giovedì 26 ottobre 2017

L'Immigrazione: una risorsa o un'invasione? 1. Touhami Garnaoui: «L'immigrazione, strumento politico-finanziario».

Si è tenuto ieri e l'altro ieri, in Roma, un interessante incontro, il Convegno di Storia 2017, organizzato da Giovanna Canzano, sul tema della «Immigrazione: una risorsa o un’invasione», di grande attualità e tale da suscitare una fitta serie di interventi, succedutisi senza interruzione uno dopo l'altro, nei due pomeriggi di martedi e mercoledi. Molti degli intervenuti, io compreso, hanno parlato a braccio, ma alcuni come Touhami Garnaoui avevano preparato un testo che è stato letto e che viene qui pubblicato con gradimento del suo autore. D'intesa con l'organizzatrice e con i relatori pubblicherò ogni altro testo che dovesse pervenirmi. Il testo che segue, per renderlo immediatamente fruibile, è pubblicato con un “copia e incolla”, ma seguirà poi un più minuziosa lavoro redazione dove saranno e aggiunte a corredo anche delle illustrazioni, secondo il modo consueto di questo blog.
AC

L’IMMIGRAZIONE, STRUMENTO POLITICO-FINANZIARIO
di
Touhami Garnaoui

Nell'Episodio dell'Ospitalità di Abramo (Genesi 18, 1-15), leggiamo: “Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra,  dicendo: Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l'albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire.”

Ci insegnano che la democrazia parlamentare è il giusto sistema politico per concretizzare quel sogno dell’umanità, espresso nella Genesi. Ma, mentre parlano di diritti universali, mentono, uccidono, rubano. Proteggono o installano al potere sceicchi e re arabi, movimenti islamici ieri considerati radicali e terroristi oggi moderati, oligarchi di estrema destra imposti sull’onda di false rivoluzioni fabbricate da ricchi agitatori professionisti, governi occidentali che fanno “proprio male alla pelle", per dirla con un'espressione colorita di Gaber (Io se fossi Dio). Vorrei qui ricordare le sconvolgenti dichiarazioni del PD, che ora i voti si chiamano "contributi per il programma " e che c'è pure "un treno di ascolto degli italiani" che sta attraversando in lungo e largo la nostra penisola. Un vagone riporta lo slogan: "destinazione Italia", ma non capisco francamente di quale Italia si tratti esattamente. Per non parlare della necessità esternata (che sembra da un malvivente!) di "aggredire il contante nascosto nelle case degli italiani". Ed ecco che vediamo gli affamati venire da ogni angolo della terra bussare à la porta dei paesi meno poveri dei propri paesi.

L’immigrazione, è una risorsa o un’invasione?

Ma, il Testo Unico sull’Immigrazione stabilisce che l’immigrato che non soddisfi i requisiti d’ingresso (documenti, disponibilità di mezzi e contratto di lavoro), non è ammesso in Italia, o è considerato una minaccia per la sicurezza nazionale o di uno dei Paesi con cui l'Italia ha siglato accordi per la libera circolazione delle persone tra le frontiere interne. Insomma non ha quei diritti alla vita che hanno avuto gli europei emigrati nelle Americhe, in Sud Africa, in Australia, a Ceuta e Mellila, nelle isole Falkland - Malvinas, etc. che non avevano bisogno per emigrare, di disponibilità di mezzi , altri che militari.

Mentre l’Europa è assalita dalle onde di migranti che tendono disperatamente a raggiungere le sue coste, provenienti da una drammatica lunga primavera, i discorsi si confondono fra coloro che vorrebbero rafforzare le barriere all’immigrazione per difendere i propri mercati interni, e coloro che ne difendono l’apertura per ragioni opposte di opportunità demografica, ed economica di una Europa che sta invecchiando al centro di un mondo globalizzato. Dopo il commercio ed i capitali, si chiede alle popolazioni di globalizzarsi e di inter-scambiarsi liberamente.  Non tutto, evidentemente, sarà bianco o sarà nero. Passatemi il gioco di parole. In ognuno di noi, c’è del bianco e del nero con diverse gradazioni di tonalità.  

E’ stata condotta una ricerca in dieci paesi in via di sviluppo con significativi tassi di emigrazione o immigrazione: Armenia, Burkina Faso, Cambogia, Costa Rica, Costa d'Avorio, Repubblica Dominicana, Georgia, Haiti, Marocco e Filippine. La ricerca, effettuata dal 2013 dall’Ocse in collaborazione con l’Ue, ha esaminato le diverse dimensioni della migrazione in settori chiave come: il mercato del lavoro, l'agricoltura, l'istruzione, gli investimenti e i servizi finanziari e la protezione sociale e sanitaria. Il rapporto finale, denominato “ Interrelations between public policies, migration and development”,  ha fornito ai governi la prova che la migrazione possa essere parte integrante dello sviluppo di questi paesi attuando politiche mirate.

Sembrerebbe dunque, secondo il rapporto, che l’immigrazione sia una risorsa per il paese di provenienza. Guardando, ad esempio, al caso del Marocco, diversi scritti dedicati alla storia dell’emigrazione marocchina in Italia mettono in evidenza che il consistente flusso di danaro fatto pervenire in Marocco abbia incentivato all’esodo molte persone rimaste sul posto. Un altro fattore di cui tenere anche conto consiste nel fatto che la comunità marocchina ha fortemente incrementato i ricongiungimenti familiari per cui, essendosi formate famiglie numerose, con il passare del tempo i risparmi vengono utilizzati in prevalenza per sostenere il processo di integrazione in Italia, spesso acquistandovi anche la casa. 

