martedì 30 aprile 2013

Recensione a Ludwig von Mises: «In nome dello Stato».

Ludwig von  Mises, In nome dello Stato, 2012, Rubbettino, Soveria Mannelli, pp. 212, € 12,90.

Questo libro è uno dei più significativi di Ludwig von Mises, tra i maggiori scienziati sociali del secolo scorso. Scritto a Ginevra, dove si era rifugiato perché ricercato dai nazisti (era ebreo e liberale), non è solo un libro di economia, ma, scritto in frangenti storici tragici è ancor più un’analisi dell’incubazione del nazismo nella cultura tedesca, e delle convergenze antiliberali di comunismo e nazismo. Scrive Infantino nell’accurata introduzione: «Nella sua forma più diretta, il collettivismo punta alla soppressione della proprietà privata. Quali che siano le sue promesse, deve quindi convogliare ogni attività economica dentro i rigidi binari di una pianificazione centralistica. Ma l’economia di piano non può funzionare, Mises lo aveva largamente mostrato in Gemeinwirtschaft. E lo ha mostrato anche nel testo che qui si presenta. Se la proprietà privata viene soppressa, non c’è competizione, non c’è mercato, manca un sistema dei prezzi»; ma c’è anche un altro modo per affermare il collettivismo: «tramite la via indicata dalla Scuola storica tedesca dell’economia. Uno dei tardi esponenti di quella Scuola, Othmar Spann, è stato al riguardo molto chiaro: se non può “essere abolita”, la proprietà privata deve essere subordinata al “tutto supremo, lo Stato”. Deve quindi avere un’esistenza meramente formale». La scuola storica tedesca dell’economia ha creato i «presupposti culturali del nazismo. Mises ha scritto: “non si sminuisce affatto il significato del sovvertimento radicale prodotto dal nazionalsocialismo se si richiama l'attenzione sul fatto che esso non è altro che la realizzazione coerente e integrale delle idee che avevano dominato la politica tedesca prima del 1914 … il nazionalsocialismo è la realizzazione dell’utopia vagheggiata dall’ala radicale del Socialismo della cattedra tedesco”».

 Dietro l’idea di sopprimere o sottoporre a esteso controllo la proprietà privata c’è sempre un unico errore “c’è l’idea che la proprietà privata stia alla base di un conflitto insanabile, che fa della cooperazione un gioco a somma zero, un gioco cioè in cui il guadagno degli uni coincide con la perdita degli altri è questa l’imputazione causale che viene data a ogni male sociale”. Ma c’è anche un obiettivo comune (a chi governa, nazista, comunista, socialista o altro che sia). E ciò risiede “nel fatto che le risorse detenute privatamente rendono possibile la scelta individuale. Si colpisce pertanto la proprietà per impedire i conseguenti prodotti della scelta: la «molteplicità» e la discussione critica. Il che costituisce, e non a caso, un obiettivo perseguito tramite la contemporanea pretesa di possedere una conoscenza superiore, un «punto di vista privilegiato sul mondo»”. Insomma: i collettivisti sanno bene quello che sosteneva (da vecchio) Proudhon (tra i tanti): che senza proprietà non c’è libertà. Per cui occorre limitare, controllare la proprietà privata perché è la premessa di ogni regime in cui siano i governati a controllare i governanti. All’epoca in cui Mises scriveva le tesi “collettiviste” andavano per la maggiore. Una curiosa conferma se ne ha a leggere i lavori della costituente italiana sull’art. 41 della Costituzione (sull’iniziativa economica, la proprietà dei mezzi di produzione e i poteri pubblici al riguardo). Fanfani nel sostenere la stesura proposta dell’art. 41 ne esaltava la modernità perché era assai simile agli analoghi articoli della Costituzione di Weimar, di quella portoghese salazarista (cioè corporativo-fascista) e di quella sovietica (staliniana) del 1936. Precetti tutti assai datati e tutti – tranne quello italiano – soppressi da decenni, ma allora l’“ampio spettro” citato da Fanfani ne dimostrava la prevalenza (allora) nel dibattito politico culturale e resta, anche per ciò uno dei meriti del libro (allora controcorrente) di Mises. Come scrive Infantino “se Mises fosse stato debitamente letto e meditato, la decifrazione delle «catastrofi» del Novecento sarebbe stata più tempestiva e meno gravida di «bigotterie»”. Dopo la guerra il clima comincia a cambiare, almeno in alcuni Stati. La Grundgesetz (la Costituzione della Germania occidentale, poi estesa alla Germania unificata, è assai più rigorosa nel tutelare libertà e proprietà privata. Scrive Mises nella lettera (ad A. Müller-Armack) con cui si apre questo libro “Quel che Lei e Erhard avete fatto per rimettere in piedi l’economia tedesca sarà giustamente considerato dovunque – malgrado alcuni «errori estetici» - come un grande atto di liberalismo”. Dal collettivismo del socialismo di Stato al liberalismo e all’economia sociale di mercato: il common sense era cambiato, e radicalmente. Un po’ dappertutto : assai meno, purtroppo, in Italia. Ha ragione Mises quando nella conclusione da più fiducia ai mutamenti culturali-spirituali che agli strumenti giuridico-istituzionali: “La ricostruzione della civiltà e l’instaurazione di un ordine politico che garantisca la pace non può cominciare dalla revisione dei trattati internazionali e del patto costitutivo della Società delle nazioni, bensì dalla revisione delle dottrine di politica economica”.

