giovedì 10 agosto 2017

I cialtroni dell'Hasbara non hanno rispetto neppure per l'Osservatore Romano... Si annuncia una nuova mattanza nel Lager di Gaza.

Caccia israeliani su Gaza: Fonte.
La frittata possono girarla e rigirarla come vogliono e quanto volte vogliono, ma la Verità è assai semplice a meno che uno il cervello non se lo trovi fritto e rovinato per sempre dopo anni ed anni di occupazione del sistema mediatico italiano, da tutti i canali televisivi fino ai Fogli che mai hanno fatto una lira di utile e la cui funzione pare quella di fare da organo di propaganda a questi signori. Quale verità? Quella di un popolazione di due milioni di abitanti, recintata da un muro da dove non possono né entrare né uscire e dove regolarmente vengono bombardati per periodiche e programmate mattanze. Uno di questi agenti bombardieri fu perfino catturato e tenuto prigioniero. Incredibilmente, all'epoca della sindacatura Alemanno venivano accese luci al Campidoglio, ed organizzate altre forme di solidarietà, non per i bombardati ma per i bombardieri! Questa nella città di Roma, sede del Papato e centro della Cristianità. Esiste anche una Sinagoga, ma per le amministrazioni comunali che si succedono sembra che abbia più voce e ascolto questa Sinagoga che non la Chiesa, che in uno sei suoi organi, l'Osservatore Romano, avverte che è scattata una nuova mattanza. Quello stesso Osservatore Romano che in un suo articolo (che rintracceremo e pubblicheremo) durante il Mandato britannico riportava come gli Uffici inglesi dell'Anagrafe fossero stati presi d'assalto per ottenere il cambio del cognome da europeo ad ebraico antico, per rivendicare in questo modo l'antichità del diritto. Ciò veniva chiesto da parte di tutti i "migranti" che venivano dai paesi dell'Est europeo non per chiedere "accoglienza" ma per "cacciare", per “ripulire etnicamente” la Palestina, una terra che i Kazari delle Crimea rivendicavano come proprie per una Promessa fatta da Geova che addirittura ordinava di sterminare i Cananei che in quella terra vi abitavano almeno 3000 anni fa. Queste le origine etiche di una religione che si rinnova in una seconda versione con il Cristianesimo, il cui dialogo con l'ebraismo termina con Cristo in croce, e una terza versione con l'Islam, al quale presumibilmente si convertirono gli abitanti della Palestina che furono di religione ebraica, cristiana, musulmana... 

L’«Eroe» che uccide l'inerme.
Con una modesta cultura storica non è difficile sapere e capire ciò che è successo in duemila anni in quella martoriata Terra che continuiamo a chiamare Santa, ma anche in questo suscitando l'animosità dell'Hasbara che vuole si dica “Israele” ciò che per due mila anni è stato chiamato Palestina o Terra Santa. Nell’opera quotidiana di spionaggio e persecuzione erano arrivati a molestare un maestro elementare perché si serviva di una carta geografica della Palestina (anziché Israele) per spiegare gli episodi narrati nel Vangelo cristiano. Ma sono incredibili e innumerevoli e quotidiani gli esempi di faziosità anti-cristiana, ed in particolare anti-cattolica. Si arriva così all’odierno attacco da parte di tutti i siti web sionisti (vedi anche qui) nell'imminenza di una nuova mattanza della popolazione palestinese di Gaza: cercano la copertura, protezione, complicità per ciò che si apprestano a fare. "Piombo Fuso” credo sia ormai rimasto nella Memoria di quanti seguono la geopolitica mediorientale, che vede Israele dalla parte dell'ISIS e dei sauditi. Ma le "mattanze” non si limitano a "Piombo Fuso": sono periodiche e ricorrenti e ogni volta assumono nomi "biblici". Per Hamas, Hizbollah, Iran è davvero stucchevole la loro propaganda: sono tutti "terroristi" dove l'essere o non essere "terroristi" consiste nell'essere o non essere inseriti in una lista che i loro "amici" compilano su loro richiesta. Hamas, dopo essere stato inizialmente e strumentalmente sponsorizzato dai servizi segreti israeliani, è poi risultato il governo ultra-legittimo uscito da elezioni ultralegittime, controllate da osservatori internazionali. Non tutte le ciambelle vengono con il buco e successe che Hamas vinse delle elezioni, regolari, dove si era puntato tutto sulla vittoria di Abu Mazen, una sorta di Quisling al quale si può far fare ciò che si vuole. Stavano preparando un colpo di stato per deporre il vincitore (Hamas) di legittime elezioni e insediare il partito di Abu Mazen, ma Hamas se ne accorse e sventò il piano, stabilendo la sua autorità in Gaza. Per la propaganda dell'Hasbara Gaza è per questo "ostaggio" di Hamas, come se due milioni di palestinesi potessero aspettarsi da Israele altre benevolenze che bombe servite a colazione, fosforo bianco, taglio della corrente elettrica, inquinamento del mare, distruzioni di ogni genere.