D’altro canto, secondo il Fmi, le migrazioni hanno un effetto positivo sull’economia nazionale dei paesi di accoglienza dell’Unione europea; nel 2017 contribuiranno per lo 0,13 per cento al tasso di crescita del Pil. Lo studio del Fondo Monetario, non tiene conto, però, dei costi relativi all’assimilazione di questa forza lavoro aggiuntiva, dagli alloggi ai corsi di lingua. Ma soprattutto non analizza le conseguenze sociali di un’emigrazione biblica verso l’Europa. Ed è proprio questo il tema politico più caldo al momento.

Abbiamo sentito parlare di misteriosi derivati finanziari che, invece di aiutare le famiglie a diventare proprietari della propria casa e di fare studiare i propri figli, hanno portato ad una crisi economica mondiale di cui non si vede la fine. I beni sottostanti scambiati, di natura finanziaria (come ad esempio i titoli azionari, i tassi di interesse e di cambio, gli indici) o di natura reale (come ad esempio il caffè, il cacao, l'oro, il petrolio, il gas, l’uranio) hanno favorito i pochi e arrecato danni ai molti. Gli interscambi di popolazione preoccupano maggiormente, perché si svolgono su un mercato meno libero.

Mercati, risorse per gli uni o per gli altri, ricchezze, valore aggiunto, disponibilità di mezzi, contratto di lavoro, sono variabili economiche, o se vogliamo socio-economiche. Ma il problema dell’immigrazione che angoscia fortemente, anche giustamente, i cittadini è innanzitutto  di carattere socio-politico-finanziario.

Anche se l’impero romano è stato multirazziale, multietnico e multi confessionale, l’immigrazione rappresenta in Italia un fenomeno tutto sommato recente, cresciuto presso a poco negli ultimi 35 anni, e diventato più intenso all’inizio del nostro terzo millennio, dopo il famoso discorso alla radio da Camp David del presidente americano G. Bush Jr, all’indomani dei presunti attentati alle Torri Gemelli. Le sue parole sono state: “"Siamo in guerra". Non si sapeva ancora chi sarebbe stato il nemico di questa guerra, ma Bush aveva promesso solennemente al suo popolo una risposta americana "ampia, prolungata ed efficace.” Egli disse: “Vi sarà richiesto di essere decisi, perché il conflitto non sarà facile. Vi sarà chiesto di essere forti perché la strada che porta alla vittoria potrebbe essere lunga".

Ora che la guerra americana ha fatto un bel pezzo di strada, senza che si intravveda tutt’ora la vittoria promessa agli americani, si comincia a capire chi è il nemico od i nemici in questa guerra, nel groviglio delle quotidiane notizie, in parte vere ed in parte prefabbricate in luoghi simili a Hollywood, più come strumenti di guerra che come corretta informazione dell’opinione pubblica. Dopo la sconfitta dei Talebani in Afghanistan, poi la distruzione dell’Iraq e, soprattutto, con la morte annunciata successivamente di Bin Laden e la caduta contemporanea dei regimi dittatoriali in Tunisia ed in Egitto, si ebbe la sensazione, che fosse stato debellato finalmente il terrorismo di al Qaeda e di tutta la  galassia dei gruppi ad essa collegati. Dunque tutti a casa, supposti invasori immigrati e veri invasori militari? Niente affatto. La guerra americana contro la dittatura ha ripreso subito contro la dittatura del libico Gheddafi e del siriano Assad, ma non contro il re dell’Arabia Saudita né contro gli altri monarchi arabi, e contro il nuovo terrorismo del deus ex macchina Stato Islamico, ricco, ben armato, ben addestrato, guidato da veri strateghi, mediatizzato, apparso in Iraq, Siria, Libia, e in altri paesi africani, sotto la guida del decretato califfo Abu Bakr al-Baghdadi, a volte dato per morto, a volte resuscitato. Si dice, e non è difficile credere, che nessuno degli alti ufficiali dello Stato Islamico, detto pure Isis o anche Daesh, è arabo-mussulmano e nemmeno S.M. il Califfo delle tenebre. Comunque, lo Stato Islamico sembra aver perso definitivamente la sua guerra dopo la sconfitta a Raqqa, elevata, non si sa bene da chi, a simbolica capitale. Ora una nuova prova di forza degli Usa viene diretta contro la Corea del Nord, con dei Bombardieri strategici -1B Lancers, in grado di sganciare ordigni nucleari.

La dimensione del fenomeno migratorio

Per avere un’idea dell’estensione della guerra fino a questo momento, osserviamo che il numero delle vittime italiane sui campi di guerre americane dal 1990 al 2001, caduti in Iraq, Somalia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia, Kosovo, Albania, è pari ad una cinquantina circa; questo numero salirà al doppio dal 2001 ad oggi, morti in Afghanistan, Iraq, Libano, Libia, di cui una trentina dal 2011 ad oggi, cioè durante il periodo della cosiddetta Primavera araba.

