunicano che le armi usate per bombardare la Libia contengono uranio impoverito. E abbiamo visto cosa ha provocato l'uranio impoverito: in Kosowo, in Iraq, in Gaza.

Egitto / Gaza. Ecco, è venerdì notte e tra qualche ora, inizieranno, come è ormai consuetudine il venerdì, le manifestazioni nelle Piazze Arabe. Già annunciata ufficialmente quella molto propagandata nel Cairo: dopo il referendum per gli emendamenti alla Costituzione, i cittadini egiziani si sono svegliati per trovare una bella sorpresa: è stata appena approvata una legge che vieta manifestazioni pubbliche e scioperi.

Nei giorni scorsi i cittadini egiziani avevano messo sotto pressione la giunta militare in controllo dell'Egitto, per 'mettere fine all'assedio di Gaza', mediante l'apertura della frontiera tra Gaza ed Egitto, ora che gli attacchi si sono intensificati da parte di Israele.

Una prima, timida reazione ci è stata.
E' di ieri l'iniziativa dei Colonnelli della giunta di inviare 10 tonnellate di cemento in Gaza (una goccia nell'oceano del bisogno), dove sono state bandite forniture di materiale di costruzione dalla fine del bombardamento di Gaza di due anni fa che ha distrutto 22.000 edifici, che non sono stati mai né ricostruiti e nemmeno riparati, con migliaia di persone costrette a vivere in tende.

I grossi camion sono arrivati oggi alla frontiera tra Egitto e Gaza, solo per trovare i cancelli del passaggio di Rafah chiusi dai militari israeliani: permesso negato alla fornitura di cemento. Attualmente i camion sono in sosta a Rafah in attesa di ulteriori sviluppi.

E' vero: l'invio del cemento è solo una manovra da parte dei Colonnelli per guadagnare tempo. Dichiarare aperta la frontiera tra Egitto e Gaza comporterebbe uno stravolgimento importante degli attuali accordi diplomatici con USA e con il regime sionista di Israele. Vedremo.

Intanto arriva la notizia secondo cui l'ex-presidente egiziano Mubarak sarebbe ora agli arresti domiciliari, di ritorno dall'Arabia Saudita dove aveva chiesto asilo al re Abdullah. Sappiamo che Mubarak è formalmente indagato per avere venduto per decenni gas e petrolio a Israele per prezzi molto inferiori a quelli di mercato. Ora i cittadini chiedono l'imputazione per le uccisioni ordinate dal tiranno durante le settimane della rivolta in Piazza Tahrir. Ricordiamo che circa 400 manifestanti sono stati uccisi in quei giorni.

Ecco dunque di seguito la cronaca - e in parte foto-cronaca - delle recenti vicende in Bahrein e Yemen.

Alla fine l'analisi di due esperti importanti interpellati da PressTV: Michael Malouf, ex-funzionario del Pentagono e Jeff Gates, americano anti-sionista molto seguito dalla blogosfera americana e britannica, autore del libro 'Guilt by Association' (colpevoli per associazione) in cui Gates denuncia la complicità americana con Israele e l'interferenza della Israel-Lobby che determina in toto le politiche estere americane.


Gli approcci dei due esperti sono diversificati e tra loro complementari.


Bahrein: 'La situazione è disperata'

Solo alcuni accenni alla situazione terribile del Bahrein, ma relazionerò in dettaglio a breve nel prossimo post, già in elaborazione, completo di commenti degli esperti.

La piccola isola è sotto assedio totale da parte delle forze di invasione - 5 eserciti dei paesi del Golfo Persico chiamati dal monarca del Bahrein, al-Khalifa, per reprimere l'insurrezione nel modo più brutale finora osservato tra le rivolte dei paesi del Golfo.

Non arrivano immagini dirette dal Bahrein, eccetto per alcuni video amatoriali. E' stato imposto il silenzio stampa e il coprifuoco.

Raccontava il seguente per telefono in diretta un contatto di PressTV in Manama, 'il cui nome non viene rivelato per ragioni di sicurezza' come commentava il giornalista di PressTV.

'La situazione è disperata. Vige la legge marziale e c'è il divieto di fare riprese con le telecamere. In Manama ci sono posti di blocco ad ogni angolo di ogni strada.

