giovedì 13 febbraio 2014

Teodoro Klitsche de la Grange: Nuove riflessioni sulla “legalità che uccide”.

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1. Non è stata dedicata dai media alla motivazione della sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale  che una frazione modesta dell’attenzione tributata al dispositivo. Non appare vivace neanche il dibattito tra gli “addetti ai lavori”. Ed è un peccato perché la sentenza, nelle sue esternazioni – ed implicazioni – è tra le più interessanti della Corte, la quale nell’abbondanza di pronunce su “minutaglie” normative, non ha molte occasioni di occuparsi di materia costituzionale (in senso stretto), come il sistema d’elezione del Parlamento.  Tra i diversi punti che la sentenza solleva, è il caso di affrontarne uno.

Ed è quando la Corte scrive: “E’ evidente, infine, che la decisione che si assume, di annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte la normativa che disciplina  le elezioni per la Camere e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale  eventualmente adottata dalle Camere.

Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate,  compresi gli esiti delle elezioni svoltesi  e gli atti adottati dal Parlamento eletto. Vale appena di ricordare che il principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento di questa Corte, alla stregua dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio «che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della c.d. “retroattività” di dette sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del 1984).

Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti.

Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali.

Rileva nella specie il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un’astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento. E’ pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio – è appena il caso di ribadirlo – che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti «finchè non siano riunite le nuove Camere»… ”.

Detta motivazione, nella conclusione non contestabile, rende palese il fine di salvaguardare l’esistenza dell’organo-Parlamento, e di quelli dallo stesso “dipendenti”, dagli effetti che da una sentenza sull’invalidità della composizione delle camere, potevano (logicamente) trarsi.

2. Ossia, dal principio – generalissimo – della nullità derivata, ripetuto da millenni: quod nullum est nullum producit effectum (quindi, soprattutto quello di porre in essere altri atti validi); quod non est confirmari nequit; e nel diritto vigente richiamando in tanti testi vigenti (v. tra gli altri, art. 604, IV comma c.p.p.; art. 159 c.p.c.; art. 829 c.p.c.) e in ancor più numerose pronunce giudiziarie (1).

La nullità derivata si applica – in linea generale – anche per gli atti formati da organi (o uffici) non validamente costituiti (v. Cass. pen., 26/04/1989; 1; 2; 3).

Ne consegue, a voler applicare detto principio (generalissimo) che le Camere invalidamente elette e altrettanto invalidamente composte (ma tranquillamente agenti) avrebbero dovuto essere rispedite a casa, convocando nuove elezioni.

La Corte ha cercato in tutti i modi di evitare la conseguenza (ovvia) della propria decisione ricorrendo a delle giustificazioni legali poco plausibili, e ad una (non legale) sicuramente condivisibile.

Appartiene al novero delle prime il richiamo ai “rapporti esauriti” per la compiuta chiusura del procedimento elettorale, onde sarebbero salvaguardati gli atti successivi delle camere illegalmente elette e composte. In breve: un procedimento di elezione – o nomina – illegale dell’organo concluso rende legali gli atti dello stesso, proprio perché concluso.

Tutto il contrario di quanto emerge dal diritto passato, vigente (e vivente).

È corretto, al contrario, il richiamo al “principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un’astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali.

Perché è condivisibile, cosa ne consegue e dove porta? anche considerando la dottrina costituzionale?

Otto von Bismarck
3. Una delle difese più appassionate di quel principio – decisivo per la storia europea successiva (2)  - la fece Bismark in un famoso discorso alla dieta prussiana. Diceva il cancelliere che “Uno statista, assai esperto in materia di costituzione, ha detto che l’intera vita costituzionale è sempre una serie di compromessi” se il compromesso non si trova “allora s’interrompe la serie dei compromessi e al loro posto nascono i conflitti, e i conflitti, visto che la vita dello Stato non può mai arrestarsi, diventano questioni di forza; chi ha la forza nelle mani tira innanzi per suo conto, perché appunto la vita dello Stato non può mai arrestarsi neppur un istante.” E dopo aver esaminato le varie posizioni e ammesso che  nella Costituzione vi fosse una lacuna (relativa all’approvazione del bilancio dello Stato) così si esprimeva “Non terrò più a lungo dietro queste teorie: basta a me la necessità che lo Stato esiste e che nella visione più pessimista esso non può lasciar accadere quello che si verificherebbe quel giorno che le pubbliche casse fosser chiuse. La necessità sola è quella che decide; di questa necessità abbiamo tenuto conto, e voi stessi non pretendereste certo che il pagamento delle rendite fosse sospeso e che non corrispondessimo agli impiegati i lor stipendi” e conclude sul punto “ Che il presente stato delle cose sia contrario alla Costituzione lo contesto nel modo più formale adesso come prima” (3).

