giovedì 10 settembre 2015

Esiste o non esiste un diritto dovere all’«accoglienza»? Quando si perde ogni identità...

Viviamo in tempi strani ed illiberali più che in altre epoche che hanno pessima stampa e pessima storiografia. Il conformismo ideologico è tale da rendere pericoloso ogni tentativo non già di manifestare opinioni diverse da quelle mediatiche ma anche il semplice porsi domande e manifestare dei dubbi. Basta una parola, un aggettivo, un gesto magari incauto, uno scatto di nervi e un venir meno della pazienza e della cautela per trovarsi improvvisamente alla gogna, nazionale e internazionale, se ciò rientra in una strategia, in una linea che qualcuno ha già sapeintemente orchestrata. Nessuno vive più sicuro dentro la sua privatezza, in uno scambio di idee che si pensa esaurito con quattro amici al bar.

Di pensieri nella testa ne vengono a tutti, ma sono pochi quelli che si decidono a metterli per iscritto. E se lo si fa, diventa un problema ulteriore la forma da scegliere. Uno dei canali è quello dei Forum, dove per lo più ci si limita a commentare testi che qualcun altro sceglie e pubblica a seconda dell’interesse del momento. È una sede che ha suoi propri limiti che non interessa ora descrivere. Tutto sommato è forse meno rischiosa la forma del blog, dove ci si rivolge a se stessi e contemporaneamente a tutti. A se stessi nella misura in cui può essere utile e liberatorio dare ordine ai propri pensieri, rendendoli anche disponibile a chi ne ha interesse e magari vuole pure discuterli, in dissenso, consenso o integrazione. Sto qui sfiorando la questione del silenzio filosofico, per il quale il nome di riferimento è Martin Heidegger, autore peraltro assai prolifico con i suoi 100 volumi editi.

Dopo una necessaria, sommaria premessa, vengo al tema indicato nel titolo. Ad “accoglienza”, riferito a veri e propri disgraziati costretti dai nostri ipocriti governi a fuggire dai loro paesi, si accompagna specco il termine di “integrazione”. Si dice non solo “si può”, anzi “si deve” accogliere un flusso continuo e ininterrotto di disgraziati, ma li si deve anche e soprattutto “integrare”. Credo che un buon metodo per iniziarsi e iniziare alla filosofia sia la riflessione sui termini maggiormente in voga, tanto in voga da venire considerati ovvi e scontati, autoevidenti. Senza andare troppo sul personale – difetto che Spinoza raccomanda di evitare – non posso fare a meno di riflettere se io stesso, italiano che come molti altri si è spostato dal sud al centro o al nord d’Italia, posso per davvero considerato “integrato” in una nuova città dopo oltre mezzo secolo che vi ci abito senza esserci nato. Qualche dubbio mi sorge, ma porterebbe lontano trattarne ora. Mi chiedo però come si possa ragionevolmente pensare che si possano “integrare” i disgraziati di cui tanto si parla e che con violenza bussano alla nostra porta, mettendo in forte discussione la nostra stabilità etica e morale. Ci dicono autorevolente che dobbiamo sentirci delle “bestie” perché non sentiamo l’impulso morale di dare accesso alle nostre città, paesi, villaggi a quanti fuggono - si dice - dalla guerra, dalla fame, dalla povertà. Dobbiamo sentirci in colpa perché non sentiamo il dovere etico di aprire le porte di casa e magari offrire pure il nostro letto.

Prevengo una facile obiezione che mi immagino. Sentendo di gente in mare, cadute dai barconi che si sono rovesciati, non mi è mai venuto in mente di fare affondare i derelitti anziché soccorrerli. Non ci penso proprio: non riesco a rappresentarmi la situazione in nessun senso. Quello che invece soltanto penso è la causa che ha prodotto quella situazione che è continua, è un flusso, non un singolo evento. Addirittura, mi chiedo perché mai non prolungano le corse dei battelli che fanno la spola da Villa San Giovanni a Messina e viceversa. Perché mai non stabiliscono un regolare servizio dalle coste libiche all’Italia piuttosto che impiegare mezzi militari assai più costosi e inefficaci nel poter salvare tutte le vite.

Detto questo sostengo però che io, la mia coscienza, il mio raziocinio non riconosce nessun diritto all’accoglienza e il corrispondente dovere. Anzi riconosco un indiscusso diritto al respingimento. I media, al servizio dei governi e di poteri occulti, sono una cosa; la gente concreta, in carne ed ossa e non del tutto resa idiota dalle televisioni e dai giornali, di carta stampa o nelle loro versioni online, è altra cosa e reagisce con il corpo, con l’istinto, con la paura. Ho imparato a rispettare la sfera emotiva e istintuale che è in ognuno di nioi. Ho contestualmente imparato a diffidare invece dei condizionamenti che continuamente arrivano con maggiore o minore successo da parte dei media, che oramai nemmeno fingono di informare ma dicono apertamente di voler “influenzare” determinare quanto sono succubi del loro canale di comunicazione.

So bene di pormi contro corrente dicendo che “non” esiste, o almeno io non riconosco, un “diritto” ad essere accolti da parte dei “migranti” ed un dovere di accoglierli da parte degli “indigeni”. Chi legge ed è di diverso avviso si aspetta da me forse un’ulteriore argomentazione e non una semplice asserzione. Per questa ipotetica persona avvio qui una riflessione, quanto più possibile ordinata. Deve però prendersi la pena di seguire gli sviluppi dei miei pensieri, che hanno loro tempi tecnici di maturazione e di espressione. È il solo contributo che posso dare alla presente e grave congiuntura che afflige soprattutto l’Italia, ma anche in particolare tutti i paesi del Mediterraneo.

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