'Al personale medico e alle ambulanze viene impedito di soccorrere i feriti. Gli ospedali sono sotto assedio: nessuno può uscire o entrare.

'Alcuni ospedali sono stati assaltati e i chirughi arrestati mentre operavano i pazienti.

'Il Shahra Maternity Hospital è stato raso al suolo e non ci sono notizie sulla sorte del personale medico e dei feriti.

'Nei giorni scorsi abbiamo assistito a scene in cui medici e infermiere venivano trascinati nelle strade e abbattuti stile esecuzione.

'Finora i morti accertati sono 24, ma centinaia di persone sono scomparse: forse arrestate, forse uccise. Ci sono sporadici cortei funebri che si trasformano in proteste dal tono contenuto. I cortei vengono strettamente sorvegliati dalle forze saudite al suolo e dagli elicotteri dall'alto.'

Una breve sintesi di quanto succede nel Bahrein è riportata in questo articolo di PressTV. Secondo l'articolo, nonostante il coprifuoco i coraggiosi cittadini della località di Sitra si sono riversati nelle strade per protestare, ma le forze di sicurezza del Bahrein li hanno attaccati aprendo il fuoco e gettando gas lacrimogeni. E' di poco fa la notizia nell'ultima edizione delle news di PressTV che un ospedale è stato assaltato e circa 100 persone sono state uccise. Circa 250 tra arrestati e dispersi il bilancio di oggi.

Parla Ralph Schoenman

'The name of the Game is Imperialism' (il gioco si chiama Imperialismo), dice Ralph Schoenman in collegamento con PressTV questa sera parlando di Libia e Bahrein. Ralph Schoenman è un ebreo americano anti-sionista, che ha vissuto per tanto tempo in Europa. In gioventù era il braccio destro di Bertrand Russel e in tempi recenti ha scritto il libro 'The Hidden History of Zionism' (La storia segreta del sionismo), disponibile online in formato PDF.

'Come sappiamo - commenta Ralph Schoenman in diretta, parlando di Libia, Bahrein, Yemen (v. trascrizione sul sito di PressTV) - sono state usate armi chimiche nei confronti dei manifestanti, ma ora le autorità hanno le taniche dei gas con il marchio USA che ne identificano la provenienza.

'Gli scontri in Manama avvengono a solo 1 chilometro della 5a Flotta americana. Se gli americani avessero a cuore la sorte dei civili nel Bahrein, credete che starebbero a guardare inattivi mentre vengono impiegati agenti chimici per reprimere la rivolta? E' evidente che non si preoccupano affatto di fermare tutto questo, perché ne sono i mandanti.


'Vogliono imporre il controllo sulla regione, continua Ralph Schoenman. In Libia vogliono instaurare un regime dittatoriale sul quale avere il controllo per garantire il petrolio ai paesi della Nato e agli Stati Uniti (un nuovo Mubarak della Libia). La funzione delle Nazioni Unite in tutto questo è di fornire la necessaria copertura per giustificare una guerra spietata di stampo imperialista a tempo indeterminato, che si sta espandendo molto oltre l'imposizione di una no-fly zone. La ventilata 'missione umanitaria' è in realtà un pretesto per bombardare le infrastrutture, senza alcun riguardo per i civili, e senza curarsi se i civili colpiti siano combattenti in supporto a Gaddafi oppure opposti a Gaddafi. La Libia è anche la pedina sacrificale per dettare l'esito delle rivolte in Egitto, Tunisia e Algeria.'


YEMEN - Cronaca di una Rivolta

Nonostante lo Yemen sia un paese produttore di petrolio, il 40% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno e il 15% muore letteralmente di fame.

Sono ormai passati oltre due mesi da quando i coraggiosi e disperati cittadini dello Yemen hanno iniziato a manifestare contro il regime dittatoriale di Ali Muhammad Saleh, al potere da 32 anni, e le manifestazioni si sono intensificate giorno dopo giorno, nonostante la brutale repressione da parte delle forze governative, che ha provocato oltre cento morti e molte centinaia di feriti.

Poi lo scorso fine settimana le cose in Yemen sono precipitate. Una mega-manifestazione nella capitale Sana’a si è trasformata in strage. Le forze fedeli al dittatore Saleh hanno aperto il fuoco sulla folla, sparando dai tetti e dagli elicotteri.