Ma non è men vero che quanto sostenuto da  Bismarck in tale discorso sia condiviso dalla migliore dottrina del diritto a cominciare da Santi Romano, per il quale la necessità è fonte di diritto, superiore alla legge (4); o nelle pagine di Heller (5); ed è conseguente all’affermazione di Sieyés che “la Nazione è tutto quel che può essere per il solo fatto d’esistere”, per cui finchè esiste non può essere privata dal governo costituito, e così della propria capacità d’azione ed esistenza politica, per sentenza (6).

Tuttavia, ancorché condivisibile, tale assunto della Corte non è legale: è costituzionale ma non legale.

Non è legale per i motivi esternati dalla Corte nella sentenza: urta contro quanto si può desumere dagli articoli  ivi citati della Costituzione. Non è neanche costituzionale nel senso più diffuso, della costituzione c.d. formale (cioè quello preferito dai normativisti), per la medesima ragione. Ne consegue che la Corte ha fatto uso, (punto 7.0 della motivazione della sentenza) non di quel concetto di costituzione, ma di un altro. A prescindere, per detto concetto, dall’ovvio richiamo a Schmitt (7), si può ricorrere – per chiarirlo – alla concezione di Lavagna di costituzione in senso sostanziale, sinonimo di ordinamento costituzionale (8). Precisandolo ulteriormente e sotto il profilo funzionale, la costituzione “necessaria” o “essenziale”, e la forma qui dat esse rei, quella che rende possibile l’azione e l’esistenza politica della comunità e dell’istituzione.

Per cui la parte della Costituzione che consente quelle non è “annullabile” per sentenza – o meglio la sentenza non si applica perché non si può annullare per decisione giudiziaria (anzi a ben vedere neppure giuridica) uno Stato.

Una norma (statale) vige perché è voluta e emanata da uno Stato il quale “non è un astrazione e si realizza in concreto”: senza quel realizzarsi in concreto, non c’è nessuna norma che possa “vigere” ovvero che sia (più o meno efficacemente) applicata.

La conseguenza delle affermazioni della Corte non si limitano a quanto sopra. C’è da aggiungere che non c’è scritto in alcun luogo della Costituzione formale che occorre far salvo “il principio fondamentale della continuità dello Stato”. E’ appena il caso di cennare che la Costituzione parla di principi (v. atti 1-13); ancor più i costituzionalisti (sia vetero che neo) che trovano conforto nel fatto che la scriptura della costituzione chiarisca quali sono i principi (anche se quelli scritti non esaurirebbero la  “classe-principi”); ma nessuna norma scritta, neanche estendendone il significato a dismisura, prevede il principio fatto proprio della Corte, per non applicare (o meglio applicare a metà) la propria sentenza.

Il che pone il problema se non avesse ragione De Maistre allorché scriveva che  ciò che “c’è di più essenziale, più intrinsecamente costituzionale e di veramente fondamentale non è mai scritto e neppure potrebbe esserlo senza mettere in pericolo lo Stato” (9). In effetti la pronuncia in esame conferma la giustezza  della tesi del pensatore controrivoluzionario.

Concezione che sia prima che dopo De Maistre è stata condivisa da pensatori politici e giuristi non foss’altro perché, prima delle rivoluzioni francese e americana quasi tutte le costituzioni non erano scritte né formulate in atti appositi e organici; dopo, anche se poche, ve ne sono state (di non scritte); ma nessuno l’ha formulata con la radicalità del pensatore sabaudo (10).

