lunedì 19 settembre 2016

Teodoro Klitsche de la Grange: «Monocameralismo e rappresentanza»

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MONOCAMERALISMO E RAPPRESENTANZA

Matteo Renzi ed Elena Boschi (Wiki)
La riforma Boschi-Renzi della Costituzione conferma come alcuni concetti – secolari – della dottrina dello Stato e del diritto pubblico siano ancora essenziali per comprendere il senso di ciò che è costituzionale, malgrado spesso trascurati dai giuristi contemporanei, in particolare da quelli di regime.

E non ricordati, neppure per caso, nel “titolo” del provvedimento; questo reca “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione dei parlamentari…”. Dopo questa “apertura” riduttiva, l’art. 1  tuttavia dispone “Ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la Nazione” (riformulando l’art. 55 della Costituzione) e subito dopo ridimensiona il Senato, il quale “rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti”; nell’art. 67 (della Costituzione modificata) invece si prescriveva che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione” (1).

Diversamente da come spesso s’intende correntemente, il carattere di rappresentanza politica di taluni organi dello Stato non è legato alla scelta elettorale “dal basso” ma all’esigenza di dare forma all’unità politica. Come scriveva Schmitt sui due principi di forma politica (identità e rappresentanza) “nella realtà della vita politica esiste tanto poco uno Stato che possa rinunciare agli elementi strutturali del principio d’identità, quanto poco uno Stato che possa rinunciare agli elementi strutturali della rappresentanza”. Nessuno Stato può concretamente esistere, se basato esclusivamente su uno solo di tali principi (contrapposti e complementari). Non c’è forma politica senza rappresentanza e identità (2).

La dottrina del diritto pubblico e dello Stato – in particolare quella meno recente – si è diffusa sulla distinzione tra rappresentanza (politica) e non, in particolare tra quella moderna e quella medievale (o “cetuale” o “corporativa”), individuandone i caratteri differenziali. Ne ricordiamo i principali, come li descriveva V. E. Orlando per quella medievale “Così il diritto di mandare un rappresentante all’assemblea degli stati non competeva al popolo, ma bensì a questi stati o ceti privilegiati. ….. In questo ordinamento che fondeva principi di Diritto privato, avveniva che i rappresentanti del terzo stato erano veri mandatari delle comunità che gli inviavano”. Mentre per lo Stato a lui coevo: “Il Diritto pubblico moderno si fonda su principii opposti: Il popolo appare come unità organica; la fonte della sovranità è unica; la partecipazione alla vita pubblica appartiene ai cittadini non a corpi privilegiati. Conseguenza: il deputato non rappresenta il corpo elettorale che lo ha scelto, ma bensì tutta la nazione. … Il Diritto pubblico prescinde affatto dal criterio proprio al Diritto privato delle prestazioni reciproche. L’obbedienza alla volontà dello Stato è nel cittadino un dovere assoluto, non un corrispettivo di diritti. Conseguenze mediate di questo principio sono: che nessun mandato imperativo può darsi dagli elettori al deputato” (3).

Nel costituzionalismo moderno il carattere rappresentativo è stato riconosciuto (a partire dalla Costituzione francese del 1791), normalmente, solo a due organi: il capo dello Stato e il Parlamento. La stessa Costituzione italiana del ’48 qualifica come rappresentanti politici sia i membri del parlamento che il Presidente della Repubblica (art. 87).

Per rimarcare ancor più la differenza tra organi rappresentativi e quelli che non lo sono, già la Costituzione francese del 1791 precisava che gli altri funzionari pubblici non avevano alcun carattere di rappresentanza (politica). Cioè non potevano volere in nome della Nazione.

Sulla questione – spesso dibattuta – della distinzione tra rappresentanti e simples agents, ricordiamo che Hauriou ne individuava i principi (e i criteri distintivi) nell’autonomia della volontà (4); il cui principale connotato è l’iniziativa: “c’est parce que l’organe exécutif prend librement et fréquemment des initiatives au nom de l’Etat qu’il est un organe représentatif … le Parlement est un organe représentatif parce qu’il prend librement l’initiative des lois” (5). L’altro criterio è la responsabilità politica, connotato proprio degli organi rappresentativi (6), mentre i “funzionari sono semplici agenti, anche quelli dotati, in fatto, di grandi poteri, (perché) non hanno responsabilità politica” (7).