In caso di ritardi dello “spirito pubblico”, sono le crisi – anche le più dolorose – a determinare i cambiamenti e far comprendere gli errori.

Teodoro Klitsche de la Grange

martedì 16 aprile 2013

Trasecolo! Repubblica si inventa ancora una volta i fatti di sana pianta: non ho MAI concesso nessuna intervista a Repubblica o mai DETTO nulla a Repubblica.

Di questa nuova vigliaccata di Repubblica, che più in basso non poteva scendere, ho avuto notizia domenica pomeriggio, quando le edicole erano chiuse. La prima cosa da appurare era se si trattasse dell’edizione cartacea o di quella online. Ho pensato che si trattasse della sola edizione online, ma devo in questo momento ricredermi perché ho trovato in rete l’immagine qui pubblicata e che chiaramente rinvia ad un cartaceo che non ho.

Tralascio gli aspetti demonizzanti del testo. Ormai Repubblica si è convinta essa stessa e vuol far credere che io sia il Demonio, e che le mie opinioni quali che siano sono le opinioni di un Demonio. Viene chiamata in causa la comunità ebraica come formulatrice di simili accuse, che poi si sostanziano nella criminalizzazione di una opinione, di cui neppure ci si interessa di intenderla nel giusto contenuto e contesto: non interessa né alla comunità ebraica né a Repubblica. Mi si nega l’interpretazione autentica del mio proprio pensiero, ma lo si vuol far apparire da testi estrapolati, falsificati e manipolati. Neppure la peggiore Inquisizione era arrivata a tanto!

 Se qualcuno insiste nelle sue idiozie, per giunta in mala fede, ci si potrebbe anche stancare presto a confutarle, e la cosa potrebbe finire. Gli idioti li si lascia alle loro idiozie e la cosa finisce lì.

Senonché come già nel 2009, quando si erano inventate mie inesistenti lezioni all’università, adesso Repubblica continua ad inventarsi fatti inesistenti. Tralascio per adesso le enormità che si leggono negli altri trafiletti dell’immagine e mi soffermo su una sola di esse, dove a fatica leggo:
IL PRECEDENTE DEL 2009. A Repubblica disse il ricercatore: “Le camere a gas...”, ecc.
Ebbene io a Repubblica NON ho mai detto nulla! Quanto alle “camere a gas” – non fuggo e non ho paura del merito – a me la sola cosa che interessa è proprio il fatto che in Francia vi siano delle persone che possono essere messe in galera per il solo fatto che ritengono di poter dimostrare in sede storico-scientifico che in realtà di camere a gas non ne siano mai esistite... Quindi, oggi come nel 2009: a me le “camere a gas” non interessano, ma mi interessa il fatto che chiunque possa parlarne e sostenere la tesi che meglio crede, sottoponendosi al contraddittorio, all’argomentazione scientifica, alla confutazione. La discussione sulle camere a gas NON mi interessa, ma la discussione sulla libertà di pensiero mi interessa invece moltissimo.

La smentita rifiutata da Repubblica
Sulla materia delle “camere a gas” esiste comunque una specifica letteratura. Se Repubblica è interessata a questa materia è ad altri che deve rivolgersi, non a me, che di queste cose non sono e non ho mai detto né a Repubblica né a chicchessia di essere uno specialista e di volermene interessare. Sono altre le cose di cui mi occupo e mi interesso. Questi Signori di Repubblica pensano di potermi inchiodare su due o tre frasi estrapolate in mezzo centinaia di migliaia di parole, ma non ho nessuna difficoltà a riprendere il tema se vogliono lanciarmi una sfida in tal senso. Curioso però che Repubblica o altri media non mi abbiano mai chiesto una intervista al riguardo, beninteso una intervista scritta e non lasciata al loro arbitrio e alla loro manipolazione.

Non solo non dissi mai nulla, perché mai vi fu una intervista da me concessa a Repubblica, ma si tratta di frasi precedenti di alcuni anni prima, estrapolati da miei testi. Come a dire, che io estraggo un testo di un secolo prima e dico che quella persona vissuta un secolo prima mi «ha detto»...

Il Marco Pasqua, contro cui è in corso la mia causa civile, per risarcimento danni, si avvalse di testi redatti anni prima, credo nel 2006, sui quali si era già allora imbastita la stessa operazione, facendoli apparire con tecnica manipolatoria con il contenuto di mie lezioni universitarie e provocando uno “shock” alla Sapienza che era assolutamente tranquilla prima che la stessa Repubblica ne provocasse lo shock con fatti inesistenti, ossia le presunte lezioni, da cui l’inchiesta disciplinare. È curioso vedere negli atti di causa come Repubblica si difende da questa contestazione.

Orbene, questi signori sono degli impuniti denigratori di professione, ma non possono inventarsi di sana pianta fatti inesistenti. Non solo io non dissi mai nulla a Repubblica, ma questo primario quotidiano si rifiutò in tutti i modi di pubblicare ogni mia smentita ai sensi di legge, allora ed oggi. Addirittura quando chiesi di poter parlare direttamente con Ezio Mauro mi fu risposto che il Direttore “non parla con chiunque”, un altro Tizio cui mi era stato detto di rivolgermi, si era prima dato “malato” e poi, guarito, mi rispondeva che a pochi giorni il “caso” era ormai archiviato. Adesso però pescano negli archivi del 2009, inventandosi cose mai esistite quanto assurde. E cioè che io avrei “detto” proprio a Repubblica, cose che sono state estrapolate, fuori contesto, dai miei numerosi blog di anni prima.