Il tutto pone un altro problema: se è vero che la  Costituzione non scritta esiste e prevale – spesso – su quella non scritta – che valore può avere limitare alla costituzione formale e alle di essa norme, valori, principi il carattere costituzionale? (11)

Mortati scriveva che “la pretesa di esaurire nella Costituzione scritta l’intero sistema si è rivelata sempre più illusoria” (12). E in ciò si può sintetizzare il “nocciolo duro” di quanto espresso da tanti, che fondano la Costituzione scritta su elementi non scritti e neppure giuridici, nel senso  - tra l’altro - di fondare il diritto senza essere giuridici (e normativi) né (in larga misura) giustiziabili (Justiciables). Quel che parimenti interessa è che proprio tali elementi e presupposti non scritti sono quelli squisitamente costituzionali nel senso di co-stituire (cioè tenere insieme in modo stabile e ordinato) una comunità politica (13).

Ma proprio per questo il contributo che la Costituzione scritta può dare all’ordinamento costituzionale è secondario. Tanto per fare un esempio quasi tutte le costituzioni moderne sono frutto di una decisione deliberata, la quale presuppone l’esistenza sia della comunità politica che del potere costituente. E l’uno e l’altro non sono “modificabili” attraverso una procedura giuridica perché sono essi a costituire le condizioni minime perché una costituzione (atto del potere costituente) esista e abbia validità; con l’ulteriore conseguenza che ogni norma costituzionale e in generale la costituzione stessa debbano interpretarsi nel senso di presupporre l’esistenza della comunità politica e del potere costituente. Interpretare o applicare le norme costituzionali in senso contrario a detti presupposti costituirebbe un colpo di Stato. Che se è tale, ha bisogno del sostegno di frazioni organizzate, anche dell’opinione pubblica; se è altro, diventa inefficace, fonte solo di confusione e decomposizione.

D’altro canto l’affermazione della Corte conferma altre due circostanze presupposte. La prima l’applicazione del principio di Spinoza che ogni cosa esistente “quantum in se est, in suo esse perseverare conatur”.

Il che comporta che l’esistente prevale sul normativo; e questo vale in quanto e se non in contrasto con quello.

La costituzione è insieme l’istituzione e regolazione dei poteri di governo e la garanzia dell’esistenza politica e dell’azione della comunità (e dell’istituzione in cui è organizzata). Uno degli aspetti (e finalità) della quale è la durata (cioè – anche – la continuità), come scriveva Hauriou e come, analizzando il principio del “conatus” scriveva Spinoza.

L’altro, che il politico è decisivo rispetto al giuridico: il che non è altro che una specificazione della prevalenza dell’esistente sul normativo. Anche questa ripetuto da tanti che non è il caso d’insistervi, dati i limiti di questa nota.

Piuttosto c’è da chiedersi che ruolo nella comprensione ed elaborazione di una teoria costituzionale, abbia quanto ripetuto da cori di giuristi in questo secondo dopoguerra, cioè norme, valori, principi (questi intesi in senso normativo e non di forma politica). La risposta è ovvia e confermata, tra l’altro, da questa sentenza: contingente e secondario.

Contingente perché necessario perché una comunità esista ed esista politicamente e che vi siano organi in grado di assicurare l’esistenza e l’azione politica: che questi poi debbano fare questo o quell’altro, applicare questa regola o quel valore è contingente, purché non incide sull’esistenza ma, semmai, sul modo di questa. E così è secondario, perché non concerne l’esistenza della comunità, cioè l’essenza, cioè che “dat esse rei” ma solo l’accidentalità del tipo e modi scelti per la convivenza in comune in un dato momento storico.

NOTE

(1)  v. Cass. civ., sez. I, 28/07/2006, n. 17247; Cass. civ., sez. trib. 08/02/2006, n. 2798; C. conti, sez. I giur. centr. app., 03/09/2004, n. 303/A; C. Stato, sez. V, 17/09/1996, n. 1141; C. Stato, sez. IV, 03/07/1986, n. 458; e pluribus.