L’abolizione del carattere di rappresentanza della Nazione (cioè dell’unità politica) va messa in stretta correlazione con la perdita, da parte della Camera “alta”, di tutte quelle funzioni, il cui valore (ed effetto) politico è di gran lunga superiore a quello del legiferare, anche se il Senato avesse mantenuto integro il proprio potere legislativo “equiordinato” a quello della Camera (che, invece ha, in grande misura, perso). Infatti non ha più né il potere di deliberare lo stato di guerra e conferire al Governo i poteri necessari (art. 17); né concedere amnistia e indulto (art. 18); non può, con una eccezione, ratificare i trattati internazionali (art. 19); e neppure promuovere, sempre con un’eccezione, inchieste parlamentari (art. 20). L’art. 1, IV comma con disposizione decisiva, prescrive che “La Camera dei deputati è titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo”, riservando alla Camera il relativo potere.

Entra così nel testo della Costituzione la funzione di indirizzo politico, non disciplinata prima dell’attuale revisione. E viene menzionata solo per chiarire che compete alla Camera dei deputati e non al Senato. Mortati, pur rilevando che nel testo della Costituzione non era nominata, scriveva che tale funzione è essenziale ad ogni tipo di Stato e denota, per l’organo che l’esercita, la di esso “preminenza”, tale da non sopprimere l’autonomia degli altri, ma da condizionarne l’attività.

Peraltro, mentre i componenti la Camera, come detto, rappresentano la Nazione, quelli del Senato, rappresentano gli enti (nuovo testo). La differenza è anch’essa fondamentale. Come scrive Schmitt “Rappresentare significa rendere visibile e illustrare un essere invisibile per mezzo di un essere che è presente pubblicamente” (s’intende, qui, rappresentare politicamente) (8).

In ogni caso nella rappresentanza politica ciò che è rappresentato non è un essere concretamente esistente (persone fisiche, giuridiche o anche gruppi sociali) ma un’entità come il “popolo”, la “nazione”, come scritto in tante Carte Costituzionali (9).

Come sostiene Freund “la rappresentanza  politica da esistenza concreta a quello che rappresenta, fa un tutt’uno (corps) con il rappresentato” (10).

Al contrario rappresentare chi è esistente (visibile, presente) non è connotato della rappresentanza politica; vale quello che scriveva (tra i tanti) Orlando, prima citato.

Con ciò, in sostanza, il Senato ha perso quello che Hauriou chiamava “il potere deliberante”. Notava il giurista francese che avendo il Parlamento una pluralità di funzioni, era riduttivo qualificarlo per una sola di quelle, ovvero la legislativa; e che il carattere peculiare di tale potere era prendere risoluzioni collettive (quindi non solo leggi) su soggetti di governo o d’amministrazione, a maggioranza e previa discussione (11).

Da quanto risulta da questa riforma, di oggetti su cui decidere, al di là della limitata partecipazione al processo legislativo, il Senato ne ha pochissimi, riconducibili al carattere rappresentativo delle istituzioni territoriali che gli è riconosciuto.

E su tale punto occorre peraltro ricordare la distinzione, risalente a Thomas Hobbes, e che la riforma Renzi-Boschi riporta all’attualità. Il filosofo inglese rilevava che il rappresentante politico è colui che rappresenta l’unità e la totalità; e che bisognava distinguerlo da coloro che rappresentavano solo dei gruppi particolari incaricati, per l’appunto, di render noto al sovrano, cioè al rappresentante dell’unità, valutazioni e richieste delle articolazioni sociali (contee, città, corporazioni): “dove è stato già creato un potere sovrano, non può essere altra rappresentanza dello stesso popolo se non solo per certi scopi particolari, limitati dal sovrano; altrimenti si creano due sovrani” con il pericolo di perdita dell’unità politica.

Solo il primo è vero rappresentante politico, perché con le sue decisioni (ed azioni) costituisce e garantisce l’esistenza e l’azione della comunità e dell’unità politica della stessa; i secondi sono rappresentanti solo di istituzioni o di gruppi subordinati.

La dottrina pubblicistica francese d’altra parte, ha particolarmente evidenziato il rapporto tra rappresentanza politica e sovranità. Scriveva Esmein “è nella forma del governo rappresentativo che si è attestata ed esercitata la sovranità nazionale nei tempi moderni (12)  e Carrè de Malberg ritiene che “il regime rappresentativo ha il proprio punto di partenza nel sistema della sovranità nazionale come, del pari e all’inverso, la nozione di sovranità nazionale porta essenzialmente al governo rappresentativo (13).

