sabato 17 luglio 2010

Una legittimità impossibile: Commentario al Progetto di mandato britannico sulla Palestina.

PaginE in costruzione.

Posta la distinzione fra legalità frutto di meri rapporti di forza e legittimità fondato sul concetto naturale di giustizia, l’odierno Stato di Israele, pur riconosciuto da numerosi paesi, è una mostruosità giuridica che urta contro ogni idea di diritto e di ordine internazionale, nonché di riconoscimento e rispetto della dignità dei popoli. Sela nostra generazione nulla può contro le ingiustizie che hanno avuto luogo nel passato, può però opporsi moralmente alle ingiustizie che si svolgono sotto i nostri occhi e che sono chiari alla nostra coscienza. Riteniamo che sia oltremodo istruttiva la lettura ed il commento più approfondito possibile di ogni singolo articolo dello schema di mandato che il Governo Britannico pubblicò ai primi di febbraio del 1921 in un “Libro Bianco” di nove pagine, comprensivo dei mandati per la Mesopotamia e la Palestina. Con qualche variazione il testo definivo dei due distinti Progetti usciva il 29 agosto 1921 e venivano presentati al Parlamento inglese. Con una lettera di A.J. Balfour erano già stati presentati con la data del 6 dicembre 1920 al segretario della Lega delle Nazioni, Sir Eric Drummont. Anche alla luce di questa operazione, freddamente calcolato nel contesto della prima guerra mondiale, dove vi fu uno scambio fra partecipazione ebraica alla guerra in favore della parte Alleato e contro gli Imperi centrali.

La Dichiarazione Balfour non nasce nulla e non era a titolo gratuito. Detta Dichiarazione non ha proprio nulla a che fare con principi di diritto e di giustizia, ma è un cinico baratto nella logica del potere coloniale dell’epoca. Una riflessione sui singoli articoli del Mandato consente di lumeggiare in tempi non sospetti eventi che proprio ai nostri giorni ed in misura crescente di anno in anno dimostrano tutta l’illegittimità e l’artificiosità impossibile di una costruzione statuale, la cui esistinza implica quel costante principio di autoesenzione dal rispetto del diritto internazionale, nella misura in cui possa parlarsi scientificamente dell’esistenza di un diritto internazionale distinto dalla mera effettività delle relazioni internazionali sempre più improntate a principi di forza bruta e di potenza degli armamenti: se le mie armi sono più potenti delle tue, vige il rispetto delle armi in luogo del rispetto di ogni principio di legittimità che gli uomini hanno tentato faticosamente di costruire nel tempo per uscire da quel flagello della guerra di tutti contro tutti, dove nessuno è più sicuro della sua vita ed oggi comporta il rischio di estinzione dell’intera umanità.

I Lettori esperti in materia che vogliono contribuire alla Redazione del Commentario sono caldamente invitati a dare ogni utile indicazione. Saranno prese in in considerazione anche le eventuali critiche di parte sionista, purché improntate a criteri razionali e scientifici. Viene qui anticipato il testo completo nella traduzione italiana apparso nel fascicolo della rivista “Oriente Moderno”, del 15 novembre 1921, anno I, n. 6, pp. 337-340.

Preambolo

a. Il Consiglio della Lega delle Nazioni considerando che, secondo l’art. 132 del Trattato di pace firmato a Sèvres il 10 agosto 1920, la Turchia ha rinunziato a favore delle principali potenze alleate ad ogni diritto e titolo sulla Palestina;


b. considerando che, secondo l’art. 95 di detto Trattato, le alte Parti contraenti consentirono ad affidare, in base alle causole dell’art. 22, l’amministrazione della Palestina, in quei confini che saranno determinati dalle principali Potenze alleate, ad un Mandatario che dev’essere scelto dalle dette Potenze;

c. considerando che, secondo il medesimo articolo, le alte Parti contraenti consentirono inoltre che il Mandatario avesse la responsabilità di eseguire la Dichiarazione fatta in origine il 2 novembre 1917 dal Governo di S. M. britannica, e adottata dalle altre Potenze alleate , in favore della fondazione in Palestina di una Sede nazionale per il popolo ebraico, (1) essendo chiaramente inteso che nulla sarebbe fatto che possa recar pregiudizio ai diritti civili e religiosi delle Comunità non ebraiche esistenti in Palestina, o ai diritti e allo statuto politico di cui godono gli Ebrei in qualsiasi altro paese;

d. considerando che in tal modo vengono riconosciute la connessione (“connection”) storica del popolo ebraico colla Palestina e le ragioni di ricostituire la sua Sede nazionale in quel paese;

e. considerando che le principali Potenze alleate hanno scelto S.M. britannica quale Mandatario per la Palestina;

f. considerando che le condizioni del Mandato nei rispetti della Palestina sono state formulate nella forma che segue e presentate al Consiglio della Lega per l’approvazione;

g. considerando che S. M. britannica ha accettato il mandato nei riguardi della Palestina ed ha acconsentito ad esercitarlo per conto della Lega delle Nazioni in conformità alle clausole che seguono;

h. approva le condizioni di detto Mandato come segue:

Art. 1. – S. M. britannica avrà il diritto di esercitare quale Mandatario, tutti i poteri inerenti al Governo di uno Stato sovrano, in quanto non siano limitati dai termini del presente Mandato.

Art. 2. - La Potenza mandataria (2) si assume la responsabilità di porre il paese in condizioni politiche, amministrative ed economiche tali da assicurare lo stabilimento di una Sede nazionale ebraica, qual è descritta nel preambolo, e lo sviluppo di istituzioni autonome («self-goverment institutions»), nonchè la salvaguardia dei diritti civili e religiosi di tutti gli abitanti della Palestina, senza distinzione di razza e di religione.

Art. 3. - La Potenza mandataria incoraggerà l’autonomia locale nella misura più ampia compatibile con le condizioni generali.

Art. 4. - a. Una Agenzia ebraica adatta sarà riconosciuta come Ente pubblico allo scopo di dar pareri e cooperare coll’Amministrazione della Palestina in quelle materie economiche, sociali e d’altra natura che possono influire sulla formazione della Sede nazionale ebraica e sull’interesse della popolazione ebraica della Palestina, e, salvo sempre il controllo dell’Amministrazione, di aiutare e partecipare allo sviluppo del paese.

b. L’Organizzazione Sionistica, - finchè, a giudizio della Potenza mandataria, avrà organizzazione e costituzione corrispondenti allo scopo - sarà riconosciuta come tale Agenzia. Consigliandosi col Governo di S. M. britannica, essa prenderà le misure atte ad assicurare la cooperazione di tutti gli Ebrei che vogliano aiutare lo stabilimento della Sede nazionale ebraica.

Art. 5. - Alla Potenza mandataria spetterà di provvedere affinchè nessun territorio palestinese sia ceduto, affittato, o posto in alcun modo sotto il controllo del Governo di qualsiasi Potenza straniera.

(segue)

WEBGRAFIA. – Segue un elenco di links pertinenti via via individuati. Si tratta di links di carattere generale che vengono elencati in ordine casuale. Verrà dato in seguito un migliore ordinamento.

1. Prassi italiana di diritto internazionale. – Il contrasto fra la concreta disciplina del Mandato, peraltro redatta dalla stessa potenza mandatario, ed i principi di rispetto dei popoli proclamato dalla stessa Società delle Nazioni non poteva essere più vistoso ed apre subito un vulnus nella stessa Società che con gli anni cadrà sempre più in dicredito. In pratica, si pretendeva di sancira con i crismi del diritto una vera e propria pulizia etnica. Un intero popolo, quello palestinese dell’epoca e per l’area di interesse individuato, riceveva… un avviso di sfratto! È ridicola, è un insulto all’intelligenza l’affermazione secondo cui ai popoli indigeni non sarebbe stato fatto nulla che compromettesse i loro diritti. Quanta imperiale bontà! Inoltre è curioso il vezzo linguistico invalso di considerare la stragrande maggioranza della popolazione indigena come... non-ebraica! Era come rivelare il segreto piano lungamente coltivato di immaginarsi una Palestina svuotata di tutti i suoi abitanti effettivi per far posto ad un agglomerato di genti che poco si distinguono dalle carovane di pionieri che andavano alla conquista delle terre indiane uccidendo e distruggendo tutto quello che trovano. Il “popolo” – se può parlarsi di un “popolo” - nasce qui come un patto di briganti ed ha poco senso dire che questi “briganti” regolano i loro rapporti secondo principi “democratici”. La democrazia, peraltro, può essere una semplice forma di governo, non un valore in sé, non un sinonimo di Giustizia, Bene, Umanità e così via. Su questa confusione del concetto di democrazia molto ha investito la propaganda sionista attuale presentando Israele come l’«unica democrazia del Medio Oriente». Per fortuna! Affermazione peraltro discutibile anche sul piano formale se si considera l’ampio regime di discriminazione esistente e vere e proprie forme di razzismo.


venerdì 16 luglio 2010

Il pensiero del giorno e la continuità del tempo


Premetto che il mio pensiero sul cristianesimo e il cattolicesimo non è sostanzialmente mutato rispetto alle mie prime affermazioni al riguardo. Continuano ad offendermi le vicende sulla pedofilia in Brasile, dove ancora ricordo ancora il volto di una signora anziana per le umiliazioni inflitte al nipote e a lei stessa per avere denunciato il fatto. Neppure torno indietro rispetto alle mie professioni di laicità e la netta separazione fra l’universo della fede e l’universo della scienza, e simili altre cose. Ma ciò non mi impedisce di vedere un attacco strumentale alla chiesa cattolica, il cui scopo non mi appare certamente più commendevole di quelli che sono i “peccati” della chiesa. La dottrina del “peccato” e dalla possibile redenzione dal “peccato” è l’essenza stessa del cattolicesimo. Nessuno è immune dal “peccato”, neppure il papa e gli alti e altissimi prelati: è la dottrina stessa della chiesa a dirlo. Nessun uomo di chiesa, appena un poco versato in dottrina, oserebbe dichiarare se stesso immune dal peccato per essere un ministro del culto. E ciò a differenza di quella cultura farisaica che conosciamo dai testi evangelici, dove nel fariseimo bastava un formale ed esteriore rispetto della legge per autoproclamarsi “santi” ed “eletti”.