Ci sono tre VIDEO in questa pagina di Information Clearing House da cui alcune delle immagini in basso che raccontano la Cronaca della Rivolta e che testimoniano quanto è successo negli ultimi giorni.

Alla fine del resoconto degli eventi, Michael Malouf e Jeff Gates, presentati in alto, analizzeranno la situazione nel Yemen in relazione al quadro generale nella regione del vicino oriente.

Sana’a, venerdì, 18 marzo – La folla in piazza manifesta pacificamente …


... Inizia l'assalto ai civili dai tetti e dagli elicotteri …



… I manifestanti soccorrono i feriti …



… Oppure portano via i morti mentre alle ambulanze viene impedito il soccorso alle vittime ...


... 52 morti, centinaia di feriti.


Il giorno dopo il popolo era di nuovo in piazza più numeroso che mai. Ad un certo punto si sono viste decine di carri armati avvicinarsi alla piazza principale gremita di manifestanti. Si temeva il peggio. E invece ecco gli alti ufficiali dell’esercito yemenita regolare scendere tra la folla e annunciare con microfoni che l’esercito si schierava ufficialmente dalla parte dei cittadini e che i carri armati erano lì per proteggere i manifestanti.

E’ stata una festa, ma i generali hanno messo sull’avviso: si deve fare i conti con le guardie repubblicane del presidente Saleh (addestrate e appoggiate dai sauditi), che possono contare sui rinforzi delle truppe saudite da tempo presenti sul territorio come contingente in appoggio agli USA per la cosiddetta “guerra al terrorismo” e ufficialmente a caccia di affiliati ad Al-Qaeda.per non parlare delle forze armate dell’Arabia Saudita presenti sul territorio yemenita.

In seguito gli ufficiali hanno annunciato la loro nuova posizione ufficialmente davanti alle telecamere.

L’attacco ai cittadini yemeniti era stato talmente feroce, che ha suscitato pronte reazioni da parte di molti funzionari del governo e di ambasciatori del Yemen in diversi paesi. Si sono dimessi alcuni ministri, ma in seguito il dittatore Saleh ha annunciato ufficialmente di avere licenziato l’intero Consiglio dei Ministri.

Una dopo l’altra arrivavano poi le notizie delle defezioni di singoli ambasciatori yemeniti in giro per il mondo che si schieravano apertamente dalla parte dei rivoltosi.

Per primo si è dimesso l’ambasciatore dello Yemen alle Nazioni Unite, Abdullah Alsaidi. Poi si è dimesso l’ambasciatore yemenita presso la Lega Araba.

Come sappiamo, la Lega Araba è sotto accusa in questi giorni per avere fatto l’ultimo errore di una lunga serie, e cioè quello di avere ufficialmente invocato, durante una conferenza stampa a diffusione mondiale, la 'No Fly Zone' sulla Libia, o meglio, l’intervento militare della Nato. Si sa che alcuni giorni fa il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa (già a capo del governo egiziano) ha ufficialmente annunciato la propria candidatura alle prossime elezioni presidenziali in Egitto. La mossa di Amr Moussa nell’invocare l’intervento militare Nato viene vista come una manovra politica per assicurarsi l’indispensabile appoggio dell’occidente per la sua candidatura alla presidenza.

In seguito è arrivato un messaggio congiunto degli ambasciatori yemeniti presso molte capitali europee (Londra, Bruxelles, Berlino, Parigi, ecc, compreso l’inviato a Ginevra, ) in cui esortavano il presidente Saleh a 'dimettersi per evitare altro spargimento di sangue' in quanto il popolo si mostrava determinato a disfarsi del dittatore. (AFP)

Anche l’ambasciatore presso l’Arabia Saudita, Mohammad Ali al-Ahwal, ha annunciato ufficialmente il supporto alla popolazione yemenita, esortando il presidente Saleh a dimettersi – e questo è anche un importante messaggio al governo saudita in comando delle operazioni nel Bahrein con un dispiego massiccio di mezzi e forze dell’esercito, e in un senso allargato, anche un messaggio a Washington che appoggia la repressione delle rivolte nel Golfo.