(2) Qualcuno scriverebbe purtroppo; dalla determinazione che Bismark dimostra in quel discorso derivò la riunificazione della Germania, fatto del quale – ancora recentemente – molti non risultano entusiasti, a cominciare da un politico fine come il defunto Andreotti.

(3)   V. discorso del 27-01-1863.

(4)  La necessità è fonte autonoma del diritto, superiore alla legge. Essa può implicare la materiale ed assoluta impossibilità di applicare, in certe condizioni, le leggi vigenti e, in questo senso, può dirsi che «necessitas non habet legem». Può anche applicare l’imprescindibile esigenza di agire secondo nuove norme da essa determinate e, in questo senso, come dice un altro comune aforisma, la necessità fa legge. In ogni caso, «salus rei publicae suprema lex». Diritto costituzionale generale, Milano 1947 p. 92.

(5) Tra l’altro ricordiamo “Di fatto, l’unità statale non ci è data né come unità organica, né come unità frutto di una finzione, ma come un tipo particolare di unità di azione umana organizzata: la legge dell’organizzazione è la legge fondamentale della formazione dello Stato. La sua unità è l’unità reale di una struttura d’azione la cui esistenza viene resa possibile nella forma dell’interazione umana, tramite l’agire di specifici organi consapevolmente indirizzato alla formazione effettiva dell’unità” v. Dottrina dello Stato, Napoli 1988, p. 355.

(6) A cui corrisponde che, avendo il potere costituente l’esistenza di quelli costituiti dipende dalla volontà nazionale.

(7)   Verfassungslehre, trad it. di A. Caracciolo, Milano 1984, pp. 15 ss.

(8) Lavagna sosteneva che “del contenuto generale degli ordinamenti costituzionali, si devono distinguere parti necessarie ed eventuali. Le prime saranno rappresentate dalla materie necessariamente, ancorché implicitamente  regolare, acciocché uno Stato esista. Le seconde dalle materie che, in seno alle prime o anche al di fuori di esse, risultino volta a volta disciplinate ed assorbite nel sistema, secondo criteri materiali o formali” v. Diritto costituzionale, Milano 1957 p. 166; di seguito scrive che “Secondo una opinione assai diffusa e, possiamo dire classica, il diritto costituzionale è, dal punto di vista sostanziale, quella parte dell’ordinamento giuridico statale che riguarda l’organizzazione dei poteri sovrani; vale a dire del governo in senso lato”, op. loc. cit. (i corsivi sono nostri).

(9)    «Que ce qu’il y a de plus essentiel, de plus intrinsèquement constitutionnel et de véritablement fondamental, n’est jamais écrit, et même ne saurait l’être, sans exposer l’état» Des constitutions politiques, Paris s. d., De Maistre fa quest’affermazione nel noto contesto della « storicità » anni della  « provvidenzialità » degli ordinamenti, criticando con l’affermazione di Thomas Payne che una costituzione non esiste se non la si può mettere in tasca. E invece esiste eccome.

(10) Neppure il bolscevismo (nascente) al potere, che accusava d’ipocrisia la redazione in forma scritta delle costituzioni borghesi “Da questo punto di vista bisogna sempre distinguere in un regime borghese la Costituzione scritta dalla non scritta, cioè un «foglio di carta» col nome di Costituzione dal reale rapporto delle forze sociali d’un dato paese” così (v. P. Stutcka “La costituzione della R.S.F.S.R. in domande e risposte”, Milano 1920), è stato così consequenziale. Non foss’altro perché limitava l’ “ipocrisia” della forma scritta alle costituzioni borghesi; mentre De Maistre considerava la propria concezione valida per tutte le costituzioni.        

 (11) Questo senza voler introdurre la nota distinzione tra materia costituzionale e costituzione formale, che è un problema a latere.

 (12)  v. C. Mortati voce Costituzione in Enciclopedia del diritto, vol. XI, p. 181.

 (13) Di solito poi scrittura e “giudiziabilità” crescono se dai “piani alti” dell’ordinamento si va verso quelli “bassi”.


Teodoro Klitsche de la Grange

Note in corso di lettura del libro di Ala Friedman, «Ammaziamo il Gattopardo», uno scoop, appena uscito, di cui tutti parlano.