Sono stato formalmente battezzato ed in età relativamente matura ho anche accettato la “cresima”, che mi renderebbe formalmente un “soldato di Cristo” ed un campione della fede ricevuta. Dotti teologi, che ho in grande stima, mi hanno spiegato che formalmente faccio parte della “chiesa”, non essendo mai stato “scomunicato” né expressis verbis e nominativamente né implicitamente. Non sono neppure un praticante e vado in chiesa alle funzioni alquanto raramente. Ma non ho mai fatto professioni di ateismo e tengo distista una mia idea di religiosità, di senso del sacro, che ogni uomo possiede, dai complessi dogmatici di tutte le religioni istituzionazzate, non tutti uguali e ben diversi gli uni dagli altri.

Per la “fede” e “dottrina” ricevuta, e di cui sono stato fatto addirittura “soldato”, sono fermamente convinto della inconciliabilità fra ebraismo e cristianesimo. Se questa “inconciliabilità” non fosse nelle “essenze” filosofico-religiose di ebraismo e cristianesimo, non si potrebbero spiegare in nessun modo 2000 anni di ostilità degli uni verso gli altri. Immaginandomi come un antico romano che assiste all’abbattimento dei templi dei suoi cari e assai tolleranti dèi, dovendo scegliere per obbligo di legge fra ebraismo e cristianesimo, non avrei esitato ad optare per il cristianesimo assai meno barbarico dell’ebraismo. Un cristianesimo che con un’operazione sincretistica ha ripreso non pochi temi dottrinali e liturgie delle vecchie religioni, ad esempio, come le campane, estranee alla liturgia ebraica.

Il “peccato”, dunque, e la redenzione dal peccato. Un noto pensatore cattolico, mio docente, insegnava acutamente che la vera radice dell’ateismo non è tanto il rifiuto astratto di ogni idea di dio e di una qualsiasi trascendenza quanto il rifiuto dello status di naturae lapsae, sulla cui esistenza e sul cui presupposto si basa poi la figura religiosa del Cristo, poco importa qui sia realmente e storicamente esistito. Le religioni in fondo sono forme filosofiche che vengono proposte in una forma peculiare ad ogni singolo uomo perché trovi una regola di condotta nella sua vita. Ogni essere umano in quanto essere pensante e capacità di autonomia ha bisogno di indicazioni e le religioni adempiono a questo scopo e soddisfano un bisogno elementare. La contrapposizione insanabile fra cristianesimo e giudaismo è nella universalità del primo e nella gretta chiusura dell’altro, che poco si distingue da una forma di razzismo.

Ma questi sono temi complessi che hanno bisogno di un’articolazione del discorso. La riflessione estemporanea è qui partita dal testo di cui nell’immagine. Non ne do intenzionalmente la fonte, conoscendo la mala natura dei miei detrattori e diffamatori. Dico soltanto che trovo di una sconcertante attualità il controllo della stampa di cui già allora si parlava e gli attacchi alla chiesa cattolica. Ho perfino notato come qualche settimana dopo che il papa si era proncunciato su Gaza e sul cristiano sionismo sono poi partiti nuovi attacchi alla chiesa cattolica. Non credo che la pedofilia c’entri nulla ed è assurdo che per la responsabilità di un singolo debba essere chiamato a rispondere l’istituzione, che certamente nella sua ragione sociale non ha la pedofilia. Sarebbe come se il corpo dei vigili del fuoco fosse chiamato a rispondere del furto che qualche singolo vigile, entrando in una casa, possa aver commesso.

Purtroppo la capacità di penetrazione lobbistica del sionismo è penetrata nella struttura istituzionale della chiesa cattolica. I cosiddetti “fedeli” non paiono oggi bene orientati. E non si sa bene chi sia poi il “fedele” cattolico. Perfino un Frattini si è professato “cattolico”. Ma che cattolico! In realtà, chiunque può spacciarsi per qualsiasi cosa allo scopo di tirare da una parte un movimento o un’istituzione. Io qui non pronuncio il crociano “non possiamo non dirci cristiani”, ma semplicemente rivendico il ritorno della antiche religioni greco-romane, se è da considerare ormai estinto il cattolicesimo e il cristianesimo. Di farmi circoncidere e di abbracciare un ebraismo più o meno esplicito, no, proprio non ne voglio sapere.

A proposito di bolscevismo russo e di sua connessione con l’ebraismo credo che si possa trova un’analogia con quanto denunciato da Mearsheimer e Walt per politica estera americana, interamente determinata dalla Israel lobby. Se poi si esamina il ruolo della grande stampa da Piombo Fuso alla Mavi Marmare, il testo in questione (del 1925) è di una sconcertante attualità. Di fronte alla verità di aggressori che sparano nel buoi in direzione delle loro vittime è un colossale insulto all’intelligenza umana sostenere che le vittime fossere in realtà gli aggressori ed invece vittime gli aggressori. Forse questo modo di offendere l’evidenza fattuale è l’intima natura del Talmud.

mercoledì 14 luglio 2010

Verso Gaza 17: Peripezie di una nave libica nei mari del luglio 2010

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Monitorando la stampa embedded (la si trova accuramente raccolta nel sito sionista «Informazione Corretta» ed anche in un sito “cristiano sionista” detto «Notizie su Israele», che escono quotidianamente) ricavo la sensazione che i servizi israeliani abbiano mobilitato tutti i loro uomini dislocati nelle redazioni e tutti i mezzi noti e ignoti di cui non da oggi dispongono per orientare la cosiddetta opinione “pubblica”, che in pratica è semplicemente l’opinione “pubblicata”. I sistemi sono sofisticati e ampiamente collaudati. Anche nell’apparenza di una cronaca oggettiva e neutra non è difficile per un occhio esperto cogliere l’orientamento di chi scrive e cosa egli vorrebbe far credere e indurre a pensare in chi per avventura legge. È il classico mondo orwelliano di cui sempre parliamo. Probabilmente, non esiste e non è possibile una “imparzialità” e terzietà in fatti che richiamano direttamente in causa la nostra coscienza morale, le nostre capacità intellettuali e la nostra attitudine a comprendere la quotidianità, ma anche e non da ultimo la nostra qualità di cittadini e di soggetti politici, che una concezione assai astratta e formale vorrebbe sovrani degli stati di cui fanno parte. In realtà, non siamo sovrani e veniamo ingannati quotidianamente dai nostri politici, che si riempono la bocca e ci riempiono la testa con la parola “democrazia”, che pretendono di esportare con la guerra in paesi che poveretti questa nostra democrazia non la possiederebbero. Non siamo così generosi da portargliela in casa, beninteso in cambio delle loro risorse e della loro perpetua e felice obbedienza.

Nell’assurdo mediatico cui assistiamo a proposito della nave libica è all’incirca questo lo scenario. Intanto si fa un esame del soggetto: l’homo libicus. Non conta l’azione che vorrebbe fare, cioè portare gratis duemila tonnellate di aiuti umanitari a gente che ne ha disperato bisogno dopo quattro anni di assedio per affamento e genocidio, scientificamente premeditato. No! Viene chiamata in causa tutta la storia libica, gli eritrei, i peccati di gioventù di Geddafi e della sua prole. Poi ancora sono chiamate in causa le intenzioni, che non sono quelle ovvie e dichiarate, cioè portare 2.000 tonnellate di aiuti a chi ne ha bisogno, ma sono invece quelle prave di aiutare un soggetto demonizzato per decreto statunitense: Hamas! È davvero allucinante questa pretesa di compilare liste di “cattivi” e di “buoni”, da parte di Usa e di Israele, e pretendere che queste liste, questi “pregiudizi”, debbano essere il fondamento di ogni assiologia. Non possiamo mai sentire certi nomi (Hamas, Hezbollah, Amadinejad, etc.), se non accompagnati da epiteti demonizzanti con i quali si cerca di influenzare e formare il nostro giudizio.