Insomma, non se ne può più! Chi ha occhi per vedere, orecchie per sentire, ed un cervello per capire, oltre che una coscienza ed un senso etico per le questioni geopolitiche, è ora che dica: "basta!" non però ai signori dell'Hasbara, che sono quattro cialtroni, ma alle complicità di cui godono presso i nostri politici, i media, le nostri istituzioni, soprattutto quelle scolastiche ed educative. Se in Palestina succede ciò che la nostra coscienza non accetta, la causa non è da ricercare nella forza prevalente dei “caccia” israeliani che bombardano una popolazione inerme di due milioni di persone, ma nella copertura che noi diamo a chi bombarda e massacra. Si tratta di prendere atto di ciò che uno storico israeliano, Ilan Pappe, in cui libro è citato da Civiltà Cattolica come scientifico e degno di fede: non esiste “dualità” di un conflitto fra due parti che devono volersi bene e fare la pace, dopo oltre 100 anni di massacri, ma esiste solo la "unilateralità” di un massacro al quale non le eterea “comunità internazionale” (che non esiste) ma il Capo della Chiesa Cattolica deve dire basta senza se e senza ma... Le analisi e definizioni di Gilad Atzmon sulla natura del sionismo, che non è un fenomeno religioso anche se strumentalizza la religione giudaica non meno di quanto l’ISIS con l’Islam, non hanno ricevuto finora la dovuta attenzione da parte dei soggetti politici e religiosi che decidono poi l'agenda dei governi.

Non concordo con l'analisi di non pochi “analisti” dell'uno e dell'altro campo, secondo i quali vi sarebbe una “dimenticanza” della questione palestinese. Certamente, nessuno in questo momento ferma la mano omicida di Israele, che può agire indisturbato nel quadro generale delle guerre mediorientali che dal 2001 si succedono  abbattendo i governi legittimi della regione e creando zone di instabilità e conflittualità permanente. La questione palestinese è la sintesi di tutti questi conflitti e potrà trovare una sua soluzione solo se e quando il mondo arabo e islamico avrà raggiunto la sua unità. È parte integrante delle guerre che si stanno combattendo in Libia, Siria, Iraq... Non per nulla esiste una componente “palestinese” nella guerra in Siria a fianco dell’Asse della Resistenza (Iran, Iraq, Siria, Libano) e la Questione si riproporrà subito dopo la vittoria... Non a caso si parla di unità dell'Umma.  È difficile immaginarselo nel breve periodo considerando il ruolo attuale di governi come quello dell'Arabia Saudita, dell'Egitto, della Giordania... Ma già adesso, se l'Asse della Resistenza, costituito da Siria, Iran, Iraq, Libano riesce a respingere il piano che si nasconde dietro le insegne dell'ISIS, la questione israelo-palestinese si riproporrà in termini nuovi. Ed è forse per questo che Israele si affretta a “liquidare” il problema palestinese: non ci sarà più nessun superstite da salvare, quando sarà cambiato il quadro strategico della regione e sconfitto il piano di destabilizzazione e balcanizzazione di tutto il modo arabo e islamico. Difficile immaginare un disegno più scellerato e criminale.


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L’OSSERVATORE ROMANO
(testo depurato dai commenti sionisti dell'Hasbara*)

 * Si noti la perfidia: la propaganda sionista è organizzata per l'attacco,  fornendo ai propri agenti gli indirizzi email ed i telefoni delle redazioni sotto attacco, ma evitando accuratamente di fornire i propri per il contrattacco, le contestazioni, le confutazioni: i loro Forum sono blindati contro ogni voce non di plauso.