Il presidente Saleh lotta per rimanere al potere

Intanto arrivavano, a distanza di poche ore l’una dall’altra, le dichiarazioni del dittatore Saleh, che prima annunciava che si sarebbe dimesso nel 2013, prima delle elezioni. Poi, sotto forte pressione, ha 'concesso' al popolo le proprie dimissioni per il 2012.

Il giorno dopo, martedì, un portavoce del governo yemenita, Ahmed al-Sufi, dichiarava alla Associated Press che Saleh aveva informato gli ufficiali dell'esercito circa la sua intenzione di dimettersi dal governo nel gennaio dell'anno prossimo, e di chiedere asilo al monarca dell'Arabia Saudita. Tuttavia Saleh si sarebbe dimesso non prima di avere organizzato nuove elezioni presidenziali. Inutile aggiungere, che il popolo non ha accettato: 'Saleh se ne deve andare adesso', gridavano i manifestanti, che non hanno mai abbandonato la piazza da venerdì scorso.

Secondo bfnews.info, Saleh avrebbe chiamato lunedì sera il re dell'Arabia Saudita Abdullah bin Abdul Aziz, annunciando che sarebbe probabilmente costretto a rinunciare al potere e chiedendo formalmente asilo per sé e la sua famiglia presso la corte saudita.

Ricordiamo che il presidente yemenita Saleh è già il terzo dittatore arabo a chiedere asilo in Arabia Saudita, dopo l’egiziano Mubarak e il tunisino Ben Ali.

Secondo Islamidavet.com l'opposizione ha rigettato la proposta di Saleh di organizzare le prossime elezioni e ha risposto al presidente concedendogli 48 ore per dimettersi ufficialmente. Il presidente ha risposto mettendo sull'avviso che l'esercito avrebbe tentato un colpo di stato che sarebbe risultato in guerra civile. 'Coloro che vogliono prendere il potere per mezzo di un golpe - dichiarava Saleh - sappiano che non lo permetterò. La patria non sarà stabile; ci sarà la guerra con molto spargimento di sangue. Che prendano molto sul serio il mio messaggio.'

Questa dichiarazione arrivava nonostante i generali passati all'opposizione abbiano dichiarato di non cercare il potere.

Nel frattempo anche gli ambasciatori di Siria, Libano, Egitto e Cina si schieravano apertamente dalla parte dei cittadini yemeniti. Mentre arriva la notizia che Saleh è stato abbandonato ufficialmente anche da parte del clan tribale a cui appartiene - questa, secondo gli osservatori politici, sarebbe una svolta importante nella lotta per spodestare il dittatore.

Un articolo del Washington Post informa che la situazione è molto tesa, che ci sono già scontri tra fazioni dell'esercito schierate con il popolo e guardie repubblicane fedeli a Saleh.

Sempre secondo il WP La Casa Bianca, messa sotto pressione, fa sapere tramite un portavoce che 'siamo in contatto con i nostri alleati nella regione, in particolare con il governo saudita, per consultarci in merito alla situazione in Yemen' - il portavoce ha declinato ogni altro commento. Il segretario alla difesa Robert Gates, in viaggio per Mosca, ha dichiarato ai reporter 'non è il mio compito commentare gli eventi in Yemen.'

Intanto però la situazione si fa seria. L’agenzia AFP rivela che nella provoncia di Sa’ada, Nord-Yemen, sono in atto combattimenti tra i ribelli yemeniti Houthi e le forze governative fedeli a Saleh. 20 finora i morti tra i ribelli negli ultimi 2 giorni. Ed è di poco fa la notizia da parte delle autorità mediche che già due soldati dell’esercito schierato con il popolo sono morti in scontri con le guardie repubblicane fedeli al dittatore.

Gli esperti intervenuti su PressTV negli ultimi giorni – da Washington, Londra, Medio Oriente, hanno in maggioranza espresso la preoccupazione. 'Si potrebbe configurare uno scenario in cui l’esercito regolare dello Yemen si trovi ad affrontare le poderose forze saudite' – questo il timore espresso dagli esperti.