Per quanto riguarda, invece, il numero degli emigrati morti prima di approdare sui lidi italiani, cioè prima di poterli chiamare immigrati, la Fondazione Ismu (Iniziativa e Studi sulla Multietnicità) ricorda che da allora sono state numerose le morti avvenute nel Mediterraneo. Secondo le stime più attendibili di UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) e IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) dal 2014 ad oggi sono più di 15mila i migranti che hanno perso la vita in mare, più di 11 morti al giorno dal 2014, con una forte ripresa nel corrente mese di ottobre.

Morti e dispersi nel Mediterraneo. Anni 2014-2017

Fonte: elaborazioni ISMU su dati UNHCR e OIM

I morti e dispersi provengono per il 90 % circa dal Mediterraneo centrale, e per il 10 % dal Mediterraneo Orientale e in minima parte dal Méditerraneo Occidentale.

Chissà se fra loro non ci siano dei nipoti di coloro che vennero  strappati dalla Francia alla loro terra occupata per andare a liberare le metropoli europee dagli eserciti nazisti e fascisti, e che vengono descritti come violentatori nel famoso film “ La Ciociara” tratto dall’omonimo libro di Alberto Moravia!

Il numero degli arrivati via mare nel 2015 era 1.015.078. Di questo milione di persone, indicato dall’Unhcr, 856 mila sono sbarcate in Grecia, paese in ginocchio già per il fatto suo, e 153 mila in Italia. Nel 2016, sono sbarcate 181.400 in Italia e 173.450 in Grecia. 

L’accordo dell’Unione europea con la Turchia e la chiusura della rotta balcanica, hanno azzerato (quasi) il flusso di migranti che approdavano sulle isole greche dalle coste turche, persone che, nel 90% dei casi, provenivano dal teatro di guerra della Siria, ma anche da quelli dell’Afghanistan e dall’Iraq funestato, quest’ultimo, da decenni di guerre e terrorismi con milioni di morti e feriti, fra cui 500.000 bambini, chiamati giusto prezzo della guerra dalla signora Madeleine Albright. Dal famigerato campo di Idomeni, il più grande campo profughi d’Europa, definito la Dachau dei giorni nostri, in Grecia, al confine con la Macedonia, si è spostati alla Turchia con la sfida all’accoglienza per  circa tre milioni di profughi siriani.

Sul momentaneo calo di arrivi di immigrati del 20 % nel 2017  rispetto allo stesso periodo nel 2016, hanno inciso soprattutto i recenti sviluppi nelle relazioni Italia-Libia che hanno visto un aumento dei pattugliamenti della guardia costiera libica e della marina militare italiana che hanno fermato numerosi migranti africani pronti a partire, a volte causando l’annegamento di centinaia di migranti prima di approdare sulle coste italiane.

Come viene percepito oggi il fenomeno immigrazione

Non assistiamo ancora, per fortuna, alla preghiera del “rosario alle frontiere” come in Polonia, dove  migliaia di cattolici polacchi, rispondendo all’appello della fondazione “Dios Solo Basta” hanno formato il 7 ottobre delle catene umane lungo i 3.511 km di frontiere del paese, con la Germania, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, l’Ucraina, la Bielorussia, la Lituania, la Russia, con dei pescherecci sul mar Baltico, e delle barche a vela e dei kayak sui fiumi,  recitando insieme il rosario e pregando Dio di “salvare la Polonia e il mondo”. Agli occhi dell’episcopato polacco si è trattato di un’iniziativa puramente religiosa, ma per gli ambienti politici cattolici e per i partecipanti, la recita del rosario rappresenta un’arma spirituale contro quello che considerano l’islamizzazione della Polonia e dell’Europa. La data del 7 ottobre è stata scelta per ricordare la vittoria della cristianità sui Turchi nella famosa battaglia di Lepanto, nel 1571.

Non sarebbe meglio, più pacifico e sicuramente più utile per tutti, sedersi in poltrona, e discutere dei problemi comuni, invece che stare sotto il trono di chi si diverte  a guardare scannarsi tra loro immigrati e residenti. Purtroppo, i tempi della Ragione non solo non sono ancora arrivati, ma arretrano ovunque. Alle recriminazioni degli uni che dicono siamo qui per fuggire alle vostre bombe, o perché siete la causa della desertificazione delle nostre terre e dell’imbarbarimento delle nostre nazioni, il che è anche vero, altri rispondono parlando di  immigrazione massiccia che nuoce al lavoro italiano, agli interventi sociali, che causa degrado urbano, che genera un aumento dei fenomeni  come la delinquenza, il terrorismo internazionale di matrice islamica, il jihadismo, ed anche questo è vero, al meno parzialmente vero. Gli approfittatori della situazione, come in tutte le situazioni di guerra, perché questa è guerra contro i poveri, come sempre, sono i soliti politici, i commercianti, i funzionari felloni che scoprono l’inganno in ogni legge, i mercanti del tempio di tutte le religioni. Cerchiamo di interpretare meglio i dati.

Per mancanza di tempo, ci soffermeremo soltanto su due aspetti: la questione dell’invasione islamica e l’alternativa “aiuti allo sviluppo”, tralasciando questioni pur importanti come il lavoro agli immigrati,  gli interventi sociali a loro favore, immigrazione e degrado urbano, immigrazione e delinquenza. Giusto due considerazioni al riguardo. 