A Gaza due milioni di persone senza i servizi essenziali 


La popolazione della striscia di Gaza affronta una crisi energetica e alimentare peggiore di quella che si è verificata durante l'ultimo conflitto, quello del 2014. Con la conseguenza che oggi circa due milioni di persone non hanno quasi nessun accesso a servizi essenziali, come l'acqua corrente. E moltissimi hanno a disposizione solo due ore di luce elettrica al giorno. Questo l'allarme lanciato ieri da Oxfam, a tre anni dalla fine della guerra che in cinquanta giorni devastò il territorio palestinese. «La crisi energetica a Gaza costringe centinaia di migliaia di persone al limite della sopravvivenza, dovute alle tensioni tra le autorità israeliane e palestinesi» ha spiegato Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia. «Questa emergenza deve essere risolta al più presto — ha sottolineato — perché a farne le spese è la popolazione intrappolata all'interno della striscia, che adesso è seriamente minacciata dalla diffusione di malattie causate dalla quasi totale carenza di servizi igienici e sanitari. Dopo la guerra nel 2014, il 50 per cento dei centri di trattamento delle acque reflue non funzionava più». Oggi «non funziona più nessun impianto.

Ad agosto del 2014, 900.000 persone necessitavano di acqua e servizi igienici, oggi questo numero è salito a due milioni. Dopo l'ultima guerra, l'ottanta per cento della popolazione viveva solo con quattro ore di elettricità al giorno, oggi la maggioranza della popolazione solo con due». Il progressivo degradarsi della situazione a Gaza — sottolinea una nota dell'Oxfam — è iniziato nel 2006, con il bombardamento israeliano dell'unica centrale elettrica di Gaza, che aveva costretto famiglie e imprese a poter usare l'elettricità solo per otto ore al giorno. A questo si è aggiunto poi il blocco israeliano, che ha creato notevoli difficoltà alle organizzazioni umanitarie nel tentativo di portare aiuti.

«Non c'è progetto, tra i tanti realizzati da Oxfam a Gaza per portare alla popolazione acqua, servizi sanitari e sostenere i piccoli agricoltori e lo sviluppo economico, che non sia stato condizionato dalla mancanza di energia elettrica» afferma l'Oxfam. «Senza elettricità è impossibile qualunque tentativo di ripresa: non si possono riattivare le centrali di desalinizzazione, i pescatori non possono conservare la propria merce e gli agricoltori non possono irrigare. Chi è impegnato in progetti informatici non può lavorare e le aziende sono costrette a operare tagli del personale. I costi economici e umanitari di questa crisi sono altissimi». Il tutto nel contesto di una delle aree più densamente popolate del pianeta, dove si registra il più alto tasso di disoccupazione al mondo: oltre il 43 per cento.

A confermare la gravità della situazione c'è anche la cronaca delle ultime ore. Questa mattina l'aviazione israeliana ha bombardato diverse località nella striscia come rappresaglia per il lancio di una razzo contro Israele la scorsa notte dal territorio palestinese. Nei raid aerei sono rimaste ferite due persone, stando a fonti ospedaliere locali. Il razzo aveva colpito una zona disabitata di Hof Ashkelon senza causare danni né feriti.

AVVENIRE 

Uccise un palestinese a terra. Entra in carcere da star


E' entrato in carcere salutato come un eroe da decine di sostenitori, l'ex soldato israeliano Elor Azaria (21 anni), condannato a diciotto mesi, per aver ucciso un aggressore palestinese che si trovava già gravemente ferito e immobilizzato a terra. II caso Azaria ha fortemente diviso l'opinione pubblica israeliana tra chi difendeva il soldato, ritenendolo vittima di circostanze più grandi di lui, e chi lo giudicava responsabile di un gesto immorale e contrario al codice militare. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si era espresso a favore della grazia, ma la sentenza era stata confermata in appello lo scorso 30 luglio.

«Elor è un eroe»: con queste parole molte persone hanno salutato l'ex sergente, arrivato al carcere militare di Zrifim (Tel Aviv), accompagnato dal padre Charlie. Nei giorni scorsi Azaria aveva chiesto al Capo di Stato maggiore generale Gady Eizenkot di mitigare la sua pena. I fatti risalgono al marzo 2016, quando a Hebron (Cisgiordania), Azaria sparò a freddo contro il palestinese Abdel Fatah al-Sharif (21 anni) che si trovava a terra, ferito dopo aver aggredito a coltellate - insieme a un compagno, che era stato subito ucciso dai militari - un soldato israeliano. Circa 11 minuti dopo l'aggressione e la relativa reazione israeliana, il soldato Azaria passò accanto al palestinese, del tutto inerme, e gli sparò alla testa. La scena era stata ripresa da alcune persone presenti. Azaria si era difeso sostenendo di temere che l'uomo a terra indossasse una cintura esplosiva. 