Che i miei contenuti siano “antisemiti” lo dice e statuisce Repubblica o altri, ma io non li ho mai intesi come tali, non mi sono mai professato “antisemita” (mentre non ho difficoltà a chiarire gli esatti termini del mio antisionismo) e dissi in effetti un una intervista televisiva, pure manipolata (fu tagliato l’inizio e la fine della risposta) di non sapere neppure quale sia il significato di “antisemita”, che io trovo altamente problematico, indefinito e pericolosissimo nei risvolti normativi e giudiziari.  In pratica, ogni cittadino italiano si può trovare accusato del reato di “antisemitismo” senza sapere neppure come e perché e senza neppure comprendere il significato dell’imputazione. Questo introduce nell’ordinamento giuridico un clima di terrorismo ideologico, come neppure accadeva nei regimi precedenti il 1945, dove chi era contro il governo in carica sapeva almeno quali rischi affrontava.

Questi e altri aspetti pericolosamente generici mi hanno allarmato allora e continuano ancora oggi ad allarmarmi. Ed io mi auguro che il Movimento Cinque Stelle anziché aumentare il Terrore, come viene loro chiesto, lo abbia invece ad eliminare, ristabilendo per ognuno il diritto fondamentale alla libertà di pensiero e di espressione, ma togliendo proprio ai giornali la libertà di diffamare impunemente.  Mi scandalizza il ruolo che in questa storia gioca il primo o secondo quotidiano italiano, appunto “La Repubblica”, che gode di sostanziosi finanziamenti pubblici.

Essendo la causa contro Repubblica ancora in corso, dovranno ponderare e decidere i miei legali in che modo investire di questa nuovo episodio un giudice che certamente se la prende molto comoda, avendo rinviato l’udienza al novembre del 2014. Un precedente ricorso d’urgenza non ha prodotto alcun risultato e la mia fiducia nella giustizia italiana è quanto mai scossa.

Concludendo, un quotidiano come Repubblica si inventa in modo grossolano fatti (l’aver io detto a Repubblica) mai avvenuti, rifiuta di pubblicare rettifiche e smentita, viola la condotta da tenere in corso di causa, attenta ai miei diritti civili e politici di votare chi mi pare e di avere mie opinioni politiche, che vengono presentate come criminali. Voglio sperare che il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, al quale chiederò udienza, voglia almeno lui ascoltarmi, e che questo Ordine – finché esiste – sia almento per una volta un organo a garanzia del Lettori e dei cittadini che del tutto gratuitamente vengono denigrati.


domenica 14 aprile 2013

Risposta ad articolo odierno di Repubblica, dove vengo ancora chiamato in causa per fatto pregresso.

Di questa nuova vigliaccata di Repubblica, che più in basso non poteva scendere, ho avuto notizia domenica pomeriggio, quando le edicole erano chiuse. La prima cosa da appurare era se si trattasse dell’Salvo ulteriore intervento formale dei miei legali, per reagire con la massima tempestività a quanto leggo sulla edizione online di Repubblica, di cui al link:

Gabriele Ismain,
“Professore negazionista Grillo prenda le distanze”

osservo in ordine di lettura:

1) La qualifica di “negazionista” non mi compete in nessun modo, non essendo io uno storico. Ho
argomentato altrove la questione.

2) Si tratta di una reiterazione dell’articolo di Repubblica del 22 ottobre 2009, per il quale ho in effetti subito un procedimento disciplinare presso il Collegio di Disciplina del Consiglio Universitario Nazionale in data 13 gennaio 2010, risoltosi con una mia assoluzione con formula piena per inesistenza del fatto e del diritto. Ottenuta la delibera di assoluzione ho quindi iniziato azione civile risarcitoria contro Marco Pasqua, Ezio Mauro, proprietà De Benedetti, una causa civile ancora in corso.

3) Repubblica si era inventata di sana pianta mie inesistenti lezioni all’Università La Sapienza, dove non solo non ho mai trattato i temi attribuitimi, ma mai avrei potuto farlo perché in ottobre non avevo né lezioni né seminari.

4) Come ho potuto dimostrare in sede difensiva, i virgolettati attribuitimi sono manipolazioni e falsificazioni, sganciate dal loro contesto, finalizzato ad una unica e semplice tesi: la difesa imprescindibile della libertà di pensiero, quale che ne sia il suo oggetto, sul quale possono dibattere solo le persone competenti: io non sono fra queste in relazione a ciò che falsamente mi si attribuisce.

5) È scandaloso e la dice lunga sulla natura della stampa italiana, ed in particolare Repubblica, il fatto che non sia stata data alla mia assoluzione lo stesso rilievo dato alla denigrazione. Repubblica ha sempre ignorato l’assoluzione e continua nella sua forsennata denigrazione della mia persona, perseverando in una campagna strumentale all’abolizione di ogni libertà di pensiero in questo nostro disgraziato paese.