Ero indeciso se comprare il libro, spendendo i suoi 18 euro, e soprattutto impiegando il tempo occorrendo per leggerlo, a detrimento degli altri libri che ho in lettura e che son tanti. Mi ero detto che tanto quel che c’era da sapere ormai lo avevo appreso da quanto se ne è ampiamente riferito e pertanto poteva risparmiarmi sia i soldi sia il tempo occorrente per leggerlo. Questi i propositi, entrando in una libreria Feltrinelli, dove ero orientato all'acquisto di alcuni libri di dizione, per imparare a parlare bene in pubblico, come sanno ben parlare i politici navigati. Poi, visto che il libro di Friedman c'era, ed il costo non mi appariva eccessivamente elevato, ho sacrificato uno dei due libri di dizione che intendevo comprare, ne ho acquistato uno solo e con al posto dell'altro ho caricato il libro di Friedman. Giunto a casa ne ho iniziato la lettura e subito alla prima pagina è scattata la sorpresa. Quale?

I miei cinque lettori sanno bene quanto io sia, diciamo pure “pigro”, ma forse non è la parola giusta. Scrivere nella dovuta forma un testo, in buona lingua e in buona forma, può essere un lavoro che richiede un tempo infinito. Appunto “Infinito”. Quanto tempo ci vorrebbe per ognuno di noi se dovesse scrivere gli Undici versi di cui consta l'omonima poesia di Leopardi? Per questo, spesso o quasi sempre mi accontento di gettare delle rapida note, sulle quale poi eventualmente ritornare, avendone il tempo o ravvisandone la necessità. Ne viene fuori una scritta, spesso piena di refusi, ad anche di sgrammaticature, sulle quali ho visto accanirsi alcuni miei nemici in malefede. A loro dico adesso: se il vostro padrone mi paga quanto paga voi per scrivere contro di me, forse posso integrare il mio reddito in modo consistente e darvi in cambio buoni testo, forse perfino «L’Infinito» o la «Divina Commedia». A parte gli scherzi, che spero vengono riconosciuti come tali, ritengo che la rete consenta un tipo di scrittura e uno stile che è diverso da quello della carta stampata, dove un testo nasce morto, cioè immodificabile e rigido come la morte.

Ciò premesso, mi resta da dire quale sarebbe dunque la mia sorpresa alla prima pagina del libro di Friedman. Un momento che vado a pescare due miei precedenti post. Uno è questo e l'altro si trova qui. Non sono autocitazioni, cose contrarie al galateo. Ma è per dire che il libro di Friedman inizia con la descrizione di una manifestazione a Roma, il 15 gennaio 2011, dove anche io ero presente e per la verità non ho visto le cose di cui Friedman parla. Ne avevo avuto prima il sospetto che Friedman stesse citando quell'evento, ma po l’ho escluso quando egli parla addirittura di «un palazzo, un intero palazzo ha preso fuoco...». Ma quando? ma dove? Io non me lo ricordo il palazzo bruciato... Era presente lo stesso Friedman? Ha visto lui le cose che descrive? Io ero partito da piazza Esedra. Eravamo proprio in tanti ed il corteo era pacifico. A San Giovanni non potemmo entrare perché la piazza era preclusa da sbarramenti di polizia. Sentivamo i rumori di botti, ma nella piazza non si poteva entrara. Io restai a lungo per poi entrare nella piazza quando ce lo consentirono. Di quel giorno, 15 ottobre, mentre in altri parti del mondo si svolgevano analoghe manifestazioni, di cui Egeria in questo blog ha fatto mirabili post, di cui si consiglia la lettura, dico di quel giorno io conservo una altra immagine ben diversa da quelle descritte da Friedman. Un ragazzino che forse poteva avere 16 anni che armato dei suoi piedi prendeva a calci una specie di carro armato della polizia. Poi conservo l'immagine dello stesso ragazzino portavo via per un braccio da un poliziotto di dimensioni doppie. Collegato a questo ricordo, qualche giorno dopo, conservo l'immagine di Di Pietro davanti a Montecitorio che invocava pene ancora più severe di quelle esistente. Io mi misi a sfotterlo mentre rilasciava la sua intervista. E se l'ebbe a male, andandosene via trattandomi con sufficienza. Per fortuna, non frequenta più le stanze di Montecitorio, dove in quel momento io mi trovava per altra storia che pure avevo intrapreso a narrare in quei giorni. Lessi poi di pesantissime condanne inflitte ai ragazzini del 15 ottobre 2011. Queste ricadute repressive escono poi dalla luce dei riflettori dei media, ma nella mia memoria di quel 15 ottobre non ho traccia del “palazzo bruciato” bensì solo del minuscono ragazzino che impavido prendeva a calci l'immenso automezzo blindato della polizia di stato, quella stessa a cui Grillo chiede di non massacrare il popolo che si ribella e di non far consistere il loro mestiere nel proteggere armati di tutto punto, mentre dietro di loro un ineffabile Gasparri alza il dito medio contro i cittadini che manifestano fuori del Palazzo.