La stampa embedded non è neppure lontanamente sfiorata dal dubbio che nessuno abbia il diritto di cacciare dalle sue case e dai suoi villaggi in una sola volta il 50 per cento di una popolazione, di un intero popolo. Facendo un paragone, sarebbe come se nel 1948 il 50 per cento della popolazione italiana fosse stata privata delle sue abitazioni ed espulsa dai comuni in cui abitava con divieto assoluto di farvi ritorno. Magari, quei poveri disgraziati immaginari ma non troppo avrebbero condotto la loro miserabile vita in campi profughi degli stati limitrofi, se questi fossero stati così generosi da concedere un appezzamento di territorio dove vivere stipati nel modo più indegno di un essere umano. L’ultima incredibile è che la “pulizia etnica” sarebbe già stata sancita dalla Società delle Nazioni con la storia del “national home”. La popolazione residente avrebbe dovuto sloggiare fin da allora. Crassa e grossolana ignoranza oltre che falsificazione storica che ignora perfino le dichiarazione fondative della Società delle nazioni, per le quali gli interessi e i desideri delle popolazione “indigene” avevano ogni precedenza. Naturalmente, vi era molto ipocrisia e non per nulla la Società è stata poi sbaraccata dopo neppure venti anni di vita. Per chi vuole una ricostruzione storica su fonti documentarie dell’epoca rinvio a questo mio blog, dove si parte dal 1921 per una lunga ricerca con limiti temporali dal 1882 ai giorni nostri.

È quello che è successo in Palestina, ribattezzata Israele, nel 1948, ma il cui piano di attuazione era già in mente ai padri sionisti fin dagli esordi. Di questa giustizia genetica, per così dire, non vi è traccia alcuna nella testa dei giornalisti embedded. Sarebbe facile la polemica con ognuno di questi giornalisti, detti «leccaculo» da un cartello che potevasi leggere nella manifestazione del gennaio 2009, quando in Roma sfilarono 200.000 persone contro “Piombo Fuso”. Quel cartello dimostra che il “popolo” è altra dalla carta stampata, la cui auspicabile scomparsa non credo sia da temere o rimpiangere. Costoro non rendono nessun servizio, ma sono uno dei mezzi con cui viene oppresso un popolo. Sono il regime della menzogna e della propaganda. Non è assolutamente da credere che tutto il negativo dell’informazione fosse sotto il fascismo e il nazismo. Oggi il regime della propaganda e della manipolazione non è assolutamente da meno. un libro da leggere? Beh, ad esempio, «La fabbrica del consenso» di Noam Chomsky, che non è recente. Ve ne sono di più recenti e li segnalerò di volta in volta.

Le menzogne della stampa e l’azione di copertura che già stanno avviando per preparare il terreno ai prevedibili assalti dei pirati israeliani non sono alla nave libica, ma alle altre 20 che sono state annunciate ed alle due carovano di 500 camions che durante questa calda estate partiranno alla volta di Gaza, armati di scatole con dentro... latte in polvere! Oramai lo abbiamo capito! Non possiamo fare la guerra ad Israele con le sue stesse armi, sempre più mortifere e micidiali, ma solo armati della nostra limpida coscienza morale.

Questi cialtroni, questi “leccaculo” di professione, quando non ci dispensano le loro informazione taroccate sui fatti che accadono, sulle loro esatte e vere modalità, sui dati quantitativi di morti, feriti e furti, pretendono anche di illuminarci con le loro “analisi”. Già, fanno pure le... “analisi” e ci spiegano cosa è successo e come stanno per davvero le cose. Che fossero dei mentitori di professione ben lo sapevano i partecipanti alla Flotilla di maggio e per questo erano venuti attrezzati di tutti, proprio tutti i ferri del mestiere per fare informazione, anzi controinformazione. Avevano visto tanto giusto che i signori israeliani – il più “morale” esercito del mondo – hanno ben pensato di sequestrare e distruggere tutto. Le cineprese che sono state rubate, sono state divise fra i soldati, come il famoso mantello di Cristo: et diviserunt vestimenta mea! Gli amici mi dicono che con le loro carte di credito sequestrate sono stati fatti acquisti in Israele. Non posso verificare, ma non ho motivo di dubitare, come ancora di meno si puà dubitare del furto del denaro contante che i “pacifisti” avevano nelle loro tasche: a chi sono stati rubati solo 300 euro, ma ad altri ben 3.000!

Dobbiamo perciò attivarci tutti per una catena di informazione porta a porta e soprattutto allenarci nel saper decostruire e demistificare le informazione che leggiamo sui giornali e sui canali televisivi embedded. Quanto alle dichiarazioni dei politici non dovrebbe essere difficile per ognuno di noi capire quanto considerazione esse meritino. Ci sono battaglie e guerre che si decidono su un piano prettamente militare e vince chi è armato contro chi è disarmato o insufficientemente armato. Non per nulla il mondo che è seguito al 1945 ha visto la più incredibile industria degli armamenti mai esistita prima. Non si è voluta vincere la fame nel mondo, la malattia, la povertà, la disperazione, ma si è preferito costruire armi sempre più potenti con le quali un’infima miniranza di privilegiati può tenere in soggezione, sotto il tallone, il mondo intero. Ma attenzione! Costoro non si accontentano di tenere puntata una pistola sulla nostra testa. Vogliono anche svuotare il contenuto della nostra testa e metterci quello che loro di volta in volta decidono e vogliono. Ed è incredibile la loro capacità di ribaltamento della realtà. Per chi fosse o avesse bisogno di emetici posso segnalare un servizio quotidiano che arriva per “cartolina” ad un ristretto gruppo di “amici”. Consiglio però, come disse il Poeta, di attenersi al principio: “guarda e passa!”

Con il pensiero critico, armati di solo pensiero, noi possiamo ribellarci e resistere. Facciamolo e chi sa aiuti l’altro perché sappia anche lui ed ammaestro un altro ancora. Questa è la nostra guerra: la guerra dell’intelligenza e dell’onestà contro la menzogna, l’inganno e l’ignoranza indotta.

martedì 13 luglio 2010

Freschi di stampa: 47. Giorgio S. Fraenkel: «L’Iran e la bomba. I futuri assetti del Medio Oriente e la competizione globale» (DeriveApprodi, 2010).

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Non vi è dubbio alcuno che stiamo assistendo ad una colossale menzogna per quanto riguarda l’atomica iraniana. La situazione presenta molte analogie con i falsi armamenti di sterminio globale che venivano attribuiti a Saddam al mero scopo di trovare il pretesto per una guerra di aggressione che era stata già decisa. Nel libretto di 140 pagine – stando ai limiti di spazio fissati dalla casa editrice per stessa collana dove appare il limpido volumetto sulle ragioni per boicottare Israele – l’autore Fraenkel fa giustizia delle tragiche amenità che da almeno vent’anni ci tocca ascoltare sulla “bomba” iraniana. Non siamo dei tecnici e non possiamo soffermarci più di tanto sulla questione.

Il libro è stato presentato in Trastevere la scorsa settimana all’interno di un dibattito che è stato molto interessante, ed anche comico, ma che è difficile riassumere. Era presente – invitato forse per errore – quello stesso giornalista iraniano che durante il viaggio in Roma di Ahamadinejad alla FAO ha inscenato una manifestazione di contestazione contro il legittimo rappresentante del suo paese. È un giornalista che per questa sua attività – a suo dire in difesa dei ‘diritti umani’ – ha avuto ben 17 premiazioni! Gli è stato però chiesto ha fronte del oltre 101 basi americane in Italia quante ne avrebbe volute nel suo paese, contro il quale fervono i preparativi di guerra. Il dibattito del giornalista con il pubblico presente è stato vivace, ma assolutamente civile e liberale.

È cosa nota come la Persia o Iran non abbia mai messo guerra a nessuno negli ultimi 200 anni. Nel 1953 Usa e Inghilterra rovesciarono con un colpo di stato il governo democratico di Mossaqed che aveva avuto il grave torto di nazionalizzare le risorse petrolifere. Da allora il regime voluto democraticamente dalla CIA durò fino al 1979, quando scoppiò la rivoluzione islamica. Il democratico Occidente non tollera che vi siano stato indipendenti al suo cospetto. È uno scenario di colpi di stato, di pratica di tortura, di veri e propri genocidi in cui assistiamo in ogni parte del mondo dalla fine del querra civile europea (1914-1945) ad oggi. Di quel nostro passato ci è stato detto tutto il male possibile in una infinità di salse in modo che diventi persuasione subliminale, anche durante il sonno e il sogno. Ammesso pure tutta la negatività che si vuole di quei passati regime, tuttavia indipendenti, è però sotto i nostri occhi come tutto ciò che è venuto dopo è di gran lunga peggiore sotto qualsiasi punto di vista.

(segue)

giovedì 8 luglio 2010

Verso Gaza 16: Si riparte. Fervono i preparativi per nuove Flotille e già scattano i diffamatori.