6) Repubblica non ha mai voluto pubblicare le mie rettifiche e smentite con artifici vari. Ignorate le mie tempestive e reiterate email, negato ogni contatto telefonico, ricevuta una lettera formale dal mio Legale  il quotidiano ovvero la sua redazione si rifiutava di pubblicarla con la scusa che sotto la firma del mio legale non vi era anche la mia.

7) Con Repubblica ho tuttora una causa civile la cui prossima udienza è prevista per il… novembre 2014: questi sono i tempi della giustizia italiana, quando non riguardano Berlusconi, ma solo un comune cittadino, un «Signor Nessuno».

8) Non ho ricevuto scuse da parte della comunità ebraica, che molto si è accanita e tuttora si accanisce contro di me. È una strana comunità che pretende sempre tutto, ma che non ritiene di dover mai rispondere di nulla o di presentare scuse, per lo meno quando le sue “accuse” si rivelano clamorosamente infondate. Anche il mensile Shalom è stato da me informato della mia assoluzione, ma non ne ha voluto sapere di pubblicare nessuna rettifica.

9) Altra fantasticheria: mi si attribuisce la presenza al processo di Storm Front, celebrato “a porte chiuse”, forse perché non sorgesse un dibattito sulla Legge Mancino. Ho letto però in rete che queste persone (almeno una che ha fatto uscire dal carcere le sue lettere) erano tenute in celle di 4 x 3 mq, dove stavano in sei persone! Le loro condizioni carcerarie, in pratica una forma di tortura, mi interessano più del motivo per il quale erano state incarcerate. E non ho difficoltà a dirlo.

10) Accetto la qualifica di “antisionista”, ma non quella di “antisemita”, nel senso datone da Ilan Pappe secondo cui si deve essere antisionisti se non si vuol essere antisemiti. A mio avviso, antisionista e antisemita non sono termini equivalenti e intercambiabili.

11) Non ho mai incontrato Beppe Grillo, ma sarei ben lieto di poter narrare a lui personalmente le mie vicende, anzi le mie disgrazie causate dagli stessi signori. Ammetto di aver votato il Movimento Cinque Stelle e di voler essere attivo come cittadino nella difesa del fondamentale principio della libertà di pensiero. Non sono candidato in nessuna elezione con il logo Cinque Stelle ed il mio voto al Movimento si aggiunge a quello di altri otto milioni di voti, quasi nove, che mi auguro aumentino e significhino una difesa della libertà di pensiero e di espressione, oltre che del principio della eguale dignità di ogni cittadino.

12) Beppe Grillo non ha nessun diritto e titolo per intervenire in quelle che possono essere mie personali vedute, che tuttavia dovrebbe prima conoscere direttamente da me e non dall’articolo di Gabriele Ismain. Ben conoscendo l’equità di Beppe Grillo e la scarsa considerazione che lui ha della stampa italiana, sarei ben lieto se questo volgare ed ignobile attacco dell’articolista di Repubblica potesse essere l’occasione per una conversazione con Beppe Grillo. Non è Beppe Grillo che ha detto a Pacifici di informarsi prima di emettere giudizi? E perché Beppe Grillo non dovrebbe informarsi direttamente da me se è chiamato dalla comunità ebraica a pronunciare su di me una sorta di “scomunica”?

13) Il P. S. di cui scrive Ismain conferma i miei sospetti di una “trama” e corrisponde a un tal Pasquale Sardella, di cui nessuno sa niente, e personalmente io ho espresso il dubbio che esista. Ho a lui dato ogni notizia sulla mia identità, e su ciò che veniva presentato come un “crimine” (una mia lecita ed immacolata candidatura in FI, in epoche remote) ma non è valso il reciproco: sotto Pasquale Sardella potrebbe nascondersi chiunque sotto falso nome. Ed io resto nel dubbio di chi egli effettivamente sia e quale il suo ruolo, in ogni caso del tutto decontestualizzato dal tema oggetto della discussione forumistica: si parlava del fatto se il Movimento 5 Stelle dovesse o non dovesse dare la fiducia a Bersani. Questo signore, cui era noto il mio nome, se ne è uscito con storie assurde, off-topic e in violazione del mio “diritto all’oblio”.

14) In effetti, vi è nel Movimento Cinque Stelle e soprattutto nel suo Forum un massiccio ingresso di troll e infiltrati di ogni genere. Personalmente, facendo uso del mio nome e cognome, sono sempre disponibile ad un civile confronto, ma quasi sempre mi scontro con nomi fittizi, oppure con persone che per principio con me rifiutano il civile contraddittorio, in base ad una loro peculiare filosofia delle relazioni umane.

15) Mi rendo conto che ogni cosa che io scrivo in rete viene costantemente vigilata, ma da quanto poi leggo viene riportata sempre in modo distorto e fuori contesto. È ancora una volta una dimostrazione di quanto poco la stampa abbia a che fare con l’autentica informazione e sia solo una forma di propaganda, anche diffamatoria, al servizio del regime, della Casta ovvero dei gruppi che comandano.

16) Sulle cose lecitamente opinabili, non credo di dover rispondere o dovermi difendere. Se ritengo che un’opera edilizia sia una scempio urbanistico, o sia del tutto inopportuna, credo che sia una opinione del tutto lecita. Se poi ritengo che la città di Roma abbia altre priorità, anche questo credo sia una lecita opinione, condivisibile o meno.