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ULTIM'ORA

 (Fonte)
report di Umberto De Giovannangeli


Nel disinteresse generale è un’immensa prigione a cielo aperto, isolata dal mondo e messa in ginocchio da 12 anni di embargo
Umberto De Giovannangeli

Non sempre è possibile verificare sul posto la profondità e la fondatezza di un report. A me è capitato in una notte buia a Gaza. Una notte fatta di silenzio spettrale, di case al buio, di una esistenza che riduce, nella quotidianità, anche il suo spazio vitale. Dopo i riflettori internazionali, nella Striscia si spegne anche la luce. L’oscurità è la dimensione del presente che si perpetua all’infinito. Gaza sta morendo, nel disinteresse generale. Semplicemente, non fa più notizia. Eppure, questa immensa prigione a cielo aperto, isolata dal mondo e messa in ginocchio dall’embargo imposto dodici anni fa da Israele e mai cessato, è un condensato di rabbia e frustrazione che potrebbe riesplodere da un momento all’altro.

La politica, con lo scontro interno al campo palestinese tra Hamas e l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen, per una volta lascia il passo alla umanità che reclama voce in questa torrida e buia estate. Gaza è macerie e risentimento, dignità e resistenza. La presenza armata di Hamas si è fatta più stringente, oppressiva: è una dimostrazione di forza che serve per ammonire la popolazione da possibili rivolte e al tempo stesso è un messaggio lanciato ai gruppi salafiti che guardano ancora all’Isis come al “veicolo” di una Jihad globale impiantata in Palestina. A volte, e questa è una di quelle, l’occhio aiuta a percepire l’essenza del momento più di tante esternazioni di leader politici in cerca di consenso. E l’occhio annota una Gaza oscurata, piegata, che chiede al mondo conto di un silenzio che si fa complice di punizioni collettive che non trovano legittimità internazionale nella rivendicazione d’Israele del suo diritto di difesa. Gli unici bagliori che squarciano l’oscurità sono i trancianti dell’artiglieria israeliana, che risponde con il cannoneggiamento nel Nord della Striscia al lancio di razzi da parte di Hamas contro la città frontaliera di Ashkelon.

In questo frangente, più che analista sento di essere testimone oculare della fondatezza di quanto contenuto nel rapporto di Oxfam reso pubblico in questi giorni. La popolazione di Gaza affronta oggi una crisi energetica peggiore di quella che si è verificata durante la guerra del 2014. Con la conseguenza che oggi circa 2 milioni di persone non hanno quasi nessun accesso a servizi essenziali, come acqua corrente e servizi igienici e moltissimi hanno a disposizione solo 2 ore di luce elettrica al giorno. È l’allarme che Oxfam ha lanciato a tre anni dalla fine della guerra che in 50 giorni devastò la Striscia. Una crisi – iniziata quattro mesi fa – a causa delle tensioni che hanno portato al taglio da parte di Israele del 40% dell’erogazione di elettricità sulla Striscia, su richiesta della stessa Autorità Nazionale Palestinese. Una situazione che sommata alla scarsità di carburante, alla crisi sanitaria e salariale rende impossibile la vita della popolazione di Gaza.

    “La crisi energetica a Gaza costringe centinaia di migliaia di persone al limite della sopravvivenza, dovute alle tensioni tra le autorità israeliane e palestinesi – rimarca Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia –. Questa emergenza deve essere risolta al più presto, perché a farne le spese è la popolazione “intrappolata” all’interno della Striscia, che adesso è seriamente minacciata dalla diffusione di malattie causate dalla quasi totale carenza di servizi igienici e sanitari. Dopo la guerra nel 2014, il 50% dei centri di trattamento delle acque reflue non funzionava più. Oggi non funziona più nessun impianto. Ad agosto del 2014, 900 mila persone necessitavano di acqua e servizi igienici, oggi questo numero è salito a 2 milioni. Dopo l’ultima guerra, l’80 % della popolazione viveva solo con 4 ore di elettricità al giorno, oggi la maggioranza della popolazione solo con 2″.