La prima è che, secondo uno studio effettuato dal Centro Studi Luca d’Agliano e dal Collegio Carlo Alberto: “La qualità della forza lavoro immigrata si orienta in corrispondenza all’istruzione del Paese”. L’Italia spicca tra i Paesi che hanno la più bassa percentuale di “nativi” (così vengono definiti nella ricerca) con istruzione terziaria e infatti accoglie meno immigrati con istruzione terziaria.

La seconda considerazione è relativa alla spesa pubblica e al contributo degli immigrati. Sommando le diverse voci (sanità, scuola, servizi sociali, casa, giustizia, accoglienza e rimpatri e trasferimenti economici), per l’anno 2014 si arriva a 14,7 miliardi di euro, pari a circa l’1,8 per cento del totale della spesa pubblica italiana. Considerando poi che le principali voci di spesa pubblica italiana sono sanità e pensioni, appare chiaro come siano rivolte principalmente alla popolazione anziana, con una minore incidenza della componente straniera (popolazione straniera occupata nel 2015: 2.259.065 su un totale di 5 milioni di regolari e 175-180mila profughi).

Dal lato delle entrate, invece, le voci principali sono il gettito Irpef e i contributi previdenziali (che, pur non essendo una vera e propria imposta, nell’anno corrente contribuiscono al sostegno della spesa pensionistica). Sommando anche le altre voci minori di entrata (imposta sui consumi, carburanti, lotto e lotterie, permessi di soggiorno, acquisizioni di cittadinanza), si ottiene un volume di 16,9 miliardi di euro (Gettito fiscale: € 6 miliardi e Contributi previdenziali: € 10.900), con un avanzo positivo di 2,2 miliardi di euro. In questo caso sono considerati solo i flussi finanziari diretti, ma andrebbero considerati anche alcuni benefici indiretti, come l’impatto sul volume dei consumi, specie in alcuni settori rivolti a fasce di reddito medio - basse.

Immigrazione, terrorismo, islamismo

Il 62,25% degli attentati viene compiuto per mano di organizzazioni europee, dai gruppi di estrema destra e sinistra a quelli anarchici, separatisti e anche animalisti. Il 15% circa, poi, sono perpetrati da movimenti anti-immigrati, il 4,08% da gruppi anti-Islam e solo il 3,89% sono attribuibili a gruppi jihadisti. Per il 14,2% degli attentati, infine, non si è riusciti a individuare i responsabili, anche se il 15% di questi hanno come vittime degli immigrati.

E’quanto è scritto in uno studio della ricercatrice italiana all’università britannica dell’Essex, Margherita Belgioioso, che ha analizzato gli attentati terroristici compiuti in Unione Europea nel biennio 2014-15 e che smentisce il collegamento immigrazione, terrorismo, islamismo. In realtà, gli attentati jihadisti rappresentano meno del 4% delle azioni sul suolo europeo”. La tesi dell’esistenza di un collegamento tra immigrazione e terrorismo jihadista viene ulteriormente smentita, nella ricerca di Belgioioso, dai numeri relativi ai soggetti direttamente responsabili degli attacchi in Ue. Solo il 6% di questi è stato compiuto da cittadini non europei, divisi tra migranti illegali (2,64%), migranti legali (2,64%) e soggetti con doppia cittadinanza (0,66%). Numeri esigui in confronto al restante 94%, cioè gli attentati compiuti da cittadini europei nati in Unione Europea. “Gli autori degli attacchi – precisa Belgioioso – sono nella stragrande maggioranza dei casi cittadini europei nati e cresciuti in Europa. E questo smonta l’ipotesi di un collegamento tra terrorismo e immigrazione    .

Nonostante questi numeri, conclude la ricercatrice nella sua ricerca, negli ultimi anni il terrorismo e la crisi migratoria hanno scalato la classifica delle preoccupazioni tra i cittadini europei. “Questo – conclude – è dovuto a una sovraesposizione mediatica degli attacchi di matrice islamista. I media danno molto risalto agli attentati compiuti dalle organizzazioni jihadiste, mentre spesso ignorano o offrono meno particolari su quelli portati a termine dalle organizzazioni europee”.  L’allarmismo mediatico è martellante: Ecco cosa si può leggere su una stampa a servizio di lobby e non di servizio al cittadino: Dopo gli attentati a Parigi: “Seppellire i terroristi islamici in pelli di maiale”, oppure:“Il terrorismo islamico non conosce frontiere, né limiti morali; e l' immigrazione clandestina incontrollata ne aumenta il pericolo”. Poi magari vi si scopre la mano lunga dei servizi segreti europei, americani o israeliani. E ancora: “Secondo quanto riporta il quotidiano online El Confidencial, gli immigrati islamici di ISIS hanno messo nel mirino le spiagge europee”. Secondo altri, hanno messo nel mirino papa Francesco. Si legge ancora: “ Non è più un mistero: i terroristi islamici giungono in Europa coi gommoni.” Un’immgrazione “fantasma”. Un’invasione che fa paura.

Per gli scrittori come Oriana Fallaci, Magdi Allam e Bat Ye’Or, sarebbe un’invasione già in atto. Per quest’ultima, è in corso la  concretizzazione della profezia annunciata nel suo libro: Eurabia. Come l'Europa è diventata anticristiana, antioccidentale, antiamericana, antisemita, libro largamente pubblicizzato sui canali Rai.