Almeno per questo episodio il libro si annuncia interessante. Non credo che Friedman fosse presente alla dimostrazione di San Giovanni, ma mi sta dando certamente una lezione di come si possa parlare di eventi per i quali non si possa dire «c’ero anch’io», come invece io titolai allora, senza pensare di scrivere un libro che magari poteva essere uno “scoop”, e magari farmi arricchire. Questa non è una critica assolutamente e non vuole togliere interesse o pregio al libro, che continuerò a legge, non tutto di un fiato, ma per lunghe pause e intervalli, durante i quali annoterò qui le mie osservazioni e rilflessioni, se mi parrà il caso, ne avrò il tempo o la voglia...

Il libro prosegue con una carrellata sui grandi personaggi degli anni ottanta, dipinti come semidei, quando oggi sappiamo che erano dei gran pezzi di m.... Come aveva accesso Friedman a questo Olimpo? La sua entratura era quella di giornalista, di un grande quotidiano economico, il Financial Times, considerato il più importante del suo genere. Vi erano persone come Ligresti che avevano interesse a farsi fare una intervista su quel quotidiano, una sorta di autopromozione.  Da qui si spiega la posizione del giornalista Friedman e le sue numerose frequentazioni. Il discorso qui è sull'«apparire», o il non apparire, trascorrendo tutta la propria vita in un onesto lavoro al riparo dei riflettori. Un lavoro i cui proventi maggiori andavano alla galleria di semidei dipinta da Friedman, che riporta pure come in quegli anni l'Italia venisse collocata al quinto posto per importanza economica. Dove sia finito tutto quel denaro e come sia stato trafugato possiamo solo immaginarlo, ma ci dicono poi che siamo “complottisti”. E mi dilungo. Tralascio tante cose che mi vengono in testa e che richiederebbero almeno una buona mezz'ora di tastiera, dicendo cose poi in fondo inutili. Intanto Friedman compare in tutti i talk show e questo dovrebbe aumentare le quotazioni e le vendite del suo libro, che non è un austero trattato di filosofia, di quelli che sondano le profondità dell'essere e sono in genere di difficile lettura, solo per addetti ai lavori.

mercoledì 12 febbraio 2014

Dal “reato di ipnosi” al “colpo di testa”. Bozza di una critica accademica a Ainis e Chiola sull'esistenza di un “colpo di stato permanente” e di una “situazione eccezionale” dove “decide” il “sovrano”