17) La Signora Di Veroli, prima di emettere sentenze, farebbe meglio ad informarsi, ma sembra che questo non sia il costume degli appartenenti alla comunità ebraica di Roma, che conta 10.000 membri, o almeno il costume di alcuni suoi membri. La comunità calabrese, alla quale appartengo, conta in Roma 400.000 cittadini, ma non ha certo la struttura organizzativa e associativa della comunità ebraica. Spero di non dovermi appellare alla protezione e solidarietà della mia comunità di appartenenza. Ho sempre pensato che fossimo tutti cittadini italiani, con eguali diritti e doveri. Spero di non dovermi ricredere.

18) Quanto al processo a Storm Front, al quale non ho assistito, ritengo come filosofo del diritto che debba essere abrogata la legge che lo ha consentito: la cosiddetta legge Mancino, in realtà redatta da Taradash e Modigliani. Sulla base di questa stessa legge è stata presentata una denuncia per “odio razziale” addirittura contro il candidato Cinque Stelle Avv. Marcello De Vito. Mi auguro che questa ennesima assurdità convinca i più della necessità della abrogazione di una simile legge, che pretende di legiferare in materia di “odio”, dove 2000 anni di cristianesimo e di predicazione di amore per il prossimo nulla hanno sortito. La legge Mancino ha prodotto nel suo uso strumentale niente altro che terrore ed ipocrisia, di fatto risolvendosi in una repressione del dissenso e della critica politica.

19) Ho letto con grande rammarico della visita della neopresidente Boldrini alla comunità ebraica. Nelle notizie date si apprende della riproposizione del disegno di legge liberticida decaduto nella passata legislatura. L’on. Boldrini concederà anche a me l’«onore» di essere audito? O si reca in visita solo dai cittadini suicidi? L’assicuro che non intendo in nessun modo suicidarmi, se questa è la condizione richiesta per una sua visita! Sul caduto disegno di legge le manifesterò le mie obiezioni e riserve critiche, narrandogli il caso di un padre di famiglia con due figli a carico che nella “civilissima” Germania, ha dovuto scontare nove mesi di carcere per aver prestato ad un suo amico un libro, il cui autore per averlo scritto sconta a sua volta credo 12 anni di carcere. Il padre di famiglia disse al giudice tedesco che lui il contenuto del libro non lo condivide, ma che ritiene che ad ognuno debba essere riconosciuta la libertà di pensiero. Dopo Fini, cosa ha promesso il presidente Boldrini alla comunità ebraica? Lo possiamo sapere? Possiamo dissentire?

20) Leggo di un progettato incontro dei candidati di Cinque Stelle con la Comunità ebraica. Per dirsi cosa? Se vorranno parlare di me non avrei per lo meno il diritto di essere presente?

sabato 13 aprile 2013

La politica universitaria del Movimento Cinque Stelle

Post in elaborazione.

Non ci sono ancora, che io sappia, posizioni ufficiali del Movimento a questo riguardo. Tutti i governi che si sono succeduti si sono trovati concordi nella distruzione dell’università pubblica e nel riconoscimento del diritto allo studio secondo il dettato della costituzione. Gli insegnanti, i ricercatori, i tecnici democratici che operano nelle università avevano ormai perso ogni speranza. Il nuovo scenario politico sembra consentire una riscossa delle forze democratiche e riformatrici che erano state sconfitte. In particolare, il Movimento Cinque Stelle pare vocato ad accogliere le istanze democratiche dell’università. È presto per disegnare gli scenari possibili, ma fin d’ora è possibile una interlocuzione fra associazioni democratiche della docenza ed il Movimento Cinque Stelle. Noi saremo presenti in questa campo di battaglia.

Il Movimento Cinque Stelle muove i primi passi in politica estera

Mi soffermo brevemente sui primi passi di politica estera che i parlamentari Cinque Stelle pare stiano muovendo. Attraverso ogni iniziativa che essi andranno ad assumere si verrà caratterizzando la fisionomia politica del Movimento Cinque Stelle.

Mi riferisco alla mozione per il ritiro dall’Afghanistan e ad un’altra presa di posizione sulla Siria. Della prima ho notizia dal blog di Beppe Grillo e dell’altra da un articolo che si legge su "Come don Chisciotte”. Ricordo qui una tesi di Giulietto Chiesa, che ho sentito da lui più volte enunciare. Le guerre in Libia, Iraq, Afghanistan, Siria, quella che si va preparando all’Iran, non sarebbero altro che “guerre intermedie”. Servono a precedere la grande guerra contro la Cina, che cresce a ritmi vertiginosi e minaccia l’egemonia americana, sotto al cui tallone sono stati tutti i governi italiani dal dopoguerra ad oggi. Si ricordi che il governo Prodi cadde proprio sull’Afghanistan e non si dimentichi l’assoluta vergogna della posizione del nostro governo nella guerra contro la Libia, che fu decisa negli Usa insieme con quella alla Siria, che è ancora in atto.