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Nella complicità degli stati e dei governi, che sottoscrivono e compiono un genocidio nello stesso tempo in cui con retorica di regime e propaganda diretta e indiretta pretendono di convincerci che il nostro è il mondo più morale di tutta la storia dell’umanità. Ma se prendiamo come punto di partenza il 1945 possiamo facilmente constatare che tutti i record negativi precedenti sono stati ampiamente superati. Che dico? Negativi? Mi baso semplicemente su ciò che ci dicono e adotto i parametri che la propaganda da allora ha inoculato nelle nostre menti più o meno criticamente sprovveduto. L’era atomica inizia con Hiroshima e Nagasaky e da allora è un crescendo di orrori sempre manipolati, occultati, travisati, relativizzati, ecc. La propaganda è una tecnica della menzogna ovvero essa stessa una tecnica di guerra che gli esperti analisti, ma diciamo pure i filosofi vecchia maniera, devo necessariamente imparare ad individuare e decostruire. La ricerca della verità è un sapersi districare attraverso una foresta fittissima di menzogne.

Ma veniamo all’oggi. L’episodio della Flotilla ci ha insegnato che la società di nulla armata che della sua volontà di pace, dei suoi principi di umanità e di giustizia, può sfidare i più sofisticati armamenti, che si reggono sulla menzogna. Non una, ma dieci, cento, mille Flotille possono cambiare il mondo. Capiremo forse dalla reazione dei nostri governi e dal servilismo della nostra stampa di regime, dalla sua sistematica diffamazione della giustizia e della verità, come il migliore aiuto alla pace ed ai popoli vittima di aggressione e occupazione coloniale è quello di mettere con le spalle al muro le nostre classi dirigenti e gli intellettuali di regime. Per questo è necessario che si allestiscano sempre nuove Flotille. Ci auguriamo di cuore che non vi siano vittime e che l’impegno umanitario di chi è disponibile ad affrontare indubbi rischi sia sempre sia sempre più sicuro e goda della più ampia informazione possibile. Solo così potrà cadere un castello immane di menzogne che ha oppresso le generazioni che si sono succedute in un dopoguerra che in nulla è migliore dell’anteguerra.

E più non dico, ma inizio da questo momento ad osservare e monitorare meglio che posso ciò che succede e di cui mi giunge notizia. Cercherò anche di vedere il positivo e di ignorare la bassezza morale di chi pretende di bendarci ancora gli occhi. La nostra non è e non vuole essere una forma giornalistica di informazione, suppletiva dell’informazione che non c’è, ma il tentativo di pensare e raggiungere quella comprensione della quotidianità, del nostro presente, del nostro tempo, che ci viene occultata e che è la causa e la tecnica del nostro essere servi in una democrazia formale sempre più povera di contenuti.

Uno dei topoi di cui assai spesso si nutre la propaganda di Israele è l’uso del termine “terrorista”, “terrorismo” e simili. Gli altri, tutti gli altri, il mondo intero è “terrorista” a fronte di coloni invasori che avevano in mente la pulizia etnica della Palestina assai prima della prima e della seconda guerra mondiale, nei cui eventi si sono abilmente inseriti. È inutile ed ingenuo aspettarsi ravvedimenti da chi ha sempre avuto avuto di spogliare altri dei suoi averi, della sua terra e della sua vita e dignità. Qui il “dialogo” è una colpevole e controproducente ingenuità. Sanno bene costoro che insieme con i proiettili, insieme con le bombe e tutti gli altri sempre più sofisticati ordini di morte devono anche scaricare una menzogna sistematica sulle vittime e sui terzi più o meno estranei, neutri o ignari. Ma la forza dei semplici cittadini, che non hanno potere e sono spesso manipolati dai loro rappresentanti eletti, è tutta nella limpidezza di un giudizio etico e morale che non lascia margini a dubbi su chi è il carnefice, l’aggressore, il colono, il genocidario e la vittima che ancora simbolicamente e realisticamente conserva le chiavi di una casa da cui fu scacciato in spregio a tutte le leggi naturali e civili, divine ed umane.

Gli uomini che salgono nuovamente sulle navi della Flotilla sono armati di niente altro che dei loro profondi convincimenti morali che gridano al mondo intero. Non vi è scampo! O si sta da una parte o si sta dall’altra. La farsa della ripresa dei colloqui di pace è l’ennesima presa in giro. Vi è poco da aspettarsi da un fantoccio come Abu Mazen tenuto in piedi perché firmi ciò che gli verrà messo davanti. Tutto ciò non ha niente a che fare con la pace vera che non può essere disgiunta dalla giustizia e dalla verità. Non è pensabile nessuna pace con l’invasore che ti sta in casa e ti mette i piedi in faccia, ti ammazza ed umilia ogni giorno e pretende da te una completa e masochistica abdicazione dal tuo essere uomo. Si è parlato di “scimmie”. In effetti, costoro vogliono far retrocedere gli uomini alla condizione di scimmie.

Noi che non siamo palestinesi e che viviamo sotto il tallone di 101 basi americane sappiamo quali sono i giochi che si cercano ancora una volta di imbastire e diciamo semplicemente e candidamente: no! No all’inganno, no alla prepotenza, no all’umiliazione dei deboli, no all’uccisione continua e nascosta di vittime innumerevoli, no alla prigione a cielo aperto di Gaza, no ai campi profughi, no all’uso strumentale della Shoah, no all’imprigionamento di quanti hanno diverse vedute su una Verità di regime che non può essere discussa, no ai pregiudizi ebraici assunti come metri oggettivi di giudizio, no a tutti i propagandisti che negano il nostro diritto di pensarla diversamente sulla base di fatti oggettivi ed indiscutibili, no ai gazettisti di regime ed alle tv di stato, no a talk show dei soliti imbonitori e mentitori, no ai ministri con doppio passaporto, no agli opportunisti ed infami, no ai traditori della patria ed ai fomentatori di guerre fra i popoli, no agli esportari di “democrazia” e di “diritti umani” che non hanno nessuna cognizione di cosa sia “democrazia” e “diritto” e che negano ai loro stessi popoli ogni vera democrazia ed ogni vero diritto. Basta con questi mentitori che sanno di mentire e sanno pure che noi sappiamo che loro mentono, confidando nella nostra impotenza. No a chi pretende di denunciare nei loro avversari un «odio» che è invece tutto e profondamente loro: non hanno nessuna idea e volontà di amore e di pace, ma attribuiscono agli altri perfino un «odio verso se stesso”, quando sono ebrei che non possono essere tacciati di “antisemitismo” e deridono quanti veramente e sinceramente cercano quella pace che non hanno mai voluto e che è intrinsecamente contraria alla loro natura.

sabato 3 luglio 2010

Freschi di stampa: 46. Régis Debray: «Á un ami israélien, avec une réponse d’Èlie Barnavi» (Flammarion, 2010).

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Appena dopo aver scritto di getto sul libro di Giorgio Israel trovo opportuno dire qualcosa di un altro libro, sempre di un ebreo, ordinato direttamente dalla Francia, dove pare il libro abbia suscitato un forte dibattito, e la cui lettura ho condotta quasi per metà. Ne voglio dire giusto qualcosa per far capire che non oriento le mie letture verso libri che rafforzino i miei pregiudizi, se ne ho e se non riesco a liberarmene. Chi cerca solo la verità non ha nessun interesse ad essere preda di pregiudizi. Vi sono poi persone – e sono tante – che coltivano per professione la menzogna ed il cui lavoro consiste consapevolmente nell’inganno del prossimo. Mentre ho sto faticando a giungere alla fine del libretto di Debray di appena 150 paginette ho invece terminato più speditamente il più recente libro italiano di Noam Chomsky, pure lui ebreo, autore di un ultimo volume dal titolo “Stati falliti”, di cui parlo altrove. Mentre in Chomsky trovo un “pensiero”, faccio fatica a trovarlo in Debray, forse perché il mio francese non mi è familiare come l’italiano, che resta la mia lingua principale, anche se oramai è poco più di un dialetto, dove si trovano poche fonti documentarie. Che tristezza!

Ma torniamo a Debray ed al titolo del libro che ricordo altro titolo analogo: La lettera ad un amico di Sergio Romano. Sembra che sia una sorta di assicurazione contro gli infortuni che possono capitare di questi tempi quella di avere almeno un “amico” ebreo o israeliano. Ahimè io non ne nessuno. Ho solo “nemici” da quella parte. La mia gravissima colpa è di essere indipendente e refrattario ad ogni loro propaganda. Per il resto, ad esempio leggendo libri, mi è del tutto indifferente che l’autore sia o non sia ebreo: conta per me solo ciò che dice e la forza dei suoi argomenti. Del pari, non ricordo in vita mia di aver mai discriminato una persona persona per il solo fatto di essere o non essere ebrea, americana, francese, equimese, abruzzese... Ma devo anche dire, ad onor del vero, che dopo gli attacchi subiti evito di aver rapporti con ebrei o israeliani. Se questo sia “antisemitismo” non saprei. Resta il fatto che sono loro ad avermi fatto del male e non io ad averlo fatto loro. La difesa da chi ha dimostrato di volerci male è legittima, anche se bisogna stare attenti a non cadere nel pregiudizio.