I senatori, perdendo la rappresentanza della Nazione, hanno perduto così anche (l’esercizio della) sovranità. Non sono ancora, come diceva Napoleone, dei cochons engraissés, ma sono sulla via di diventarlo.

Teodoro Klitsche de la Grange

NOTE

(1) Ricordiamo, nella seguente bibliografia i principali contributi “classici” (e meno recenti) sulla rappresentanza: R. Carrè De Malberg, Contribution à la theorie général de l’Etat. Parigi 1922, Tome II, pp. 199 ss.; M. Hauriou, Précis de droit constitutionnel, Parigi, pp. 146 ss.; C. Schmitt, Verfassungslehre, Berlino 1928, §§ 16 e 24; Santi Romano, Principi di diritto costituzionale generale, Milano 1947, pp. 160, ss.; G. Jellinek, Allgemeine Staatslehre, trad. it., Milano 1949, pp. Pp. 139 ss.; C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Tomo I, Padova 1975, pp. 423 ss.; G. Balladore Pallieri, Diritto costituzionale, Milano 1970, pp. 99 ss.; E. Crosa, Diritto Costituzionale, Torino 1955, pp. 245 ss.; V. E. Orlando, Diritto pubblico generale. Scritti vari, Milano 1940, pp. 417 ss.; C. Lavagna, Diritto costituzionale, Vol. I, Milano 1957, pp. 527 ss.; L. Rossi, I principi fondamentali della rappresentanza politica. Il rapporto rappresentativo, Vol. I, Bologna 1894; J. H. Kaiser, Die Rapresentätion organisierter Interessen, Berlino 1956.

(2) E scriveva anche “La diversità delle forme di Stato si basa sul fatto che ci sono due principi di forma politica contrapposti, dalla cui realizzazione ogni unità politica assume la sua forma concreta. … Lo Stato è una condizione, e precisamente la condizione di un popolo. Ma il popolo può raggiungere e ottenere in due diversi modi la condizione dell’unità politica. Esso può già nella sua immediata datità – in virtù di una forte e consapevole omogeneità, in seguito a stabili confini naturali o per qualsiasi altra ragione – esser capace di agire politicamente. Inoltre esso è come entità realmente presente nella sua immediata identità con se stesso una unità politica. … Il principio contrapposto parte dall’idea che l’unità politica del popolo in quanto tale non può mai essere presente nella reale identità e perciò deve sempre essere rappresentata fisicamente da uomini. … Queste due possibilità, l’identità e la rappresentanza, non si escludono, ma sono solo due punti contrapposti di orientamento nella concreta strutturazione dell’unità politica. In ogni Stato prevale l’uno o l’altro, ma entrambi fanno parte dell’esistenza politica di un popolo”. V. Verfassungslehre, trad. it. di A: Caracciolo La dottrina della Costituzione, Milano 1984 p. 270 ss.

(3)  V. Principi di diritto costituzionale, 4ª ed. (Barbera) 1904.

(4) “Le principe de la distinction est certainement l’autonomie de la volonté: les organes de l’Etat sont ceux qui veulent au nom de l’Etat, avec autonomie, avec «un pouvoir arbitraire», disait Esmein” V. Précis de droit constitutionnel, Paris 1929 p. 212.

(5) Op. loc. cit..

(6) Tous les organes représentatifs sont responsables politiquement et, même, il convient d’affirmer que plus un pouvoir est politiquement responsable, plus il est un organe de l’Etat autonome et plein d’initiative, car la responsabilité politique est corrélative à l’autonomie. Op. loc. cit.

(7) Op. loc. cit. p. 213.

(8) V. Op. cit.;  v. l’esplicazione del concetto e le citazioni p. 277 ss.

(9) A titolo d’esempio ricordiamo norme di costituzioni scritte sulla rappresentanza; v. art. 32 Cost. belga; art. 38 Cost. tedesca; art. 56 e 66 della Cost. spagnola; art. 2 titolo I della Cost. francese del 1791; art. 21 Cost. francese del 1848.

(10)  L’essence du politique, Paris 1965,p. 330.

(11) Sul punto, sulla pluralità di funzioni della Camera dei Comuni e sulla “preminenza” del sostegno al Governo v. W. Bagehot trad. it. da G. Cotta ne La rappresentanza politica, Milano 1983, pp. 131 ss.


(12) Citata da R. Carrè de Malberg, op. cit., p. 199; questo autore ricorda anche a tale proposito l’opinione di Duguit.

(13)  Op. loc. cit.




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