È di conforto leggere in "Come don Chisciotte” che i parlamentari grillini non hanno bevuto le fandonie sulla Siria che i nostri media ogni giorno diffondono. Il punto di maggior frizione sarà quando passeranno ad affrontare le relazioni di politica estera fra Israele e Italia. Gli attacchi che vengono mosso a Beppe Grillo provengono proprio dalla stampa più legata ad Israele, che non ha apprezzato piccoli segnali provenienti dal blog e da dichiarazioni di Beppe Grillo. La Lobby sta lavorando sott’acqua per addomesticare e ridurre a sicura fede ed obbedienza anche il Movimento Cinque Stelle, come ha già fatto con tutti i partiti del vecchio arco costituzionale.

giovedì 11 aprile 2013

Auschwitz: 64.000 euro ad ogni viaggio! Attacco al Movimento Cinque Stelle che si interroga sulla opportunità di sostenere di simili costi in tempi di grave crisi economica e sociale.

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Assolutamente non intendiamo entrare nel merito del viaggio in questione, della sua funzione pedagogica e del suo significato generale e particolare, ma sul suo costo coperto con il denaro del contribuente pensiamo di avere il diritto di porci della domande. Non possiamo non pensare e subito dimenticare i due coniugi marchigiani che non potendo vivere in due con  una pensione di 500 euro per affitto, bollette e quanto altro da pagare ed infine per il vitto con cui potersi sostentare sul piano alimentare, hanno pensato di togliersi dignitosamente la vita, una vita di cui mai i media si sono accorti e che sarà presto dimenticata, e da Repubblica in particolare, ma che pesa sulla nostra coscienza quotidiana a mio avviso più di qualunque tragedia di 70 anni fa e passa.

Non è chiaro dal testo dell’articolo di Repubblica sul bilancio di quale amministrazione sarebbe stata caricata la somma. Se si tratta di una provincia, ecco un motivo in più per abolirle come previsto nel programma di Cinque Stelle. La notizia della proposta di abolire simili viaggi, perché costosi, la si troverebbe in un volantino del Movimento Cinque Stelle di Empoli. La cosa dovrebbe suscitare “scandalo” nelle intenzioni di Repubblica, specializzata appunto nella creazione mediatica di “scandali”, “bufere”, “shock” e simili. Un siffatto “scandalo” dovrebbe produrre una criminalizzazione del Movimento. Come si sa, i media di questo regime non esistono per informare, ma per creare e distruggere le reputazioni di persone, partiti, movimenti, nazioni, stati. Quanto più si toglierà ai giornali della carta stampata ogni credito ed ogni finanziamento pubblico tanto più ne avrà guadagnato la convivenza civile. A dimostrazione della faziosità di Repubblica si dimostri che se si legge il volantino originale in allegato vi è un mero elenco di spese da tagliare, fra cui anche i 64.000 euro di cui qui si discorre. Analogo scandalo e clamore non è invece suscitato da altri tagli che pure ci sono. Ma si sa che ci sono spese e spese, che siamo tutti uguali ma certuni sono più eguali degli altri.


Se dunque un singolo viaggio è venuto a costare 64.000 euro, ognuno di noi può fare mentalmente dei calcoli e vi sarebbe di che spaventarsi. Se per ogni provincia, che sono non meno di 100, si calcola una spesa analoga sono 64.000 x 100 = 6.400.000. Non sono solo le province ad organizzare di simili viaggi, ma anche i comuni e le scuole e chissà quali altri enti pubblici. Forse sarebbe il caso di fare una interrogazione parlamentare per avere dati più certi sui quali ragionare.

In una sana democrazia di ogni cosa si può parlare e quindi non dovrebbero intimidire le reazioni interessate di associazioni e istituti che usufruiscono di questi fondi pubblici, mentre chiudono per mancanza di risorse le facoltà di fisica ed astronomia. I vivi sono vivi perché hanno bisogno di quelle risorse che i morti non chiedono. Ci auguriamo che la nostra rappresentanza parlamentare al comune di Roma faccia luce, chiarezza e contabilità sui “viaggi della memoria” di Gianni Alemanno e quanto altro.

Volantino “incriminato”
Nel testo titolato di Repubblica si parla di “bufere” sul Movimento Cinque Stelle e di un provocatorio invito dell’Aned – una associazione di “deportati” a 70 anni dalla fine della guerra – al prossimo viaggio, non essendo però chiaro a spese di chi e da chi deliberate. A costo zero e ad ogni inizio o fine di giornata, durante le preghiere o prima di andare al lavoro, pensiamo sia altamente educativo rivolgere un pensiero ai due coniugi marchigiani perché il loro ricordo resti in noi indelebile fintantoché ad ogni persona che ancora soffre non solo di fame ma anche e soprattutto di dignità negata non venga restituito un alloggio sicuro, un vitto sufficiente, un lavoro e la piena dignità di cittadini liberi in uno stato libero e sovrano.

Democrazia “parlamentare” e democrazia “assembleare” in un ricente dibattito alla Camera

 Precedente / Successivo.
Nel proseguire l’ascolto quotidiano delle registrazioni dei lavori parlamentari soffermandomi su quegli aspetti che sono più congeniali per la mia sensibilità e le mie riflessioni, mi imbatto nella distinzione professoralmente enunciata da Buttiglione fra “democrazia parlamentare” e “democrazia assembleare”, fatta in modo strumentale per sottrarre il parlamento, o meglio i parlamentari di PD e PD meno L, dal loro obbligo di misurarsi su quelle leggi di cui il paese ha non urgente, ma urgentissimo bisogno, ad esempio l’istituzione di un reddito di cittadinanza che impedisca altri suicidi come quelli nelle Marche e da cui in altro dibattito gli on. parlamentari hanno dimostrato di non aver capito nulla, uccidendo una seconda volta gli stessi cittadini già suicidi per il loro tirannico governo del paese.