È così. E a chi pontifica e dà voti dal suo salotto rinfrescato e iper accessoriato, farebbe bene condividere anche per un solo giorno l’esperienza di dover vivere con 2 ore di elettricità su 24. Sarebbe una esperienza formativa. Tutto si arresta. Nulla più funziona. La vita si ferma. Quella di oggi non è che l’ultima fase di un’escalation, iniziata già nel 2006, con il bombardamento dell’unica centrale elettrica di Gaza, che aveva costretto famiglie e imprese a poter usare l’elettricità solo per otto ore al giorno. La situazione infatti è il risultato di 12 anni di blocco su Gaza, che sta mettendo a repentaglio anche la capacità delle organizzazioni umanitarie come Oxfam di soccorrere la popolazione.

    “Non c’è progetto, tra i tanti realizzati da Oxfam a Gaza per portare alla popolazione acqua, servizi sanitari e sostenere i piccoli agricoltori e lo sviluppo economico, che non sia stato condizionato dalla mancanza di energia elettrica – continua Pezzati – Senza elettricità impossibile qualunque tentativo di ripresa: non si possono riattivare le centrali di desalinizzazione, i pescatori non possono conservare la propria merce e gli agricoltori non possono irrigare. Chi è impegnato in progetti informatici non può lavorare e le aziende sono costrette a operare tagli del personale. I costi economici e umanitari di questa crisi sono altissimi”.

Il tutto nel contesto di una delle aree più densamente popolate del pianeta, dove si registra il più alto tasso disoccupazione al mondo: oltre il 43%.

    “Anche senza la guerra, i palestinesi a Gaza subiscono un’emergenza umanitaria che non dà tregua. – conclude Pezzati – È vergognoso non aver agito e aver consentito che si arrivasse a questo punto, mettendo ancora di più alla prova 2 milioni di persone, che già soffrono gli effetti di un blocco illegale. Una crisi che si inserisce in quella – pure gravissima a cinquant’anni dall’inizio dell’occupazione israeliana – che colpisce tutto il Territorio Occupato Palestinese: qui 2,3 milioni di uomini, donne e bambini dipendono ormai dagli aiuti umanitari per sopravvivere e 1,6 milioni non hanno cibo a sufficienza”.

Nei territori palestinesi, il 27% della popolazione è disoccupato, in gran parte donne e 1 persona su 4 vive in povertà. Solo a Gerusalemme Est il 75,4% dei residenti vive con meno di 2 dollari al giorno. Gli occhi sono collegati al cuore: e verificare sul campo le parole di Oxfam produce emozioni forti, incancellabili. Perché quei due milioni sono persone, non numeri, sono storie, volti, speranze, dolore, i sentimenti che permeano una popolazione che al 54% è sotto i 18 anni. Ai Khaled, Mahmoud, Leilah, Hassam, ai tanti bambini di Gaza ai quali dopo aver rubato l’infanzia stanno ipotecando anche il futuro.Mahmoud ha dieci anni e, nell’ultima guerra di Gaza, ha visto morire tra le sue braccia la sorellina Hanan, quattro anni, durante un bombardamento aereo israeliano. Un trauma insanabile è anche quello vissuto da Feisal, 8 anni, ultimo di sei fratelli, che in un altro bombardamento, stavolta terrestre, di Tsahal ha perso i genitori.

Negli occhi dei bambini di Gaza si legge paura, sgomento: quegli occhi, bellissimi e affranti, sono una denuncia che lascia il segno. I nuovi tagli limitano l’elettricità colpiscono soprattutto le persone ricoverate in ospedale e chi ha bisogno di una macchina per vivere. Durante le ore di blackout i residenti utilizzano generatori privati, pannelli solari e altre sorgenti a batteria. Ma solo chi se lo può permettere. Attualmente si stima che l’80% della popolazione che vive a Gaza dipenda dagli aiuti umanitari. A metà luglio le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto sul peggioramento della situazione umanitaria nella Striscia. Si dice che le falde acquifere di Gaza potrebbe diventare inutilizzabili entro la fine dell’anno, si parla delle continue crisi energetiche e sanitarie e del fatto che più della metà dei due milioni di abitanti ha problemi a trovare del cibo. Il taglio dell’elettricità a Gaza, sottolinea Oxfam, rappresenta una misura illegale e punitiva contro un’intera popolazione, per questo motivo Oxfam chiede che cessi immediatamente e che tutte le parti coinvolte in questa crisi, garantiscano agli abitanti il ripristino del normale approvvigionamento di elettricità e carburante. Per questo motivo Oxfam ha lanciato in questi giorni in partnership con le agenzie digitali palestinesi – la campagna #LightsOnGaza, chiedendo di garantire energia elettrica alla popolazione della Striscia. Di fronte a un’emergenza umanitaria di questa portata l’Autorità Nazionale Palestinese, le autorità che de facto controllano Gaza e Israele, devono prima di tutto garantire la sopravvivenza a Gaza, smettendo di usare la popolazione come merce di scambio per la risoluzione di dispute politiche.