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Predispongo qui lo spazio virtuale per sviluppare tutti i concetti e gli aggiornamenti di un dibattito in corso dopo aver stabilito un collegamento testuale, un link, con l'area commenti del blog di Beppe Grillo, dove occorre racchiudere i propri interventi entro i 2000 caratteri. Non è poco se si considerare che ciò che ci resta dei filosofici presocratici – quando secondo è stato toccato il vertice del pensiero greco - non supera spesso i 2000 caratteri. Ad esempio, il brano a tutti noto di Protagora secondo cui «L’uomo è misura di tutte le cose: di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono». Se assistiamo ai dibattiti di questi giorno incandescenti, è facile verificare come dalle diverse parti in conflitto ognuna formuli i propri giudizi a seconda della propria convenienza. Assolutamente inutile andare a cercare una oggettività, una verità al di sopra delle parti. Anzi, direi, che il disprezzo per la Verità sia assoluto. Si ammette tranquillamente che non esiste altra verità se non la propria e l'abilità dei politici consiste nel dimostrare di avere sempre ragione, mentre il torto è sempre degli altri. Non manca in questo “spettacolo” l'estromissione dal gioco di chi rivendica la propria diversità ed afferma una Verità che sia o possa o debba essere di tutti, ad esempio dicendo con striscioni stesi in giù dal tetto di Montecitorio che «la costituzione è di tutti», una costituzione che ha i suoi sacerdoti stipendiati che sono i professori ordinari di diritto costituzionale, consultati nei talk show per avere lumi definitivi a fronte di pareri profani. Il guaio è che questi “lumi” dicono poi cose contrapposte, in tutto o in parte, e dunque non pare che per questa via si possono avere quelle certezze che ognuno di noi, certamente con umiltà e senza spirito polemico e arrogante, è meglio cerchi innanzitutto in se stesso, facendo uso della propria “testa” non sbattendola al muro, o facendola uscir di senno, ma confidando in essa più che in quella altrui. Un proverbio popolare, che io conosco nella versione dialettale calabrese, dice che è più savio il pazzo in casa propria che il saggio in casa altrui. Qui la casa è l'Italia ed il pazzo è il popolo italiano. Tutti gli altri sembrano “stranieri” trapiantati nella nostra casa per depredarla e prenderci in giro, dicendo magari che i nostri timori, gli allarmi lanciati ai concittadini non sono altro che “colpi di testa”, potendo invece stare ben tranquilli, essendo in buone “mani” e potendo dormire sogni tranquilli, giacché si vede già la “luce in fondo al tunnel”, una luce che gli scettici avvertono essere invece un treno che avanza e che ci viene addosso.

Ma ecco qui il link dove andiamo a collocare i nostri 2000 caratteri di commento, stabilendo una connessione reciproca, dal blog di Beppe Grillo a questo mio blog e da “Civium Libertas” a al post di Beppe Grillo dove si è dato l'annuncio della messa in stato d’accusa per Alto Tradimento del presidente della Repubblica. Il mio commento è nascosto fra altre centinaia e col tempo anche migliaia di commenti, aperti ad ogni cittadino lettore del blog ufficiale del Movimento Cinque Stelle, che non ha altri organi di espressione e non dispone di nessun finanziamente pubblico come tutti i quotidiani di regime e la televisione di stato, i cosiddetta media, la cui “informazione” è definita da John Pilger come una “emanazione del potere”, una espressione dotta che ci riporta alla dottrina di Plotino.

Ecco dunque il testo, racchiuso entro i 2000 caratteri, appena postato nel blog di Beppe Grillo “Impeachment a Napolitano: vogliamo sapere”:
Fonte
Ier notte, nella trasmissione di Vespa si chiedeva il parere di due costituzionalisti, Aines e Chiola, sull'esistenza di un “colpo di stato” e sulla validità dell’accusa di Alto Tradimento mossa dal Movimento Cinque Stelle al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale aveva reagito con sufficienza a questo addebito, rinnovato poi dalle rivelazioni del giornalista Friedman.

A “piazza pulita” Aines aveva parlato di “reato di ipnosi” che solo poteva contestarsi al presidente Napolitano, avendo i partiti sottoscritto a pieno il suo “operato”. Dal “reato di ipnosi” Aines è poi passato al “colpo di testa” attribuito a quanti secondo lui in modo infondato parlano dell'esistenza di un “colpo di stato” e denunciano un sostanziale sovvertimento dell'assetto costituzionale.

Nessuno ha parlato finora di carri armati, se è questo che si intende per “colpo di stato”. Formuliamo qui la nostra tesi, ma si rinvia al blog "Civium Libertas" per gli sviluppi della critica ai “costituzionalisti” Aines e Chiola.

Carl Schmitt definisce il “sovrano” come colui che decide sullo “stato di eccezione” ossia in una situazione non prevista e non ammessa. Orbene che nell'estate del 2011 vi fosse una “crisi” ovvero uno “stato di eccezione” è cosa che riconoscono tutti, politici e giuristi (Chiola).