«Omicidi di Stato»
Ovviamente una maggioranza pd/pdl/Monti si può assumere e si assumerà certamente la responsabilità di NON volere una simile legge ed evita l’impopolarità allungando i tempi, adducendo scuse di ogni genere, esercitando non l’arte di governo che consiste nel trovare le risorse necessarie per una legge ancora più necessaria, ma l’astuzia per conservare la propria poltrona e connessa lauta prebenda, che salva da ogni suicidio ed ogni depressione, quindi mandando la presidentessa – nota per il suo pregresso impegno nel “sociale” – a fare la “foglia di fico” ai funerali della gente che si suicida a ritmi quotidiani.

Curioso come poi in modo contraddittorio si speculi in altro contesto sull’art. 67 e sul divieto di mandato imperativo, per pretendere che i parlamentari di Cinque stelle disattendino il chiaro mandato ricevuto dal popolo italiano, che è ben più ampio degli otto milioni di voti espressi, se – per emulare la sottigliezza di Rocco Buttiglione – possiamo distinguere fra la cruda aritmetica ed il peso di ogni singolo voto degli elettori “virtuosi” che ne vale almeno dieci, per stare nello spirito della rivoluzione francese, e quindi che sarebbero ben 80 milioni. I “nominati” dai partiti, non gli eletti dai cittadini, aspettano invece l’ordine dei loro padroni per prendere la benché minima posizione. Curiosa la menzione della necessità di un governo per fare bene le leggi, come se gli italiani “esodati” non stiano ancora soffrendo la “bravura” del governo tecnico Monti-Fornero. Chi più bravi di loro! E dunque possiamo star certi che gli onesti ragazzi del Movimento possono fare di meglio, se si affida a loro il governo del paese, anziché chiedere loro di sottoscrivere il “cambiamento” di Tomasi Lampedusa Bersani, avvezzo a trattare con leopardi e giaguari.

Alessandra Mussolini
In effetti, sembra che parlamentari come la Mussolini (malgrado il nome) non possiedano altra capacità di governo che la volontà espressa di spegnere la luce dell’aula rimasta occupata dai parlamentari Cinque Stelle che così protestano per rendere noto ai cittadini come effettivamente funzionino le Istituzioni. Avevano promesso di aprirle come una scatole di sardine ed è quello che stanno facendo: una di queste “sardine” è l’onorevole Alessandra Mussolini, ma tante altre ve ne sono. Sarebbe il caso di pensare ad un più adeguato “cambiamento” di funzioni.

Altrettanto curioso il riconoscimento di una “commissione speciale”, a cui affiancarne eventualmente un’altra, se l’urgenza lo richiede, come se l’urgenza non richiedesse il normale funzionamento della produzione normativa, per la quale esiste già un governo, appunto deputato per gli affari correnti.

La funzione di indirizzo politico, che si trova nei manuali per gli studenti, è una costruzione di giuristi ricavata dalla prassi del funzionamento dei governi che si sono succeduti, ma è solo una schema mentale che non impedisce ad un parlamento di fare ciò per cui esiste e senza doversi preoccupare dei manuali scritti dai professori: le leggi. Quelle leggi sulle quali ogni parlamentare si dovrà pronunciare liberamente secondo coscienza, dando poi ad un governo quale che sia il compito di eseguirle. Gli stessi manuali dicono che il governo altro non è che il potere esecutivo.

La realtà purtroppo è che non solo il parlamento è stato esautorato dal suo potere di legiferare, ma tutto il paese è stato privato della sua sovranità, non da oggi, ma almeno del 1943, o dal 1945, quando in Yalta è stata dettata la costituzione vigente che i nostri padri costituenti hanno fatto finta di scrivere nel 1947-48. Da allora la perdita di sovranità è andata crescendo ed oggi è quasi scomparsa.

Il compito immane che incombe sul Movimento Cinque Stelle è quello di ridare la sovranità al parlamento e quindi al popolo italiano. L’istituzione delle Commissioni è soltanto una modalità tecnica del funzionamento delle camere. Teoricamente e praticamente il parlamento potrebbe legiferare a camere riunite in una sola Assemblea e dividendo in nuovo gruppi di lavoro, in tavoli tecnici su determinate emergenze, evitando il doppio esame e specializzando l’elevato numero di parlamentari in uno studio più minuzioso dei singoli problemi. Il parlamento è sovrano ed il suo regolamento è fatto dal parlamento stesso. Lo stesso vale per la costituzione che vale qualcosa ed ha senso se è espressione della volontà del popolo sovrano che si è espresso attraverso il Movimento Cinque Stelle, non attraverso i vecchi partiti, incompatibili non già con questa costituzione, ma con ogni costituzione che sia espressione di un popolo libero e sovrano. 
Ciò che occorre è una sola cosa: la volontà politica di mettersi a lavorare. «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2,23-28), dicevo qualcuno al cui nome lo stesso Buttiglione più di ogni altro, pretende di richiamarsi e di esserbe autorevole se non esclusivo interprete. La vera riforma costituente è quella che proviene direttamente dal popolo, che per un politico è la stessa cosa che Dio, la cui voce occorre sapere ascoltare e quindi obbedire.

lunedì 1 aprile 2013

La prima repubblica (1946-1993). Storia di una democrazia difficile. – Recensione di T. K. a un libro di Giuseppe Bedeschi.