Mentre con Chomsky mi accorgo di apprendere qualcosa e di acquisire concetti che mi tornano utili, non ho avuto nessuna sensazione simile procedendo a fatica nella lettura di Debray. Direi che il suo libretto, se ha un senso, esprime semplicemente un disagio esistenziale all’interno dell’identità ebraica. Ma un disagio diverso da quello di un Avraham Burg, che pur restando ebreo, ha ben compreso a mio avviso tutto il rischio di uno schiacciamente dell’identità ebraica sul sionismo e sulla Shoah come mito fondativo dell’identità ebraico-israeliana. Proprio sulla Shoah mi ha appena infastidito una pagina di Debray, dove mi sembra che l’illustre personaggio non abbia capito nulla, a differenza di non pochi altri suoi “correligionari” o come altrimenti occorra dire.

A me della Shoah, per la verità, interessa poco ed ho appreso a mie spese che è meglio non occuparsene e lasciare che chi vuole ne celebri i riti ed i miti. Basta che a me mi lascino in pace e non pretendano professione di fede, come usava ai tempi dei processi per stregoneria, o quando la religione era l’ideologia ufficiale di uno stato. Ciò che invece mi interessa e mi inquieta grandemente è che milioni di persone si trovino negato il loro diritto di svolgere critica storica e di affrontare un libero contradditorio su temi, la cui veridicità può basarsi su fonti documentarie e sulla discussione critica delle fonti primarie e letterarie. Se è vero, come pare sia vero, che l’opera principe su questa problematica sia il libro di Raul Hilberg e che tutto il resto, come dice Finkelstein, sia paccottiglia da supermercato, stancamente ripetitiva ed ideologica, allora è inconcepibile che un autore come Jürgen Graf, autore di un piccolo ma denso libro dal titolo “Il gigante dai piedi di argilla”, cioè un libro di critica alle tesi di Hilberg, debba vivere il esilio in Russia per la sola colpa di aver scritto questo libro. Per me ciò è semplicemente mostruoso e poco mi interessa se abbia scientificamente ragione Graf o Hilberg. Il principio della libertà di pensiero e di espressione dovrebbe essere il cardine della nostra democrazia.

Ciò a ben compreso Noam Chomsky in una sua difesa di Faurisson. Non dimostra di averlo capito Debray che poi cita a suo sostegno nient’altro che un Naquet-Vidal, della cui superficialità mi sono occupato, ma su cui ho ancora in programma di ritornare. Insomma, come filosofo del diritto, la mia battaglia è che la libertà di pensiero e di critica viene assai prima ed è più importante di qualsiasi Shoah, che per me in ogni caso non è la Tragedia per antonomasia. Ve ne sono di più grandi e certamente la “pulizia etnica” ed il “genocidio” del popolo palestinese è ben più grave delle ragioni che i coloni israeliani adducono come loro diritto a rendere a terzi innocenti il male che dicono di aver ricevuto da altri. Tutto ciò perme cozza contro il più elementare principio di logica e di giustizia al tempo stesso. Ma a capire questo sono in primo luogo non pochi “ebrei”, come Chomsky, Burg, Atzmon, Rabkin e tanti altri, i cui libri leggo con interesse ed a preferenza di altri sullo stesso tema.

Per fortuna, il libretto di Debray è mi è costato appena 12 euro rispetto ai 29 spesi per un libro inutile ed irritante come quello di Giorgio Israel, la cui utilità è solo quella di avere un documento di quello che passa come un “eccelso sionista”. Se è il massimo che si possa trovare sulla piazza italiana, allora non occorre affaticarsi a trovare altri documentazione con la quale doversi misurare criticamente. Via via che si cresce in un certo ordine di conoscenze – e di questo campo mi occupo solo da qualche anno e spero di non dovermene occupare oltre, chiariti a me stesso alcuni concetti essenziali. Si chiama ciò “fare i conti”, per usare un’espressione dello stesso Giorgio Israel. Ogni intellettuale fa concettualmente i conti con quelli che ritiene suoi “avversari” se non addirittura “nemici” esistenziali. Ma questi sono concetti delicati e pericolosi che bisogna rinviare ad altra sede.

Per chiudere con Debray, salvo ritornarvi in prosieguo di lettura, riprendo un concetto che avrei già dovuto utilizzare per Monforte, dove il discorso è rimasto interrotto. Nessuno può pretendere di toglierci il nostro passato storico, la nostra memoria, introducendovene una stabilita dal regime. La ricostruzione del proprio passato personale o del passato storico della comunità entro cui si è nati e alla cui sorte si è inscindibilmente legati è espressione della nostra libertà e del nostro cammino verso la conoscenza e la verità. Le classi politiche che si sono insediate al potere dopo la sconfitta bellica non sono state capaci di produrre una loro propria legittimazione. Credono di poterla ottenere con la demonizzazione (il «Male assoluto») di quanti li hanno preceduti nella gestione del potere. Possono aver commesso tutti gli errori ed avere tutte le colpe che si vogliono, ma almeno erano indipendenti. Il ceto politico attuale ha le stesse colpe, forse anche di più gravi, ma non è più indipendente e la sua “cupidigia di servilismo” era già parsa chiara a pochi anni dalla sconfitto ad un politico intelligente ed esperto come Vittorio Emanuele Orlando.

Il caso Faurisson, noto a molti come se fosse un caso singolo, è invece esemplificativo di milioni di casi simili. Mi sono lanciato in una stima di 200.000 persone per la sola Germania dal 1994 ad oggi, ma bisognerebbe avere statistiche certe ed aggiornate per ogni paese d’Europa. Attualmente sono circa 13 i paesi europei dove vige una legislazione liberticida, il cui mandante è lo stato di Israele che ha fatto partire il suo ordine di scuderia nel 1986. Pretendeva perfino una sorta di giurisdizione universale per la quale ogni cittadino del mondo avrebbe potuto essere rapito dal Mossad e portato in Israele per espiare la mera colpa di aver pensato fuori dai canoni impartiti. Evidentemente Debray avverte il disagio di questo essere ebrei oggi ed esserlo in questo modo. Ma non ha ancora raggiunto la lucidità intellettuali di uno Chomsky o anche di un Avraham Burg. Sono affari loro e noi non-ebrei dovremmo avere pure il diritto di occuparci della nostra identità in un mondo che tenta in ogni modo di spersonalizzarci e di trasformarci in atomi sociali eterodiretti.

Per quanto riguarda Israele ed ogni “amico israeliano” non importa di chi il discorso mi sembra alquanto semplice. Se dovessimo seguire il criterio di Chomsky, cioè di voler cercare ad ogni costo Verità e Giustizia, non è difficile riconoscere una sostanziale “illegittimità” di tutta quella costruzione che è stata edificata con la forza e la sopraffazione da oltre un secolo a questa parte e che oggi è lo stato di Israele, che blatera sul suo strano “diritto all’esistenza”, un diritto che normalmente nessun essere che esiste pensa di dover reclamare. La verità è che una simile pretesa nasconde in sé la consapevolezza della propria illegittimità, della propria natura violenta e sopraffatrice. Si è vorrebbe essere rassicurati per i propri crimini. Orbene, un conto è l‘azione diplomatica degli stati che devono soggiacere al principio di effettività ed all’occorrenza trattare con briganti e malfattori di ogni genere, dopo beninteso averli riconosciuti e data loro un’eguale dignità di pari; altra cosa è quella verità che ogni essere pensante ed indipendente è capace di attingere con le sue proprie libere forze. L’immagine che ne viene fuori di Israele e del sionismo è assolutamente negativa. Se per malaugurata ipotesi, gli Israeliani (ed anche “l’amico israeliano” di Debray) riuscissero a cancellare dalla faccia della terra ogni palestinese, sia uccidendolo fisicamente sia disperdendolo in campi profugo sparsi per il mondo o in riserve indiane in quella farsa di cui tanto si parla e che sarebbe uno “stato palestinese”, non per questo cesserebbe o diminuerebbe quell’immagine negativa che risulta da una coscienza umana libera, indipendente e informata. Anche oggi noi riusciamo a mantenere intatto il nostro giudizio a distanza di secoli. Come non considerare un crimine immane la scomparsa ed il genocidio degli indiani d’America e come considerare diversamente i crimini del colonialismo europeo, che non ha lasciato nulla di buono dietro di se ma solo un pessimo ricordo che trova concordi tutti gli storici indipendenti?

Da qui un insanabile deficit di legittimità di Israel, un deficit che si allarga quanto più quel regime si mantiene su una forza brutale, su armi sofisticate che altri non possiedono per poter combattere su un piano di parità militare. Da qui un disagio esistenziale inevitabile per quanti non sono legati mani e piedi al maltolto e al delitto. È questo il vero senso, credo, del discorso di Ahmadinejad che parla di “implosione” dello stato di Israele, privo di ogni fondamento di giustizia ed umanità. E quanto più gli stati daranno copertura ad una illegittimità sempre più manifesta tanto più indeboliranno le loro stesse basi di legittimità ed appariranno complici e colpevoli agli occhi dei loro popoli, che non potranno ingannare indefinitamente. Quanto poi all’essere ebreo tocca ad ogni ebreo che si dica e riconosca tale se vuole egli identicarsi o meno con quella mostruosa costruzione, con un vero Stato “criminale” nell’accezione di Jaspers. Forse, ed è stato detto, Israele è la peggiore disgrazia che gli ebrei abbiano avuto nel corso di tutta la loro storia. A stare a sentire Chomsky, che in questo diverge da altre analisi, Israele dipende interamente dagli USA, come in passato ha cavalcato l’Inghilterra e la Russia di Stalin. Il giorno in cui gli USA dovessero ritirarsi dal Medio oriente, come si è già ritirato l’Impero Britannico, allora per Israele sarebbe proprio finità, ma disponendo di atomica ed essendo tutti matti da quelle parti, avendo cioè un modo di ragionare tutto peculiare, è da temere fortemente per le sorti dell’umanità tutta. Dove sta scritto: “Muoia Sansone con tutti i Filistei”? Bisognerebbe incominciare a denuclearizzare proprio Israele, non l’Iran che non possiede nessuna atomica e contro il quale si va cercando lo stesso pretesto, la stessa menzogna che abbiamo visto con i falsi armamenti di Saddam. Ci hanno mentito spudoratamente, ma sono e restano ancora saldamente al potere. Questa è la nostra cosiddetta democrazia, che pretendiamo di esportare altrove!