Un leader dell’opposizione, Riadh Hussein al-Qadhi dichiarava questo: 'Il sistema è impazzito come quello della Libia e del Bahrein. E se Saleh attaccherà i civili in forze, il bagno di sangue che ne risulterà, segnerà comunque la fine della dittatura. Su una cosa concordano tutte le forze di opposizione: che bisogna mettere fine al sistema di stampo fascista e terrorista messo in atto da Saleh, che per decenni ha represso il popolo applicando il pugno di ferro.'

Arriva infine la notizia che il Parlamento del Yemen ha dichiarato lo 'Stato di Emergenza' L'opposizione ha sùbito risposto dichiarando di rigettare tale legge in quanto 'illegale'. Infatti lo stato di emergenza significa: sospensione della costituzione, divieto di manifestare, censura dei media, arresto senza accusa formale e detenzione a tempo indeterminato. Tuttavia lo stato di emergenza è stato ufficialmente imposto.


Parlano gli esperti sulle dinamiche USA / Medio Oriente

Di seguito il parere di due esperti autorevoli intervistati da Press TV per commentare gli approcci diversificati degli Stati Uniti alle rivolte nel Mondo Arabo, prendendo spunto dalle vicende in Yemen.

  1. Michael Malouf, un ex-funzionario del Pentagono, attribuisce il sostegno degli USA al presidente Saleh e ad altri dittatori del Golfo Persico agli accordi con l’alleato strategico nella regione, l’Arabia Saudita.
  2. Jeff Gates, esperto in diritto internazionale e autore americano, strenuo oppositore del sionismo, è del parere che le alleanze tra gli Stati Uniti e i dittatori arabi siano la conseguenza diretta dell’associazione degli Stati Uniti con il sionismo e la sua creatura, Israele.

Ecco una sintesi delle conversazioni dei due esperti con i giornalisti di Press TV.

Michael Malouf, ex-funzionario del Pentagono. (v. versione integrale inglese)

Mike Malouf: Washington e Riyadh vedono attualmente una minaccia ai propri interessi nel Golfo. E questo per loro è inaccettabile. E’ più probabile che continuino ad appoggiare i vari dittatori piuttosto che accettare le richieste dei cittadini per un governo democratico.”

PressTV:
Secondo quali criteri Washington decide di intervenire in Libia e non per esempio in Yemen?

Mike Malouf: Per via dell’alleanza con il governo saudita e gli investimenti di entrambi in Yemen. Non c’è alcuna contraddizione nella decisione (da parte degli Usa) di intervenire militarmente in Libia (e non nel Golfo). Saudi Arabia e Libia sono in conflitto da anni: Gaddafi e il re saudita Abdullah si odiano e ognuno accusa l'altro di rivestire il ruolo di agente di spionaggio per Washington e Londra.

USA e Saudi Arabia sono fortemente preoccupati per ciò che sta succedendo. Bahrein, Yemen e Libia rappresentano una seria minaccia alla leadership dell’Arabia Saudita e dell’America nel Golfo e nell’intera regione. La leadership saudita riveste un ruolo chiave nel mantenere la 'stabilità' nella regione. Ecco il motivo per cui gli Usa finanziano i regimi autocratici disposti a vendersi e piegarsi al volere dell’occidente: garantiscono lo status quo (ai danni dei cittadini). E tutto questo minaccia di collassare e gli Usa si trovano a doversi destreggiare come funamboli man mano che le varie situazioni evolvono.

Riguardo al Bahrein (adesso militarmente occupato da 5 eserciti del Golfo, capeggiati dall’Arabia Saudita) e riguardo al Yemen gli Stati Uniti si trovano ad affrontare un bel dilemma. Non possono chiedere la rimozione degli autocrati che sono alleati strategici di Saudi Arabia. E non possono figurare come forze di repressione delle rivolte per non contraddirsi (visto che pubblicamente invocano sempre ‘governi democratici’ per il mondo islamico).

I sauditi hanno bisogno di poter contare sull'appoggio degli Usa. Si sentono minacciati dagli eventi dei paesi confinanti - Bahrein e Yemen - dove intervengono attivamente per reprimere le rivolte per paura del contagio interno. Infatti hanno messo in atto una repressione spietata per soffocare le iniziative di insurrezione interna, nella regione orientale saudita ricca di petrolio.