Giuseppe Bedeschi, La prima Repubblica (1946-1993). Storia di una democrazia difficile. Rubettino Soveria Mannelli, 2013, pp. 353, € 19,00 www.rubettino.it

Questa storia della “prima repubblica” sostiene tesi che da un lato sono evidenti, dall’altro sono trascurate, occultate e contestate dalla storiografia del “pensiero unico”. Due esempi (tra i tanti): l’uno, il centrismo.

Scrive Bedeschi  che il centrismo fu non un periodo di conservazione ma di forte spinta innovatrice. E infatti, le maggiori decisioni politiche del dopo guerra, tuttora valide quanto più vicine alla lettera e allo spirito delle scelte originarie, sono quelle del centrismo, che hanno condizionato – e in parte condizionano – anche le vicende attuali: e, quel che parimenti rileva, hanno avviato la società italiana ad un periodo di sviluppo durato assai più della “formula politica” che l’aveva agevolato.

Giuseppe Bedeschi
L’altro: l’azionismo. Scrive l’autore che il Partito d’azione “era insidiato da una contraddizione profonda fra un programma incentrato sul mercato, sui ceti medi e sulla piccola e media borghesia, e un programma di «rinnovamento sociale e politico» con evidenti connotati massimalistico-giacobini. … E’ evidente che questo programma era minato da una contraddizione insanabile, poiché non sarebbe stato possibile, né da un punto di vista economico, né da un punto di vista politico, conservare una libera economia di mercato nazionalizzando i maggiori complessi produttivi, commerciali e finanziari”.

E il tutto ricorda quanto scriveva Croce degli azionisti, ironizzando sulla loro confusione politica e ideale. Confusione di cui, ancora oggi la mentalità azionista – e i prosecutori di quella – portano i segni evidenti, nelle prediche moralistiche, nella bontà delle intenzioni come nella pochezza dei risultati e spesso nell’ipocrisia che il divario tra intenzioni e risultati, occultato, rende poi manifesta.

Bedeschi sostiene poi che il centrosinistra fallì perché non riuscì a conseguire gli obiettivi più urgenti (anche in una visione progressista) come case, scuole ed ospedali per realizzare operazioni puramente “anticapitalistiche” come la nazionalizzazione dell’energia elettrica (costata duemila miliardi). Il massimalismo, ancora influente nel PSI nenniano e definitivamente superato da Craxi, fece si che un occasione positiva fu, in parte, sprecata sugli altari di posizioni ideologiche già all’epoca superate.

Palmiro Togliatti
Il giudizio sul PCI: se da un lato l’autore apprezza il realismo di Togliatti, ciò non toglie che “da Togliatti a Berlinguer, dunque, il PCI, in tutte le sue componenti, rimase sostanzialmente estraneo al mondo occidentale, alla democrazia occidentale. Il principale partito di opposizione (che nel 1984, sia pure per un istante, realizzò il «sorpasso» elettorale sulla DC) restò sempre, sostanzialmente, un partito anti sistema. E se a ciò si aggiunge che anche la destra missina rimase, durante tutta la Prima Repubblica, nostalgica e fascista, il carattere «bloccato» della nostra democrazia emerge in tutta la sua drammaticità.

Democrazia bloccata significa, scrive Bedeschi, democrazia senza alternanza “Ma l’alternanza è la grande, fondamentale risorsa dei sistemi liberaldemocratici. Si può dire che non esiste liberal-democrazia senza alternanza. … Nell’Italia della Prima Repubblica tutto questo è mancato, con conseguenze gravissime: un partito, la DC, e alcuni partiti suoi alleati, sono stati «condannati» a governare. Di qui una inamovibilità del ceto politico, dei suoi grands commis, dei suoi «esperti», dei suoi tecnici ecc. Di qui anche un continuo aumento della corruzione, grazie a quella inamovibilità”.

Inoltre “un’altra tara è stata costituita dalla cultura statalistica propria dei nove decimi delle forze politiche italiane” (statalismo comune in effetti, in maggiore o minore misura a quasi tutti i partiti e non solo alla sinistra).

Il blocco della democrazia e lo statalismo imperante (perseguito anche – e forse soprattutto – per il controllo della società) ha reso “fragile” il sistema nel momento in cui venne meno il quadro politico internazionale in cui era nato: cioè l’ordine di Yalta. Uno dei cui prodotti è la Costituzione ancora oggi vigente, che l’Italia (e tutti i paesi sconfitti) si dovettero dare per espressa disposizione della “Dichiarazione sull’ Europa liberata” dei tre grandi; (circostanza “rimossa” da tanti che Bedeschi, pur così attento, non ricorda). E che aveva agevolato le pratiche consociative e l'espansione della sfera (e della spesa) pubblica e anche la vischiosità decisionale sconfinante nell’immobilismo di un sistema  a governo debole.

Nel complesso un libro interessante ed “atipico” (nel senso ricordato), la cui lettura è vivamente consigliata sia per l’accuratezza delle analisi sia per la completezza dell’esposizione dei fatti (ancora oggi non frequente malgrado il crepuscolo dell’egemonia).

Teodoro Klitsche de la Grange