Delenda: 45. Giorgio Israel: «Il fascismo e la razza. La scienza italiana e le politiche razziali del regime» (2010).

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Li abbiamo appena spesi 29 euro e ce ne duole molto. Non annoierò i miei fedeli Lettori con la descrizione dello stato delle mie finanze e con la mia politica di acquisti librari, mentre ai Censori e detrattori che tengono in osservazione questo blog offro tuttavia un esempio di come io leggo specialmente i libri che non condivido o di cui non amo gli autori. In questo caso l’autore è un «eccelso sionista»: una qualifica che si trova in un sito di bieca propagaganda sionista, dove Israel Giorgio, da noi detto Giorgino, collabora attivamente. Vi fu al riguardo una polemica con Piergiorgio Odifreddi che avevamo seguito e dove eravamo intervenuti, a difesa di Odifreddi, ma senza essere stati nominati avvocati difensori. Ci si potrebbe chiedere perché uno debba mai perdere il suo tempo con autori che gli sono decisamente non congeniali e che producono perfino irritazione. La risposta è qui subito data dai libri di ben altro ebreo, cioè Noam Chomsky, che scrissi fra gli altri un libro non recente, «La fabbrica del consenso», che ho pure comprato a minor prezzo e senza rimpianto per il denaro speso. Ne parlerò in seguito.

Vale qui la pena osservare, in limine, come entrambi Israel e Chomsky siano degli “ebrei”, ammesso e non concesso che esista una definizione univoca di cosa sia un “ebreo”. A questo riguardo, se non ricordo male, la risposta che un rabbino dava alla domanda del perché della circoncisione era la seguente: per distingerci dagli altri! Solo per essere distinti dagli altri, evidentemente una massa immonda di idolatri con la quale è bene non confondersi. Inutile a cercare sottigliezze filosofiche e teologiche: non ve ne sono. Non ho mai visto un pene circonciso e non ho mai assistito alla circoncisione. Ho letto invece di una superstizione ebraica riportata da Giulio Morosini, di cui non ho le risorse finanziarie per editare il testo. A Morosini ha largamente attinto Ariel Toaff. Ebbene, vi si legge di donne ebraiche sterili che ingoiavano i residui della circoncisione credendo in questo modo di trovare una cura per la loro sterilità. Se questa era una superstizione dell’epoca, si può ben credere che non fosse la sola. Ma qui chiudiamo subito la digressione per non entrare nel merito della prima edizione di Ariel Toaff, da noi acquisita prima della liberalissima purga e della ritrattazione cui sembra l’autore sia stato costretto.

Il filo del discorso resta invece sulla necessità tutta ebraica, ed unicamente ebraica, di mantenere una rigida ed assoluta distinzione da tutta la restante umanità. È un dato dal quale si dovrebbe sempre partire quando si parla di razzismo, discriminazione, persecuzione, genocidio e simili. Mentre vi è stata e continua ad esservi una campagna feroce su alcuni luoghi della liturgia cattolica dove si parla di ebrei, e si prega per la loro conversione, è invece prodotta artificialmente e volutamente un muro di mistero sulla liturgia ebraica dove si menzionano i cristiani, il cristianesimo, la madonna, ma anche la restante restante umanità, quella dei goym, non se la passa bene...

Riprendiamo, dunque, con alcuni concetti generali, che illustremo poi nel dettaglio. Alla tesi sostenute dall’«eccelso sionista» si può obiettare che in senso proprio non esiste una possibilità etica del razzismo, di nessun razzismo fra esseri umani, nel senso che l’uomo è e resta sempre uomo per un altro uomo. La migliore dimostrazione di ciò in tutte le epoche, in tutti i paesi, in tutte le società anche le più chiuse e castali, è la invincibile attrazione dei sessi. Non si è mai sentito dire che un uomo davanti ad una Venere a lui disponibile abbia preferito congiungersi carnalmente con un cavallo o una gallina. È però ben vero, oggi ancor più di ieri, che gli uomini possono essere assai ostili gli uni agli altri. Il mito di Caino, fratello maggiore, e di Abele ricorre anche nella mitologia ebraica.

Se l’uomo schiavizza un altro uomo, lo offende, lo umilia, deve cercarsene una ragione non nella “razza”, cioè nel non essere un uomo appunto un uomo ma una sorta di cavallo su due piedi, bensì si deve esplorare la storia, l’economia, la religione e quanto altro possa servire a spiegare perché gli uomini da quando esistono si sono sempre fatti reciprocamente la guerra ed hanno sempre cercato di prevalere gli uni sugli altri, magari nascostamente ed ipocritcamente. La capacità di mentire e di simulare, l’ipocrisia, è una caratteristica tutta peculiare del genere umano. Per chi poi è stato educato religiosamente non sul Talmud ma sul Vangelo è familiare la costante polemica contro l’ipocrisia farisaica. Non possiamo qui aprire una nuova ampia digressione, ma a nostro avviso il rapporto fra cristianesimo ed ebraismo è stato ed è di assoluta opposizione: il primo è il superamento teologico del secondo e non può convivere con esso allo stesso modo il cui la farfalla si è lasciata dietro di sé la larva da cui ha tratto origine. Il connubio “giudaico-cristiano” della nostra epoca è solo un segno della confusione e della manipolazione cui siamo soggetti. Naturalmente, la distinzione e l’irriducibile opposizione teologica non comporta e non giustifica nessuna forma di violenza fisica o di persecuzione.

Non vi è bisogno di una grande ricerca per constatare come da più di un secolo a questa parte il sionismo ovvero l’ebraismo sionista abbia investitito capitali immensi nel controllo delle strutture politica e dei canali di informazione e di formazione. Il libro di Giorgino Israel rientra perfettamente in questo filone ideologico che ci vuol persuadere della indegnità del nostro passato, della malvagità dei nostri padri e perfino di tutti i nostri avi da tremila anni a questa parte. A questo riguarda un altro ebreo, Bernard Lazare, faceva un’osservazione di una semplicità disarmante: se in tremila anni, presso tutti i popoli al cui contatto si sono trovati, sotto ogni latitudine, gli ebrei – caratterizzati dalla loro peculiare filosofia religiosa che li poneva in peculiari rapporti con tutti gli altri uomini – hanno suscitato ostilità verso di loro, sarebbe forse il caso di porsi qualche interrogativo su se stessi. Se entro in uno stanza e pretendo di essere il più bello, il più intelligente, un “eccelso”, è quasi inevitabile che io mi procuri qualche antipatia, cosa ben diversa da quell’«odio» che la propaganda sionista sfrutta ad ogni pie’ sospinto come fosse una risorsa petrolifera con la quale muovere tutti i macchinari, tutte le rotative di stampa, tutti i megafoni e tutti i pappagalli di regime.

Se proprio si vuole oggi identificare l’ebraismo con il sionismo e lo stato di Israele, non è per nulla difficile constatare come questo abbia superato di gran lunga tutta la negatitività che si attribuisce a fascismo e nazismo: per durata (oltre un secolo a fronte di qualche decennio), per intensità (da Gaza e Piombo Fuso risalendo indietro nel tempo sui semplici fatti noti, ben sapendo che vi è un Ignoto ancora più inquietante), per intenzionalità. A quest’ultimo riguardo si può trovare nel web una registrazione dello stesso Giorgio Israel, dove egli pretende che sia cosa legittima la pulizia etnica del 1948 ed il rifiuto ai profughi palestinesi del diritto al ritorno nelle loro case. Questa è ideologia della più becera. Quanto all’esistenza di un diffuso razzismo nello stato di Israele, proprio oggi nel 2010, è cosa che è riconosciuta dallo stesso Giorgino, che parla di razzismo a proposito di discriminazioni scolastiche in Israele. E dunque?

In effetti, è un quesito interessanti chiedersi come mai siano state emanate le leggi fasciste a difesa della razza. Essendo passato molto tempo sarebbe saggio deporre ogni forma di condanna demonizzante ed ipocrita per cercare di capire il nostro passato storico. Personalmente, trovo poco convincente nel 1938 spiegare le leggi fascite come il risultato di un’influenza da parte del nazismo. Ancora meno convincente una sorta di spiegazione metafisica per cui il fascismo sarebbe il Male mentre invece l’ebraismo avrebbe costituito il Bene, e dunque la spiegazione sarebbe la classica contrapposizione di Bene e Male. Credo che si debba indagare sulla nuova percezione in Italia del sionismo subito dopo la guerra di Spagna.