Immigrazione, “aiutiamoli a casa loro”

La consistenza complessiva delle truppe attualmente impiegate in Afganistan nell’ambito della missione NATO di assistenza militare Resolute Support (RS) è di 13.576 uomini, di cui 11.903 appartenenti a Paesi membri della Nato. Il contingente più numeroso è quello americano (6.941), seguito da quello italiano (1.037).

Sette miliardi e mezzo in sedici anni, cioè quasi mezzo miliardo l’anno, un milione e trecentomila euro al giorno è il costo della partecipazione dell’Italia alla "campagna militare afgana", la più lunga della nostra storia, secondo il rapporto 'Afghanistan, sedici anni dopo' (pubblicato dall’Osservatorio Milex sulle spese militari italiane), che traccia un bilancio di questa guerra iniziata il 7 ottobre 2001. Questo  a fronte di 260 milioni  per la cooperazione civile in Afghanistan , per aiutare l’uomo afghano a rinunciare a fare indossare il burqa alla sua donna, e ad accettare i Mc Do, i King Burger e i dischi di Elvis Presley. 

I leader politici contrari al ritiro delle truppe occidentali dall’Afghanistan si richiamano spesso alla necessità di difendere ben altri progressi fatti in questi anni. Vediamoli rapidamente. 

A parte un modestissimo miglioramento della condizione femminile (limitato alle aree urbane, attribuibili al lavoro delle organizzazioni internazionali e delle ONG, non alla NATO), l’Afganistan ha ancora oggi il tasso più elevato al mondo di mortalità infantile (su mille nati, 113 decessi entro il primo anno di vita), tra le più basse aspettative di vita del pianeta (51 anni, terzultimo prima di Ciad e Guinea Bissau) ed è ancora uno dei Paesi più poveri del mondo (207° su 230 per ricchezza procapite). Politicamente, il regime integralista islamico afgano (fondato sulla sharìa e guidato da ex signori della guerra dell’Alleanza del Nord espressione della minoranza tagica) è tra i più inefficienti e corrotti al mondo ed è lontanissimo dallo standard minimo di una Stato di diritto democratico: censura, repressione del dissenso e tortura sono la norma.     

A questo si aggiunge il sistematico coinvolgimento di tutte le autorità governative, da quelle periferiche e a quelle centrali, nel business della droga (oppio ed eroina) rifiorito dal 2001 con effetti devastanti non solo nello stesso Afganistan (in dieci anni la tossicodipendenza è aumentata del 650% e oggi riguarda un afgano adulto su 12, con conseguente esplosione dell’Aids) ma anche in Occidente, compresa l’Italia, dove l’eroina proveniente dall’Afganistan si sta diffondendo tra i giovanissimi provocando un numero di vittime che non si vedeva dagli anni ’80. 

La cartina al tornasole dei “progressi” portati dalla presenza occidentale in Afghanistan è il crescente numero di afgani che cerca rifugio all’estero: tra i richiedenti asilo in Europa negli ultimi anni, gli afgani sono i più numerosi dopo i siriani.

Non conoscendo o conoscendo male tutto questo, né quello che succede in Eritrea, Somalia, Mali, in Libia, in Tunisia, è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi. Questo crea la paranoia dell’ ‘invasione’, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi e da lobby islamofobe. Ad esempio, Una co-produzione tra la multinazionale Entertainment One e l’italiana Palomar (quella del commissario Montalbano) è stata stretta per la realizzazione di una serie tv Gaddafi che racconterà la storia di Muammar Gaddafi presentato come un tiranno sanguinario e il suo impatto sul mondo odierno. Serie Creata e sceneggiata da Roberto Saviano (Gomorra) e  Nadav Schirman. La serie recitata in lingua inglese sarà prodotta dalla Carrie Stein e dalla scrittrice Polly Williams della eOne, da Carlo Degli Esposti e Nicola Serra della Palomar. I diritti a livello mondiale sono controllati dalla EOne. 

Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact , contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti. Ma i disperati della storia nessuno li fermerà. Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al Sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: “Aiutamoli a casa loro”, dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’ENI a Finmeccanica. E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti e della Liberté, Egalité, Fraternité.

CONCLUSIONI

L’immigrato non è il problema dell’Italia, ma è un problema, un individuo che vive in un ambiente particolare che egli subisce. Anziché collocare la sicurezza e la convivenza "fra i problemi" dell’Italia, questi vengono indicati come "i problemi"  dell’Italia, con una enfatizzazione di questi che lascia sullo sfondo altre questioni che incidono in maniera sicuramente superiore sulla qualità della vita e sul senso di sicurezza dei cittadini. Quel che ne emerge è una equazione immigrazione = degrado = criminalità e terrorismo = islamizzazione dell’Europa, che lascia spazio soltanto a strumenti e a linguaggi di ordine pubblico. Vorrei che le persone percepiscano diversamente l’immigrato, senza pregiudizi, senza dare troppo ascolto ai mass media che hanno smesso da tempo di educare l’opinione pubblica e si sono messi a servizio a tempo pieno del Grande Fratello. Dobbiamo considerare che il fattore umano è il fattore più importante qui e ovunque nel mondo. Perciò si fanno ancora figli per fortuna. Perciò si viaggia per incontrare e imparare da realtà diverse. Uno dei più straordinari e fruttuosi gesti di pace nella storia del dialogo tra Islam e Cristianesimo, non è rappresentato per caso dall'incontro tra Francesco d'Assisi e il Sultano di Egitto  Malik al Kamil? Francesco non ragionava con i criteri ideologici della casta finanziaria commerciante e dei parvenu della sua epoca. Vorrei anche che si presti maggiore attenzione alla politica nazionale che “fa proprio male alla pelle", e reagire non più soltanto in termini di destra e sinistra, ma in termini di cittadini non più passivi di fronte a dichiarazioni come quelle ricordate del PD, e all’opera continua dei media di scardinamento della nostra comune convivenza.