Press TV: Secondo Lei, ora cosa succederà, cosa deciderà di fare Saleh? Considerando anche la defezione di alcuni generali dell’esercito, come vede Lei gli eventi evolvere in Yemen?

Mike Malouf: Come hanno commentato anche gli altri esperti che avete interpellato, vedo la possibilità di una guerra civile. Oltre all’esercito, oggi si è apertamente schierato dalla parte dei cittadini anche il fratello del presidente Saleh, che è noto per essere un islamista conservatore. Brutte notizie per Usa e Saudi Arabia: se Saleh si vedesse costretto a dimettersi, il fratello si troverebbe in una situazione molto favorevole per una eventuale presa del potere.


Jeff Gates, avvocato di Phoenix, Arizona, e autore di ‘Guilt by Association - ('colpevoli per associazione', sulla complicità di USA con Israele) parla con Press TV in merito al decadimento delle politiche estere USA che Jeff Gates attribuisce al falso senso di responsabilità percepito nei confronti di Israele che si traduce nell’appoggio per le aggressioni del regime sionista nel Medio Oriente. Mette anche in guardia circa le manovre in atto dietro le quinte diplomatiche per assumere il controllo dei regimi nelle aree in rivolta.

Di seguito la sintesi dell’intervista (v. versione integrale inglese)

Press TV: Il presidente del Yemen, Saleh, ha messo in guardia circa un’eventuale guerra civile. Secondo alcuni osservatori il messaggio di Saleh sarebbe rivolto alle potenze occidentali come monito per le conseguenze che risulterebbero dalla fine della sua leadership. Lei cosa ne pensa?

Jeff Gates: Sono preoccupato. Certo, tutti facciamo il tifo per la popolazione yemenita che vuole rimuovere un tiranno dal potere. Ma ho dei forti sospetti in merito a cosa accadrà in seguito, in merito a chi prenderà il controllo. Mi vengono in mente le parole del ministro britannico, Lord Cromer, che era solito dire: 'Noi non governiamo l’Egitto, governiamo i governatori dell’Egitto.' E quindi bisogna prima di tutto chiedersi: quali forze sono in atto in tutto questo (nelle rivolte arabe)? Quali forze emergeranno da dietro le quinte?

Se osservo il quadro generale, vedo alcuni fattori che mi allarmano molto. Analizzando i dettagli, vedo i prezzi del petrolio impennarsi. Vedo Saif Gaddafi (figlio) ammettere di avere finanziato in gran parte la campagna presidenziale di Sarkozy. So che 18 mesi fa Saif Gaddafi si incontrava a Londra con (3 esponenti sionisti influenti, n.d.t.): il barone Rothchild, Peter Mendelson che è il maggiore esponente del sionismo nel parlamento britannico, e Oleg Deripaska, il russo sionista che all’età di 40 anni valeva già 40 miliardi di dollari e che è esponente della mafia russa ebraica.

E quindi sto tentando di mettere insieme i tasselli e vedere il quadro in una prospettiva storica e cerco di capire quale sarà l’insieme che emergerà. Non posso ancora saperlo, ma ho i miei sospetti e sono alquanto allarmato.

Il fatto è che Washington ha perso il controllo sulle politiche estere americane molto tempo fa. Qui in America già nel 1940 eravamo stati messi in guardia da parte dei capi di Stato Maggiore e del ministro degli esteri dell'amministrazione Truman che ci avvisavano ‘State attenti a non riconoscere come stato legittimo quell’enclave di fanatici nel Mediterraneo orientale – come chiamavano i sionisti – perché ci trascineranno in gravi conflitti; cercano il dominio dell’intero Medio Oriente e useranno il nostro apparato militare per raggiungere il loro scopo.’

Siamo stati coinvolti con l’inganno ad invadere l’Iraq – continua l’autore. La ‘No-Fly Zone’ è stata decisa da Paul Wolfowitz che appartiene a questo stesso clan sionista, che ora sarà contento di vedere gli eventi che si avvicendano nel MO. Bisogna guardare agli eventi con occhi vigili. L’entusiasmo per la caduta di un dittatore potrebbe farci perdere di vista le manovre che avvengono dietro le quinte (vedi Egitto, n.d.t.). Bisogna osservare gli eventi attuali alla luce della storia recente nella regione, che non è incoraggiante.