Cosa ha fatto Napolitano?

Ha conferito in sordina a Monti l'incarico di formare un nuovo governo, ben PRIMA che che si aprisse la crisi FORMALE prevista dalla costituzione.

È vero: i partiti hanno POI sancito una “decisione” extra-costituzionale.

Vi è stato dunque un “colpo di stato” e il passaggio dalla forma di governo “parlamentare” allo stato “presidenziale”, di cui anche il governo Letta è chiara espressione.

Di quale altra “riforma” si vuole parlare?

È stata già fatta!

Ad aver "tradito" non è stato il solo Napolitano, ma insieme con lui hanno "tradito"  tutti i partiti “illegittimi” ex tunc.

Si può chiedere a una "maggioranza” di "traditori” di riconoscersi come tali?
Segue per affinità tematica anche il seguente “commento” al post “Il nonno di Montecristo” , e seguiremo analogo criterio di accorpamento dei “commenti”, se vi saranno sul blog di Beppe Grillo altri interventi omogenei sulla stessa materia. Rispetto al nostro testo originario, scritto sempre di getto, ci riserviamo iterventi modificativi di carattere formale o sostanziale.
Fonte
Vorrei ribadire un concetto già espresso in altri miei commenti.

È vero che l'impeachment è stato liquidato in 20 minuti, dando dello scemo a chi lo sostiene, poiché si dice che non ve ne sarebbero i presupposti formali e sostanziali.

Noi sappiamo però che esistono infiniti modi per "tradire”.

Come insegna la storia di Montecristo, i traditori possono essere più di uno e agire di concerto.

Ben sapendo tutti i parlamentari di essere sul piano "sostanziale" niente altro che dei “nominati” (da chi?) e non degli “eletti” (direttamente dal popolo), ed avendo avuto perfino recente "formale" conferma di essere degli "illegittimi”, lealtà avrebbe voluto che si precipitassero nuovamente alle urne, senza indugio alcuno, per ricevere quella legittimazione popolare che a tutti manca.

Invece che fanno?

Se ne stanno attaccati al seggio e allo stipendio netto di oltre 10.000 euro mensili, naturalmente per il bene del paese e non per il loro utile privato.

Da questi signori cosa mai ci si può aspettare?

Sul banco degli accusati di "alto tradimento del popolo italiano" dovrebbero sedere anche costoro insieme con il "loro" Presidente.

Possono proprio loro giudicare sulla ammissibilità della procedura di Impeachment presentata dal Movimento Cinque Stelle?

Peccheremmo noi di ingenuità se ci fossimo aspettati altro risultato che una bocciatura in appena 20 minuti di seduta.

La procedura avviata è stato tuttavia inutile perché in realtà si è inteso adire non un Tribunale fatto di Traditori, ma direttamente il Popolo italiano, che adesso sa e non può più ignorare, malgrado l'azione dei media e di certi "costituzionalisti” che fanno di tutto per manipolare e occultare la verità delle cose.

Le contraddizione e le incoerenze, formali e sostanziali, del sistema regime si succedono ad una frequenza tale per cui assistiamo a una implosione permanente, come dei fuochi di artificio che sembrano non finire mai e dove il botto successivo è più grande e spettacolare di quello precedente.
Il dibattito è qui aperto a quanti vogliono intervenire e pensano di poter dare utili chiarimenti e riflessioni, per la quali anticipatamente ringraziamo. Si veda intanto l'approfondimento di Teodoro Klitsche de la Grange, che esamina le implicazioni della decisione della Consulta che dichiara l'incostituzionalità del Porcellum ma pone non pochi problemi sulla situazione che la stessa corte viene a creare in conseguenza della sua natura di organo in parte giurisdizionale ma non meno di natura politica, espressione essa stessa del sistema dei partiti. Si veda anche - successiva a questo post - la recensione dello stesso Klitsche al libro di Paolo Becchi sul «Colpo di stato permanente», di cui ci continueremo ad occupare.

(testo in elaborazione: segue)