mercoledì 9 dicembre 2015

Teodoro Klitsche de la Grange: Recensione a: Kelsen, “Cos’è la giustizia? Lezioni americane”.

Kelsen “Che cos’è la giustizia? Lezioni americane” Quodlibet. Macerata 2015, pp. 234, euro 18,00

Tenuto conto che le opere “maggiori” di Kelsen sono state tutte tradotte da decenni, è ancora in corso la traduzione di quelle poco conosciute o mai tradotte in italiano, tra le quali quelle raccolte in questo libro.

Il volume curato da L. Passerini Glazel e Paolo de Lucia consta di tre scritti di Kelsen: i dattiloscritti rinvenuti a Berkeley, titolati dai curatori Elementi di teoria pura del diritto; la trascrizione delle registrazioni audio della lezione “Che cos’è la giustizia”; e della lezione “Politica, etica, diritto e religione” (sempre tenute a Berkeley).

Mentre le prime due lezioni (i dattiloscritti) sono un’esposizione sintetica delle ben note – e più diffusamente esposte altrove – tesi fondamentali della reine rechtslehre, le altre due hanno caratteristiche meno comuni nell’opera del giurista austriaco. La lezione sulla giustizia inizia citando la celebre domanda di Pilato a Cristo “Che cos’è la verità”: il procuratore romano non “si aspettava una risposta a questa domanda, e Gesù non diede alcuna risposta ad essa, perché rendere testimonianza alla verità non era l’aspetto essenziale della sua missione di Re e di Messia. Egli era nato per rendere testimonianza della giustizia, della giustizia che deve essere realizzata nel Regno di Dio … Così, dietro la domanda di Pilato: «Che cos’è la verità?» sorge, dal sangue di Cristo, un’altra ben più importante domanda, l’eterna domanda dell’umanità «Che cos’è la Giustizia?» (v. p. 107). Kelsen avverte che “La giustizia (justice) è principalmente una possibile (ma non necessaria) qualità di un ordinamento sociale (social order) che regoli le relazioni reciproche tra gli uomini” e che questa “è felicità sociale, è quella felicità che viene garantita da un ordinamento sociale”. E non può essere intesa in senso individualistico “E’ infatti inevitabile in questo caso che la felicità di un individuo entri, prima o poi, direttamente in conflitto con la felicità di un altro individuo” (cioè il problema del conflitto interindividuale d’interessi, della pluralità di pretese a un bene, esposto da Carnelutti). Per cui “Non v’è alcun ordinamento sociale che sia in grado di risolvere questo problema in modo soddisfacente, ossia in un modo giusto, tale da garantire la felicità di entrambi”. Per cui alla fine il problema è quali interessi umani – in un dato ordinamento – sono meritevoli di essere soddisfatti? A questo punto si pone il problema della gerarchia di valori, alcuni dei quali vanno soddisfatti preferibilmente – e a scapito – degli altri. E’ inutile riportare quale importanza abbia assunto nel pensiero del XX secolo il problema dei valori (Weber, Schöler, Schmitt). Resta il fatto che le “tavole dei valori” di ciascun ordinamento sono differenti, ed ancor più le valutazioni (individuali come collettive) su quali di essi vadano maggiormente tutelati. Il neo-positivismo ha stimolato tanti dibattiti, in particolare sulla qualificazione “formale” della democrazia come insieme di procedure che salvaguardino libertà di voto, pluralismo, regola della maggioranza. Definizione che presuppone sia il relativismo dei valori sia la possibilità giuridica di cambiarli radicalmente, rispettando le “forme”. Anche se l’affermazione della liberaldemocrazia nel XX secolo ha indotto la prevalenza della teoria neopositivista del diritto, in realtà il giuspositivismo delle norme di Kelsen è stato, da alcuni (influenti) epigoni, convertito in un giuspositivismo dei valori, la cui valutazione e “bilanciamento” è preferibilmente attribuito alle Corti costituzionali (tanto moltiplicatesi nel pianeta).

Con ciò il problema torna al principio: è sempre l’autorità – che non ha nulla di normativo – a determinare la “scelta” dei valori da privilegiare. Anche se con le forme di un processo di parti. Ma se queste scelte non ottengono il consenso (anch’esso non normativo) il problema della giustizia si ripropone. E con ciò quello della legittimità e, in ultima analisi, dell’efficacia dell’ordinamento.

Teodoro Klitsche de la Grange

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