La dimensione del fenomeno immigratorio ed il livello di istruzione dell’immigrato, in un paese come l’Italia che attraversa un momento non proprio felice sia dal punto di vista della sovranità politica, sia da quello della qualità della vita dei cittadini, sia dal punto di vista del livello culturale generale, rimane comunque uno dei problemi che si affrontano quotidianamente nella vita. Combatterlo, lottando contro l’immigrato nella sua diversità porterebbe soltanto ad un alto potenziale di rischio. Questo significa che anche da un singolo avvenimento possono derivare manifestazioni violente come quelle di via Padova a Milano o il caso di Rosarno, o quello di  Borgo Mezzanone in provincia di Foggia.

Una prima lotta contro gli aspetti più negativi del fenomeno dovrebbe intanto partire da quella contro una politica schizofrenica e velleitaria. Ci sarebbe molto da dire per esempio sugli alti costi del sistema della cosiddetta accoglienza (centri Sprar e simili) che pure sono stati lambiti o addirittura causa di bella mafia. 

La vera lotta che potrebbe partire, secondo me, proprio dall’Italia, sta, tuttavia, nel frenare la politica aggressiva delle potenze al soldo dell’alta finanza, e della corsa terrificante agli armamenti di distruzione di massa, sia da parte di queste potenze sia da parte di altri paesi che si sentono minacciati a loro volta.

Grazie.

lunedì 9 ottobre 2017

Gilad Atzmon: 1. Prendilo dalla bocca del rabbino ebreo!

Recensione.
Vengono qui raccolti scritti selezionati di Gilad Atzmon sul sionismo. L’ordine non è necessariamente quello cronologico, ma quello di lettura e di studio. Data la difficoltà di avere subito pronta una traduzione italiana, viene qui dapprima pubblicato il testo inglese, e poi in un post successivo e collegato viene approntata gradualmente una traduzione italiana. Nelle prefazioni al testo verranno sviluppate eventuali riflessioni ispirate dalla lettura del testo. All'articolo su Civium Libertas è associata la condivisione sulla mia pagina Facebook. Per una visione complessiva del libro di Atzmon, in traduzione italiana, L’errante chi?, rinvio alla recensione del sacerdote cattolico don Curzio Nitoglia.



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Gilad Atzmon sul sionismo: 1. Take It From the Rabbi’s Mouth

Recensione.
Vengono qui raccolti scritti selezionati di Gilad Atzmon sul sionismo. L’ordine non è necessariamente quello cronologico, ma quello di lettura e di studio. Data la difficoltà di avere subito pronta una traduzione italiana, viene qui dapprima pubblicato il testo inglese, e poi in un post successivo e collegato viene approntata gradualmente una traduzione italiana. Nelle prefazioni al testo verranno sviluppate eventuali riflessioni ispirate dalla lettura del testo. All'articolo su Civium Libertas è associata la condivisione sulla mia pagina Facebook. Per una visione complessiva del libro di Atzmon, in traduzione italiana, L’errante chi?, rinvio alla recensione del sacerdote cattolico don Curzio Nitoglia.


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Fonte.

Take It From the Rabbi’s Mouth

October 08, 2017  /  Gilad Atzmon

    “The overwhelming majority of American Rabbis regard Zionism not only as fully consistent with Judaism but as a logical expression and implementation of it.””

— Document released on November 20, 1942 signed by 818 American Rabbis

The following  article was published on this site in May 2013. In recent weeks we have witnessed some anti Zionist rabbinical Jews  outraged by the attempt to equate Judaism and Zionism. I plan to write on the topic extensively, however,  a brief look at this 1942 rabbinical affirmation of Zionism  is rather revealing:
great-bios.jpg
Zionism: An Affirmation of Judaism
Introduction by Gilad Atzmon

Every so often we come across a Jewish ‘anti’ Zionist’  who argues that Zionism is not Judaism and vice versa. Interestingly enough, I have just come across an invaluable text that illuminates this question from a rabbinical perspective. Apparently back in 1942, 757 American Rabbis added their names to a public pronouncement titled ‘Zionism an Affirmation of Judaism’. This Rabbinical rally for Zionism was declared at the time “the largest public pronouncement in all Jewish history.”

Today, we tend to believe that world Jewry’s transition towards support for Israel followed the 1967 war though some mightargue that already in 1948, American Jews manifested a growing support for Zionism. However, this rabbinical pronouncement proves that as early as 1942, the American Jewish religious establishment was already deeply Zionist. And if this is not enough, the rabbis also regarded Zionism as the ‘implementation’ of Judaism. Seemingly, already then, the peak of World War two, the overwhelming majority of American Rabbis regarded Zionism, not only as fully consistent with Judaism, but as a “logical expression and implementation of it.”