    Racconta padre Raed Abushalia, già direttore della Caritas di Gerusalemme che opera nella Striscia di Gaza:

    “Dal 2006 la gente di Gaza è chiusa all’interno della Striscia di 360 km quadrati, la più grande prigione del mondo a cielo aperto! Da allora non hanno che quattro o sei ore di elettricità al giorno. Durante l’estate fa caldissimo! Immaginate due milioni di persone senza elettricità; a Gaza c’è una sola stazione elettrica che non è sufficiente al fornimento di elettricità per tutta la Striscia. Dunque ricevono tre linee da parte dell’Egitto e sei linee di elettricità da parte di Israele. Adesso questa nuova misura di “punizione collettiva” ha ridotto la quantità di elettricità fornita da parte israeliana con la scusa che le autorità palestinesi non pagano la fattura. Ma a soffrire sono i civili che sono già poveri e devono vivere in questa situazione che potrebbe veramente distruggere, mettere in ginocchio, tutto il sistema sanitario. Voi dovete sapere – prosegue il responsabile della Caritas – che non c’è cibo; dovete sapere che a Gaza secondo l’ultimo rapporto dell’Onu, l’80% delle famiglie vive sotto la soglia di povertà. Il 46% della popolazione di Gaza è disoccupata e malgrado tutta questa situazione drammatica continuano a mettere al mondo bambini. Quasi cinquemila bambini nascono ogni mese! Questo vuol dire più di 55 mila bambini all’anno. Una resistenza che io chiamo “demografica”. Allora immaginate tutta questa popolazione che deve vivere in questa situazione, chiusa nella più grande prigione del mondo. La situazione è drammatica e a pagarne il prezzo è questa povera gente.

Le guerre, tre negli ultimi nove anni, oltre a lasciare morti, macerie e distruzione hanno segnato profondamente la parte più vulnerabile della popolazione gazawa, donne, anziani e soprattutto bambini. Statistiche rilasciate da agenzie umanitarie internazionalialtro hanno stimato in oltre 350mila i bambini traumatizzati dalla sola guerra del 2014; 250mila quelli che vivono in condizioni abitative non idonee. La quasi totalità dei 950.000 bambini gazawi soffre di sintomi psicologici e comportamentali propri del disturbo da stress post-traumatico (PTSD), tra cui aggressività, depressione, enuresi, flashback e un attaccamento psicotico alla madre o ad un familiare.

Ayesh Samour, direttore dell’unico ospedale psichiatrico presente nella Striscia, spiega: “Ai bambini di Gaza è stata negata un’infanzia normale a causa dell’insicurezza e instabilità del loro ambiente. E non temporaneamente. Una cultura di violenza e di morte pervade nella loro mente, rendendoli più aggressivi e arrabbiati”. “La mancanza di medicinali a Gaza – afferma Jehad Hessi, docente universitario e consulente dell’ospedale ‘Ahli Arab’ – è un altro dei gravi problemi che affliggono Gaza. Non disponiamo del 45% dei cosiddetti medicinali di base. Non esiste radioterapia, spesso i malati oncologici cominciano un protocollo di cure che poi devono abbandonare per l’esaurimento dei medicinali”.

Il responsabile dell’Onu per gli Affari umanitari, Robert Piper, ha dichiarato che Gaza è “invivibile”. Piper non ha esagerato, ha fotografato la realtà. Una realtà voluta dagli uomini e non imposta da una calamità naturale. Gaza si spegne. Nel silenzio del mondo…

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