Una nota ancora su quella che un altro ebreo, diverso da Giorgio Israel, di nome Norman G. Finkelstein, chiama l’«Industria dell’Olocausto». La propaganda tace il fatto che nella sola Germania dal 1994 ad oggi ammontino a circa 200.000 i casi di persone che sono state penalmente perseguite per avere loro proprio opinioni sull’esatto svolgimento di alcuni episodi della seconda guerra mendiale, relativi alle deportazioni e ai campi di prigionia, dove erano rinchiusi non solo ebrei. Vengono tacciati di “negazionisti”, allo stesso modo in cui in altre epoche esistevano le “streghe”, gli “eretici”, gli “untori”, ecc. È facile osservare che se non si vuol lasciar lavorare liberamente uno storico, si può sempre filosoficamente chiedere: ma perché sarebbe avvenuto ciò che si pretende per legge sia avvenuto, cioè la «intenzionalità» di un “genocidio”? È trascurabile dettaglio il numero delle vittime o il modo in cui le vittime siano state eliminate.

Sorge facilmente il sospetto – ed è la tesi di Finkelstein – che si voglia costruire la propria esistenza ed il proprio benessere, nonchè un vero e proprio regime di privilegio, sulla base di una Colpa che si getta sugli altri e che è fonte incessante di lucro. In ultimo, anche le ferrovie francesi sono state chiamate e versare danari per la sola colpa di aver trasportato i detenuti verso i campi di prigionia tedeschi. In Roma, dove le scuole cadono a pezzi, l’opportunista Alemanno ha concesso oltre 13 milioni di euro per un nuovo scempio urbanistico ed un nuovo monumento all’ideologia di regime. Se proprio sarà inevitabile e dovremo rassegnarci al malgoverno ed alle angherie di regime, vogliamo almeno sperare che nel costruendo museo romano della Shoah accanto ai nomi delle vittime – verso le quali la pietà è fuori discussione – sia fatto anche il nome deo perseguitati per reati di opinione, il cui numero a livello europeo si può stimare che supererà largamente i fatidici sei milioni di vittime perseguitate, se già non è stato superato. Si ricordi che i vincitori della seconda guerra mondiale hanno giustificato il merito della loro vittoria e la convenzienza per noi ad accettarla sulla base di un principio che sarebbe stato negato dai regimi vinti: la libertà di pensiero e di espressione. Se ci basiamo machiavellicamente sulla lezione dei fatti, non sembra proprio che le cose stiano così.

E veniamo infine al libro che bisogna pur leggere, avendo speso ben 29 euro. L’inizio non poteva essere più irritante e non è la prima volta che ho questa sensazione con questo genere di libri. Ricordo il caso di un libro di altro eccelso sionista, Furio Colombo, che partiva pure lui con una citazione che mi ha impedito da allora di andare oltre nella lettura, rinviata ad una migliore condizione spirituale, ma non abbandonata, essendo quella della critica e della demistificazione un mio obbligo deontologico. Anche qui mi irrita una citazione, per la verità di un’autore a me ignoto, ma che per scrupolo filologico andrò a vedere più estesamente: tal André Neher, che nel 2006 usciva con un libro da Marietti. Anche qui si parte dal postulato dell’«antisemitismo», di cui ormai è vano sperare una defizione oggettiva. Esso è in pratica un titolo di reato in bianco, una sorta di lettre de cachet, la cui discrezione assoluta è consegnata nelle mani delle associazioni ebraiche registrate, non di ogni ebreo. Basta che questi signori puntino il dito contro chiunque non sia loro gradito perché il malcapito sia dapprima costretto goffamente a difendersi da un crimine che neppure comprende, ma anche ciò non lo esimerà dal carcere, che in Germania ha già interessato ben 200.000 persone, se possiamo basarci su questa stima in assenza di dati che non vengono resi ufficialmente noti.

A confutazione dell’assurda citazione e delle sue gratuite affermazioni basta richiamare ancora una volta il segreto di Pulcinella: Israele possiede oltre 200 testate atomiche ed ognuno di noi può ben temere di essere colto dalla morte mentre sta ancora dormendo, come son morte le nove persone della Mavi Marmara, colte di sorpresa nottetempo e come se non bastasse diffamati da morte in quanto falsi pacifisti, terroristi mascherati e simili. I killer venuti dal cielo si difendevano mentre sparavano a gente inerme: per essere sicuri che fossero morti li hanno crivellati ciascuno con almeno cinque colpi. A Napoli, con espressione poco elegante e salottiera, ma assai efficace, si dice: “chiagni e fotti”, “fai finta di lamentarti e truffa ed inganna i fessi che ti capitano a tiro”. È questo il leit-motiv di tutta una letteratura da supermarket e di una filmistica industriale che non ci lascia tregua neppure un attimo, da quando ci svegliamo a quando ci addormientiamo con il televisore acceso.

L’assurdità dell’accusa di “antisemitismo” è ormai fortunamente un’arma spuntata che può ingannare solo chi si vuol lasciare ingannare o ha interesse a prendere per buona un’accusa assurda e priva di qualsiasi contenuto concreto. Oltre alla sua mancanza di oggettività definitoria essa elude la definizione stessa del “semita”. Se tutti noi saremmo “antisemiti”, volete dirci almeno chi sarebbero i “semiti”? Il buon senso e la cultura elementare ci dice che semiti sono innanzitutto se non esclusivamente i “palestinesi” ed in questo caso ad essere contro di loro, dunque “antisemiti” sono proprio gli israeliani, ossia quella disparata aggregazione di individui che sono sbarcati in Israele da ben 104 diversi paesi, lì attirati dalla promessa di una casa – tolta agli indigeni –, di un lavoro e di ogni possibile assistenza a titolo gratuito. Venite ed occupate questa terra, purché siate disposti a toglierla ai loro legittimi abitanti ed a difenderla con la “pulizia etnica” ed il “genocidio” subdolo e programmato. Non sono io a dire queste cose, ma due ebrei che non potendo essere tacciati di “antisemitismo” vengono invece gratificati di una categoria concettuale di nuovo conio: “gli ebrei che odiano se stessi”, in pratica per non essere disposti ad accettare come termini equivalente ed intercambiabili quelli di “sionista” ed “ebreo”. Mi riferisco a Ilan Pappe, che con il suo ultimo libro “La pulizia etnica della Palestina” ha divulgato presso un più vasto pubblico cose già note ed incontestabili presso la gente dabbene. Invece, un altro ebreo di nome Shlomo Sand svela come fu “inventato” in popoloo ebreo nella congerie naziolistica della seconda metà del XIX secolo. Pare poi che la genetica faccia giustizia della pretesa degli attuali abitanti di Israele di essere tutti discendenti di quanti abitavano sul territorio circa duemila anni fa, all’epoca della distruzione del Tempio ad opera di Tito. Non vi fu allora nessuna deportazione di massa e verosimilmente gli attuali palestinesi sono i più diretti discendenti di quella popolazione. In realtà, gli attuali abitanti di Israele sono in larga parte discendendenti dei Kazari e non hanno mai avuto nessun rapporto con il territorio. Ma se anche fosse, sarebbe assurdo far valere diritti di qualsiasi genere dopo 2000 anni. In nome di che? Della religione ebraica? Quale religione ebraica? Di quella che prescrive anche alle donne ebraiche il burchina, una variante del Burka islamico? O la religione ebraica dei Neturei Karta, che come ben descrive l’ebreo Yacob Rabkin, dicono essere assolutamente inconciliabili ed opposti il giudaismo e il sionismo?

Se poi sostituiscono l’indifendibile accusa di “antisemitismo” con quella di “antiebraismo”, le cose non cambiano di molto perché non esiste unicità nell’uso del termine “ebreo”. Rinvio ad un libro uscito da poco ed appena letto e di cui ho qui parlato: il libro di Monforte dove si descrive come Israele sia attualmente lo stato più razzista che esista nel pianeta. In realtà, tutti questi autori, come Israel e le sue fonti, confidano nella tecnica martellante della propaganda per inculcarci quei “pregiudizi” che tornano loro utili e che non possono essere confutati e demistificati perché forti delle loro lobbies parlamentari comminano il carcere, la repressione e la “gogna” mediatica a chiunque sia restio a lasciarsi persuadere dalle loro enormità che cozzano contro il più elementare senso comune.

E non ho ancora neppure incominciato a leggere il libro, costato ben 29 euro. Già la citazione di avvia mi ha fatto scrivere tutte queste parole. Il Lettore può calcolare che se un libro è tale perché costa di almeno 200 pagine semplicemente stampate su carta e che quindi appaiono alla vista per la sua rilegatura e la sua forma grafica, qui io ho già ben scritto un libro che in proporzione supera per numero di pagine quello dello stesso Giorgio Israel, che evidentemente è soddisfatto di aver prodotto un oggetto materiale che si chiama libro, che si vende nelle librerie e che può andare in catalogo nelle biblioteche. Si è assicurato l’immortalità e molto probabilmente numerosi premi letterari, con i quali l’associazionismo ebraico, uscito ricco dall’«Industria dell’Olocausto», finanzia sempre nuove attività ed iniziative. “La pubblicità è l’anima del commercio”, dice un noto adagio.