In spite of the fact that early Zionist leaders were largely secular and the East European Jewish settler waves were driven by Jewish socialist ideology, the rabbis contend that “Zionism is not a secularist movement. It has its origins and roots in the authoritative religious texts of Judaism.

Those rabbis were not a bunch of ignoramuses. They were patriotic and nationalistic and they grasped that “universalism is not a contradiction of nationalism.” The rabbis tried to differentiate between contemporaneous German Nationalism and other national movements and they definitely wanted to believe that Zionism was categorically different to Nazism. “Nationalism as such, whether it be English, French, American or Jewish, is not in itself evil. It is only militaristic and chauvinistic nationalism, that nationalism which shamelessly flouts all mandates of international morality, which is evil.” But as we know, just three years after the liberation of Auschwitz the new Jewish State launched a devastating racially driven ethnic-cleansing campaign. Zionism has proven to be militaristic and chauvinistic.

Shockingly enough, back in 1942 as many as 757 American rabbis were able to predict the outcome of the war and they realised that the suffering of European Jewry would be translated into a Jewish State . “We are not so bold as to predict the nature of the international order which will emerge from the present war. It is altogether likely, and indeed it may be desirable, that all sovereign states shall under the coming peace surrender some of their sovereignty to achieve a just and peaceful world society (a Jewish State).”

Some American patriots today are concerned with Israeli-American dual nationality and the dual aspirations of American Jews. Apparently our rabbis addressed this topic too. According to them, there is no such conflict whatsoever. All American Jews are American patriots and all American decision makers are Zionists. “Every fair-minded American knows that American Jews have only one political allegiance--and that is to America. There is nothing in Zionism to impair this loyalty. Zionism has been endorsed in our generation by every President from Woodrow Wilson to Franklin Delano Roosevelt, and has been approved by the Congress of the United States. The noblest spirits in American life, statesmen, scholars, writers, ministers and leaders of labor and industry, have lent their sympathy and encouragement to the movement.”

Back in 1942 our American rabbis were bold enough to state that defeating Hitler was far from sufficient. For them, a full solution of the Jewish question could only take place in Palestine. “Jews, and all non-Jews who are sympathetically interested in the plight of Jewry, should bear in mind that the defeat of Hitler will not of itself normalize Jewish life in Europe. “

But there was one thing the American rabbis failed to mention – the Palestinian people. For some reason, those rabbis who knew much about ‘universalism’ and in particular Jewish ‘universalism’ showed very little concern to the people of the land. I guess that after all, chosennss is a form of blindness and rabbis probably know more about this than anyone else.


Zionism: An Affirmation of Judaism

http://zionistsout.blogspot.com/2008/03/zionism-affirmation-of-judaism.html

ZIONISMAN AFFIRMATIONOF JUDAISMA Reply by 757 Orthodox, Conservative and ReformRabbis of America to a Statement Issued by NinetyMembers of the Reform Rabbinate Charging ThatZionism Is Incompatible with the Teachings of Judaism

THE SUBJOINED REPLY was prepared at the initiative of the following Rabbis who submitted it to their colleagues throughout the country for signature: Philip S. Bernstein, Barnett R. Brickner, Israel Goldstein, James G. Heller, Mordecai M. Kaplan, B. L. Levinthal, Israel H. Levinthal, Louis M. Levitsky, Joshua Loth Liebman, Joseph H. Lookstein, Jacob R. Marcus, Abraham A. Neuman, Louis I. Newman, David de Sola Pool, Abba Hillel Silver, Milton Steinberg, and Stephen S. Wise.

WE, THE UNDERSIGNED RABBIS of all elements in American Jewish religious life,have noted with concern a statement by ninety of our colleagues in which they repudiate Zionism on the ground that it is inconsistent with Jewish religious and moral doctrine. This statement misrepresents Zionism and misinterprets historic Jewish religious teaching, and we should be derelict in our duty if we did not correct the misapprehensions which it is likely to foster.

We call attention in the first place to the fact that the signatories to this statement, for whom as fellow-Rabbis we have a high regard, represent no more than a very small fraction of the American rabbinate. They constitute a minority even of the rabbinate of Reform Judaism with which they are associated. The overwhelming majority of American Rabbis regard Zionism not only as fully consistent with Judaism but as a logical expression and implementation of it.

Our colleagues concede the need for Jewish immigration into Palestine as contributing towards a solution of the vast tragedy of Jewish homelessness. They profess themselves ready to encourage such settlement. They are aware of the important achievements, social and spiritual, of the Palestinian Jewish community and they pledge to it their unstinted support. And yet, subscribing to every practical accomplishment of Zionism, they have embarked upon a public criticism of it. In explanation of their opposition they advance the consideration that Zionism is nationalistic and secularistic. On both scores they maintain it is incompatible with the Jewish religion and its universalistic outlook. They protest against the political emphasis which, they say, is now paramount in the Zionist program and which, according to them, tends to confuse both Jews and Christians as to the place and function of the Jewish group in American society. They appeal to the prophets of ancient Israel for substantiation of their views.

TREASURING the doctrines and moral principles of our faith no less than they, devoted equally to America and its democratic processes and spirit, we nonetheless find every one of their contentions totally without foundation.