Press TV: Quanto è critica secondo Lei l’alleanza tra USA e Yemen? Sappiamo che ufficialmente gli USA considerano lo Yemen un alleato strategico per la cosiddetta ‘lotta al terrorismo’.

Jeff Gates: Insisto, gli Stati Uniti sono allineati con quell’enclave di fanatici che conosciamo con il nome di Israele e questa alleanza mi disturba profondamente: ci siamo avventurati in altre alleanze nella regione in parte come conseguenza di questa alleanza iniziale. Eravamo stati messi in guardia, in America, ma lo abbiamo fatto lo stesso. George Marshall, che era ministro agli esteri sotto Truman, diceva: ‘Se riconoscerai questo enclave voterò contro di te’, e scrisse un memorandum in proposito.

Queste forze sono in comando da decenni nella regione. I furti dei territori nel 1967 hanno innescato le dinamiche delle agitazione che sono in atto adesso. Siamo stati trascinati in Iraq e in Afghanistan sempre per le stesse ragioni. E ora abbiamo una no-fly zone anche in Libia. E ho i miei sospetti sulle forze che ci hanno coinvolto anche in questo. Il nostro ministero degli esteri è da tempo dominato dai sionisti, sia ebrei che cristiani, che operano dall’interno degli Stati Uniti; è una cosa ben nota.

Press TV: Se guardiamo alla posizione degli Usa nella regione, diventa ovvio che l’atteggiamento nei confronti di Bahrein e Yemen, alleati degli Stati Uniti, è del tutto diverso rispetto a quello nei confronti della Libia. Lei vede in questo dell’ipocrisia da parte degli Stati Uniti?

Jeff Gates: Tutto questo dipende dal fatto che le nostre politiche estere non sono separate da quelle forze che dominano il ministero degli esteri e ci coinvolgono in guerre sulla base di falsi rapporti. Ad esempio: prima di invadere l’Iraq, era stata imposta la no-fly zone nel nord del paese e quando siamo arrivati nel marzo del 2003 erano già attivi un centinaio di agenti del Mossad (servizi segreti israeliani) in Mosul. E quindi se esaminiamo le cose più da vicino, è chiaro che c’è molta più carne al fuoco di quanto sia evidente.

Ciò che invece emerge con prepotenza, è che gli Stati Uniti sembrano ora 'colpevoli per associazione'. E’ questo il mio messaggio per quelli che stanno facendo la guerra all’America dall’interno dell’America spacciandosi per nostri alleati e inviando i nostri soldati a combattere per un secondo fine per il quale gli americani sono stati manipolati a impegnarsi.

Press TV: E quindi, chi ha preso in America le decisioni in merito a quanto accade attualmente?

Jeff Gates: E’ Hillary Clinton che ha convinto Obama a prendere queste decisioni, dietro consiglio di Samantha Power (consigliere sulla Sicurezza Nazionale) e Susan Rice (ambasciatrice alle Nazioni Unite). Insieme sono passate sopra le teste di Robert Gates (Difesa), del capo del controterrorismo e dei capi di stato maggiore.

Ecco come l’America viene indotta alla guerra mediante l’inganno e la frode. Per mezzo delle forze attive nel nostro ministero degli esteri e nelle nostre politiche estere.

***
Un'osservazione conclusiva.

Questi erano solo due tra i tanti pareri raccolti in questi giorni da parte dell'emittente PressTV, che rimane a mio avviso la fonte più preziosa per le informazioni internazionali.
Personalmente vorrei aggiungere questo: i miei sospetti si indirizzano anche verso quella fornitura di armi per la cifra di 60 miliardi di dollari effettuata da parte degli Stati Uniti all'Arabia Saudita appena l'estate scorsa. Si tratta della fornitura di armi più impotante in assoluto nella storia in termini di costi e qualità dell'arsenale fornito. Sulle ragioni di tale fornitura si sono fatte molte congetture, senza arrivare ad una conclusione coerente. Tuttavia, alla luce dei fatti attuali nella regione, sembra legittimo ipotizzare un collegamento tra i due aspetti - anche se il quadro è ancora alquanto confuso.
Egeria

... continua ...
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