Hic et nunc. Se vogliamo essere oggettivi di “sterminio” al momento possiamo osservare solo quello che gli israeliani vanno facendo del popolo palestinese: uno sterminio continuo che è iniziato concettualmente ancora prima che il demoniaco Hitler fosse nato. Per averne la cronca anno per anno rinviamo ad una nostra apposita documentazione, tratta dalla rivista Oriente Moderno, che nel 1921 – prima di fascismo e nazismo – iniziava le sue pubblicazioni, facendo vedere come il sionismo ed il processo di spossessamento e pulizia etnica del popolo palestinese fosse già iniziato da diversi decenni. È interessante un libro di Tom Segev, di cui parla Israel Shamir, dove si indaga sulla base di fonti diplomatiche circa le vere ragioni per le quali fu emessa la nota dichiazione Balfour. Negli ultimi tempi per superare alcune situazioni delicate è in voga la distinzione fra “realtà” e “percezione della realtà”. Se la diplomazia inglese dell’epoca era così inetta da non riuscire a conoscere la realtà effettiva delle relazioni internazionali, aveva comunque la “percezione” di un potere ebraico che poco si distingueva dai falsi, ripeto: falsi, “Protocolli”, ed era convinta che la lobby ebraica statunitense fosse in grado di determinare l’intervento degli USA nella prima guerra mondiale. Dopodichè abbiamo una chiave, non sia mai per giustificare, ma almeno per comprendere le correnti “antisemite” o “antisioniste” o “antiebraiche” che si erano prodotte nella Germania di quegli anni, che vedeva volantini ebraici che cadevano durante la prima guerra mondiale sulle armate tedesche in ritirata e che agli inizi del nazismo dichiaravano guerra alla Germania ed il boicottaggio della sua economia. Tutte queste cose si dimenticano facilmente o non si trova studioso che sia disposto a documentarle e divulgarle. Si preferisce fare ricorso a categorie demonologiche per spiegare la storia in un’epoca in cui parrebbe che il progresso scientifico e tecnologico abbia fatte conquiste inimmaginabili appena poche generazioni fa. Nelle scienze storiche siamo ancora rimasti all’epoca del processo alle streghe, o meglio si vuole che lo stato ufficiale e pubblico del sapere storico sia a questi livelli.

(segue)

PS. - Per i miei fedeli Lettori, quelli sinceramente interessati e partecipi delle mie riflessioni, non per le spie e i Gatti d’Italia e d’Israele, con la cui “osservazione” debo abituarmi a convivere, ripeto quanto ho detto numerose volte: queste non sono recensioni in senso tecnico, fatte per la carta stampata, ma sono note e riflessioni in margine alla lettura del testo indicato. Compatibilmente con i miei interessi quotidiani e con il tempo disponibile, la scrittura è interrotta e ripresa di volta in volta senza un calendario prefissato. Ho definito il mio scrivere una ‘scrittura sull’acqua’, anche per quanto riguarda la forma, cangiante e migliorabile. E non apro a questo riguardo digressioni a proposito del mio stile, rispondendo a critiche e denigrazioni che mi sono state fatte. Del resto, non intendo candidarmi al premio Nobel per la letteratura e se non ricordo male a questo proposito un altro ebreo, che certamente non ho mai “odiato” come mai ho del resto “odiato” nessuno, sia ebreo o meno, il quale diceva che l’eleganza è cosa che riguarda i calzolai. Era Einstein a dire ciò, ma non saprei trovare il luogo dove lo ha detto. Sono in effetti più interessato a fissare la sostanza dei concetti che mi passano per la mente e solo a cose finite ritengo valga poi la pena di curare la migliore forma letteraria possibile. La nostra epoca abbonda fin troppo di fini dicitori che sono tutta forma e niente sostanza. Anche le 400 e passa pagine di Israel rientrano in questa categoria. Non ne consiglio l’acquisto a chi non ne abbia particolare motivo.


giovedì 1 luglio 2010

Arcana: 44. Noam Chomsky: «Stati falliti. Abuso di potere e assalto alla democrazia in America» (2007).

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Di Noam Chomsky mi erano noti i testi di linguistica e di filosofia del linguaggio. Testi piuttosto difficili su una matera – la natura del linguaggio umano – già di per sé difficile. Ma forse è questa la migliore preparazione per poi passare ad indagare la natura del potere e l’essenza degli stati. Molto ci sarebbe da riflettere su questo libro di Chomsky, che ci ha invogliato a comprare tutti i suoi libri che abbiamo trovato in commercio e di cui parleremo singolarmente, salvo poi ritornarci sopra tutte le volte che ne avremo il tempo o ci parrà il caso. Tra questi annunciamo “La fabbrica del consenso”, “Capire il potere”, “Sulla nostra pelle”. Il Chomsky analisti o filosopo del potere mi appare non meno interessente e forse più comprensibile del Chomsky linguista, la cui lettura è peraltro assai remoto nel tempo.

Non mi sono note e poco adesso mi interessano le fonti giuridiche a cui Chomsky ha attinto, peraltro da lui dichiarate. Ma molto mi fa riflettere uno dei concetti centrali del libro: il principio di autoesenzione dal rispetto delle norme internazionali per un verso e per l’altro la fine dello stato di diritto e di ogni democrazia sostanziale all’interno. Parliamo degli Stati Uniti d’America, spesso e acriticamente indicati come la terra della democrazia e della libertà. Intanto, una terra ed un popolo che si è concimato sul genocidio della popolazione autoctona. Non pare un caso che si pensa di poter adottare lo stesso modello in Medio Oriente ed in particolare in Palestina: i palestinesi come gli indiani d’America, i pellerossa, stesso destino, stesso silenzio, stesso occultamento di cadaveri e di genocidio, o addirittura costruzione di un mito ed un’epopea – di cui tutti i popoli hanno bisogno – su un vero e proprio genocidio, spudoratamente propagandato da una filmistica di cui siamo stati tutti vittime. Abbiamo giocato tutti da bambini simulando lotte contro i pellerossa, dipinti come i selvaggi.

Le analisi che si trovano nel testo di Chomsky non sono meramente descrittive, ma aiutano a comprende il fenomeno nel suo farsi che è a noi ancora terribilmente attuale. Il libro è stato scritto ed è uscito in italiano nel 2007, ben prima dell’assalto alla Flotilla. Ma fa ben comprendere ciò che successo poche settimane fa ed i cui effetti non sono ancora cessati. Il caldo mentre scrivo è soffocante e tocca smettere, ma non prima di aver abbozzato un concetto che non mi stancherò di sviluppare ad ogni occasione che si presenterà. Se gli USA (e Israele) pensano di potersi sottrarre a qualsiasi rispetto di quelle norme che si sono sviluppate nel tempo e che vengono chiamate con il nome di diritto internazionale. A proposito di questa disciplina che ho studiato all’università ed in vari master ricordo di un docente che parlando di un libro appena uscito con il titolo “Il diritto internazionale e il principio di effettività” osserva che doveva esservi stato un errore di stampa. Il titolo corretto avrebbe dovuto essere: “Il diritto internazionale ossia il principio di effettività”. Voleva significare che non essere nessuna coazione al rispetto delle norme internazione, almeno nella stesso forma in cui può avvenire nel diritto interno.

Ma allora perché si è sviluppato un diritto internazionale e gli stati per il passato o per il presente a volte lo rispettano, altre no ovvero cercano tutti i modi di eluderlo? La spiegazione che io mi sono data è riconducibile ad Hobbes ed alla sua concezione della pluralità degli Stati come soggetti che vivono ed operano nello stato di natura, dove ognuno tenta di sopraffare l’altro. Vale anche nella relazioni internazionali la prima legge di natura che nella sua prima parte dice che occorre cercare con tutti i mezzi possibili la pace, perché solo questa ci dà la vera sicurezza. Gli stati vivono nel timore reciproco e sanno che conviene loro rispettare i patti contratti e le norme consolidate.

Per venire rapidamente a noi diciamo che questo modello salta quando esiste una sola superpotenza che non deve temere nessuno che abbia eguale potenza e per questo può imporre il suo arbitrio ed il suo capriccio. È ciò che succede nella nostra epoca con gli USa ed il suo pendant Israele, il cui esercito pretende addirittura di essere “il più morale del mondo”, anzi della Storia. Perché sia ristabilito un regime di norme rispettate da tutti è necessario che il mondo torni ad essere multipolare, non unipolare. L’utopia dello Stato Unico Mondiale si sta rivelando per quello che è: un regime di arbitrio e di tirannia, di genocidio e schiavitù e con la perversione del linguaggio (quanto è utile in questi casi una formazione linguistica e filologica come quella di Chomsky) anche un regime della Menzogna. Già Hobbes parlava del regno delle tenebre per indicare il sopravvento della menzogna.

(segue)

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