Zionism is not a secularist movement. It has its origins and roots in the authoritative religious texts of Judaism. Scripture and rabbinical literature alike are replete with the promise of the restoration of Israel to its ancestral home. Anti-Zionism, not Zionism, is a departure from the Jewish religion. Nothing in the entire pronouncement of our colleagues is more painful than their appeal to the prophets of Israel—to those very prophets whose inspired and recorded words of national rebirth and restoration nurtured and sustained the hope of Israel throughout the ages.



Nor is Zionism a denial of the universalistic teachings of Judaism. Universalism is not a contradiction of nationalism. Nationalism as such, whether it be English, French, American or Jewish, is not in itself evil. It is only militaristic and chauvinistic nationalism, that nationalism which shamelessly flouts all mandates of international morality, which is evil. The prophets of Israel looked forward to the time not when all national entities would be obliterated, but when all nations would walk in the light of the Lord, live by His law and learn war no more.

Our colleagues find themselves unable to subscribe to the political emphasis "now paramount in the Zionist program." We fail to perceive what it is to which they object. Is it to the fact that there are a regularly constituted Zionist organization and a Jewish Agency which deal with the mandatory government, the Colonial office, the League of Nations and other recognized political bodies? But obviously, even immigration and colonization are practical matters which require political action. The settlement of a half million Jews in Palestine since the last war was made possible by political action which culminated in the Balfour Declaration and the Palestine Mandate. There can be little hope of opening the doors of Palestine for mass Jewish immigration after the war without effective political action. Or is it that they object to the ultimate achievement by the Jewish community of Palestine of some form of Jewish statehood? We are not so bold as to predict the nature of the international order which will emerge from the present war. It is altogether likely, and indeed it may be desirable, that all sovereign states shall under the coming peace surrender some of their sovereignty to achieve a just and peaceful world society.

Certainly our colleagues will allow to the Jews of Palestine the same rights that are allowed to all other peoples resident on their own land. If Jews should ultimately come to constitute a majority of the population of Palestine, would our colleagues suggest that all other peoples in the post-war world shall be entitled to political self-determination, whatever form that may take, but the Jewish people in Palestine shall not have such a right? Or do they mean to suggest that the Jews in Palestine shall forever remain a minority in order not to achieve such political self-determination?

PROTESTING their sympathy both for the homeless Jews of the world and for their brethren in Palestine, our colleagues have by their pronouncement done all these a grave disservice. It may well be that to the degree to which their efforts arc at all effective, Jews who might otherwise have found a haven in Palestine will be denied one. The enemies of the Jewish homeland will be strengthened in their propaganda as a result of the aid which these Rabbis have given them. To the Jews of Palestine, facing the gravest danger in their history and fighting hard to maintain morale and hope in the teeth of the totalitarian menace, this pronouncement comes as a cruel blow.

We do not mean to imply that our colleagues intended it as such. We have no doubt that they are earnest about their fine spun theoretical objections to Zionism. We hold, however, that these objections have no merit, and further that voicing them at this time has been unwise and unkind.

We have not the least fear that our fellow Americans will be led to misconstrue the attitudes of American Jews to America because of their interest in Zionism. Every fair-minded American knows that American Jews have only one political allegiance--and that is to America. There is nothing in Zionism to impair this loyalty. Zionism has been endorsed in our generation by every President from Woodrow Wilson to Franklin Delano Roosevelt, and has been approved by the Congress of the United States. The noblest spirits in American life, statesmen, scholars, writers, ministers and leaders of labor and industry, have lent their sympathy and encouragement to the movement.

Jews, and all non-Jews who are sympathetically interested in the plight of Jewry, should bear in mind that the defeat of Hitler will not of itself normalize Jewish life in Europe.

An Allied peace which will not frankly face the problem of the national homelessness of the Jewish people will leave the age-old tragic status of European Jewry unchanged. The Jewish people is in danger of emerging from this war not only more torn and broken than any other people, but also without any prospects of a better and more secure future and without the hope that such tragedies will not recur again, and again. Following an Allied victory, the Jews of Europe, we are confident, will be restored to their political rights and to equality of citizenship. But they possessed these rights after the last war and yet the past twenty-five years have witnessed a rapid and appalling deterioration in their position. In any case, even after peace is restored Europe will be so ravaged and war-torn that large masses of Jews will elect migration to Palestine as a solution of their personal problems.

 Indeed, for most of these there may be no other substantial hope of economic, social and spiritual rehabilitation.



THE freedom which, we have faith, will come to all men and nations after this war, must come not only to Jews as individuals wherever they live, permitting them to share freedom on a plane of equality with all other men, but also to the Jewish people, as such, restored in its homeland, where at long last it will be a free people within a world federation of free peoples.



Of the 757 Rabbis listed below, 214 are members of the Central Conference of American Rabbis (Reform); 247 are members of the Rabbinical Assembly of America (Conservative); and the rest are affiliated with the Rabbinical Council of America (Orthodox) or the Union of Orthodox Rabbis. The total represents the largest number of rabbis whose signatures are attached to a public pronouncement in all Jewish history.

To see the scanned image in PDF format with the list of signers, click here



Note: A version of the above statement was released to the press on November 20, 1942. By that time 818 rabbis had signed on. It appears in Samuel Halperin's The Political World of American Zionism. (Detroit: Wayne State UP, 1961) 333.



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